di Marco Malaguti

Il 25 Marzo 2010 Angela Merkel pronunciava, dal centro del Bundestag, uno dei suoi più famosi discorsi, nel quale dichiarava che “non c’è alternativa all’aiuto da decidere per la Grecia per proteggere la stabilità dell’Euro”. La sentenza “non c’è alternativa”, ben dosato cocktail di rassegnazione e intimidazione, già allora era un Leitmotiv della comunicazione politica postdemocratica non solo tedesca ma di tutti i Paesi occidentali.

L’ostentata mancanza di alternative, puntellata quasi sempre da più o meno interessati “studi” e pareri di sedicenti esperti, costituisce un elemento al contempo eclatante e tipico delle narrazioni politiche egemoni nel cosiddetto mondo libero. Dall’ecologia alla creazione ex nihilo di nuovi diritti, dalle armi da fornire in gran copia all’Ucraina all’esigenza di aumentare le imposte, passando per l’abolizione del denaro contante, la sintesi si può riassumere quasi sempre in: “Non c’è alternativa”.

A latere del fatto se un sistema politico basato sul “non c’è alternativa” sia una democrazia e non piuttosto qualcos’altro, tale lapidario artificio retorico è stato decisivo per la recente storia politica tedesca. Proprio contro l’eurosalvataggio della Grecia e, in buona sostanza, dell’intera architettura dell’Unione Europea e della moneta unica, l’ex consigliere della Banca Mondiale Bernd Lucke fondava, il 6 Febbraio 2013, Alternative für Deutschland (AfD), il cui nome nasceva come provocatoria smentita alla sentenza merkeliana.

Un’alternativa c’è

La neonata AfD era molto diversa da quella di adesso: più che un partito populista conservatore e nazional-identitario sulla falsariga degli equivalenti italiani, francesi, polacchi e ungheresi, la AfD sognata da Lucke voleva rappresentare un elettorato moderato e al contempo euroscettico, similarmente al UKIP di Nigel Farage e alle frange filo-Brexit dei Tories britannici. Il sogno di Lucke era figlio della paura di perdere il portafogli più che l’identità nazionale e intendeva incarnare le istanze di segmento forte, seppur minoritario, della CDU dell’epoca, sempre più insofferente verso una cancelliera che agli occhi di molti appariva più socialista che cristiano-democratica.

Il virulento antimerkelismo non poteva non tradursi anche in una forte contestazione della devastante politica migratoria delle “porte aperte” del governo di Grande Coalizione di quel periodo e aprì involontariamente un pertugio a quei segmenti, ampiamente presenti nella società tedesca ma quasi mai rappresentati, che videro un’occasione storica nella nascita di un partito a destra della CDU che tuttavia non si rifacesse al neonazismo (come ad esempio la NPD).

La fronda moderata ma euroscettica all’interno della CDU si rivelò, contro le speranze di Lucke, ben presto inesistente, spalancando al contempo praterie per una gran parte di elettorato di destra, talvolta anche radicale che, fino ad allora, si era astenuto o aveva supportato la CDU turandosi il naso. Ventre molle del grande partito della Merkel si rivelò essere la ex DDR, dove la CDU godeva di un ampio supporto fin dalla caduta del Muro, ironico paradosso storico di regioni di cultura protestante, nel frattempo diventate atee, dominate da un partito a vocazione cristiano-democratica di matrice cattolica. Qui AfD mieté i suoi primi successi elettorali, quasi sempre imprevisti, trovando fertili sponde in una serie di movimenti locali e comitati di cittadini a smaccata vocazione identitaria (non da ultimo il noto PEGIDA di Dresda) che fino ad allora non erano mai riusciti a coalizzarsi in un soggetto unitario.

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La virata a destra

Dimessosi Lucke nel 2015, ormai non più padrone della sua creatura, e sostituito dall’imprenditrice chimica Frauke Petry (che farà la stessa fine), AfD si è da allora incamminata in una lenta ma costante virata verso destra, che ha visto farle da sottofondo una lunga stagione di lotte intestine tra la corrente più nazionalista e identitaria, denominata Der Flügel e capeggiata dal turingiano Björn Höcke, e quella più centrista, più fedele alla missione originaria del partito, denominata Alternative Mitte (Centro Alternativo).

La stagione di lotta in questione, che ha in realtà caratterizzato la gran parte della breve storia del partito, si è infine conclusa il 19 Giugno scorso, con la vittoria di Der Flügel al congresso di Riesa, con la fazione di Höcke, forte dei successi elettorali nell’est del Paese, che ha monopolizzato quasi del tutto le cariche del partito.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: dopo anni di paralisi, durante i quali AfD ha sempre oscillato attorno al 10-11% dei consensi a livello federale, il supporto per il partito ha ricominciato a crescere, complice anche l’autoritaria politica pandemica del governo Scholz (e del suo detestatissimo ministro della sanità Karl Lauterbach), l’oltranzismo ecologista dei Verdi e la linea filo-ucraina a dir poco suicida della Ampelkoalition governativa.

Pace e Ostpolitik

Imboccata anche dai veterocomunisti della Linke la via dell’occidentalismo woke, AfD è rimasto l’unico partito tedesco, e uno dei pochissimi in Europa, a parlare della necessità di una pace immediata e di un accordo che non sia un’umiliazione delle ambizioni geopolitiche russe. Questa posizione, ampiamente maggioritaria nell’opinione pubblica germanica ma, esattamente come in Italia, assolutamente sottorappresentata a livello istituzionale, ha aperto una prateria per AfD, i cui consensi, secondo i sondaggi, viaggiano verso il 17%, contendendo alla SPD il rango di seconda forza politica nazionale, davanti ai Verdi del ministro degli esteri Annalena Baerbock. Un successo senza precedenti, suggellato anche dal recentissimo ottimo risultato nel Land di Berlino, incontrastato feudo dell’ultrasinistra fin dai tempi di Bismarck.

Se e come questa situazione durerà rimane ancora un mistero e le consultazioni tardo-estive in Baviera e Assia saranno certamente un test importante in due Länder occidentali ricchi e storicamente difficili per AfD. Il dato, tuttavia, rimane: il mantenimento della barra dritta sulle promesse fatte ai propri elettori ed il rifiuto di una moderatizzazione pelosa e ipocrita vengono premiati dagli elettori. Semplice regola politica che dovrebbe insegnare qualcosa a qualcuno anche a sud delle Alpi.

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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.