di Stefania Pucciarelli

Questo articolo è una versione emendata del discorso tenuto al Convegno Machiavelli Difesa 2022.

Buon pomeriggio a tutti!

Il mio cordiale saluto alle Autorità politiche, alle figure militari, agli esperti del mondo Difesa, agli operatori dell’informazione, ai gentili ospiti. Ringrazio gli organizzatori del Centro Studi Politici e Strategici ‘Machiavelli’ per l’invito a partecipare ai lavori di questo importante convegno annuale. Un momento di confronto su temi di cogente attualità e cruciale rilevanza che riguardano la nostra sicurezza e difesa in una fase storica dove le nostre “scontate certezze” sono – purtroppo – crollate di fronte alla spinta di una realtà ben diversa da quella che ci eravamo illusi di conoscere e padroneggiare.

Le occasioni di incontro tra autorevoli esperti, come quella di oggi, contribuiscono senza dubbio a comprendere meglio ed a riflettere su quanto di travagliato e preoccupante sta accadendo; possibilmente evitando di focalizzare l’attenzione sulla punta dell’iceberg ma guardando in maniera più ampia e integrata ad una serie di fenomeni tra loro strettamente correlati. A partire da ciò che oggi qualcuno continua a definire ‘contingenze eccezionali’, ‘sviluppi improvvisi e imprevedibili’ come l’emergenza pandemica o il ritorno di un’aggressione manu militari di uno Stato sul confinante nel cuore dell’Europa – che peraltro va avanti da oltre cinque mesi senza alcuna prospettiva di risoluzione in tempi rapidi – ma che in realtà rappresenta la conseguenza di fenomeni già in atto da tempo, forse ancor prima della disgregazione dell’Unione Sovietica agli inizi dell’ultima decade del secolo scorso.

L’inganno della “fine” della storia

In quella critica fase di cambiamento il mondo occidentale si è al contrario seduto, confortato dalla comoda – quanto erronea – visione della ‘fine della storia’. Gli aspetti militari – presidio di sicurezza imprescindibile poiché da sempre precondizione fondamentale a garanzia della stabilità e, quindi, del benessere – sono stati relegati a ‘retaggi del passato’! Anacronistici e costosi orpelli da attenzionare solo nei momenti – purtroppo frequenti – in cui pareva necessario sacrificare significative quote di spesa pubblica per conseguire presunti risparmi. Alla prova dei fatti queste scelte si sono rivelate dannosissime in un contesto internazionale che andava e che va nel senso opposto.

Con la pandemia abbiamo ‘improvvisamente’ scoperto che la globalizzazione aveva già da tempo azzerato la valutazione del rischio basata sulla distanza tra noi e il luogo fisico di insorgenza di una potenziale minaccia. Minacce che sono in continua evoluzione: lo vediamo con l’approvvigionamento energetico e di cereali, con la scarsità di materie prime in cui poter definire il nostro raggio d’azione per sviluppare la nostra politica d’intervento diventa complicato, sia per il presente che per proiezioni a breve, medio o lungo periodo.

Lo stesso discorso vale per le strategie di politica economico-finanziaria o a quelle di penetrazione dei mercati. Nel clima di competizione continua per l’accesso a risorse pregiate del pianeta che sono inevitabilmente finite in numero e capacità di rigenerazione, ma necessarie ad un numero in aumento di economie in crescita o aspiranti tali, l’elaborazione di una chiara strategia di posizionamento geopolitico è ancor più essenziale di quanto già lo fosse in passato.

Le Forze Armate, serbatoio di resilienza

È evidente quindi quanto sia importante uno Strumento Militare adeguato senza il quale ci si espone a rischi enormi. Da sempre le Forze Armate sono quel ‘serbatoio di resilienza’ di valenza strategica, per sé stesse e per l’intera nazione, da mettere in campo quando l’ordinaria macchina gestionale della pubblica amministrazione segna il passo di fronte a situazioni di crisi. L’essenza delle Forze Armate è la continuità e l’efficacia d’azione proprio nelle situazioni critiche e complesse; e il tragico ‘assaggio’ della pandemia da SARS-CoV2 ci ha dimostrato con imbarazzante eloquenza che tali circostanze sono tutt’altro che remote, ma potranno verosimilmente ripetersi nel futuro anche con maggiore frequenza e incisività.

Il successo in campo militare risiede da sempre anche nella capacità di mantenere un vantaggio competitivo sui potenziali opponenti e sui verosimili contesti di impiego. Il vantaggio tecnologico però da solo può non bastare. Innanzitutto, se non accompagnato dalle risorse umane
che sono vitali per abilitarne l’efficacia, oggi più che mai ove la sfida sulla velocità e complessità del cambiamento non si gioca più solo sui tempi di risposta ma sulla capacità di cogliere l’essenza stessa di ciò che sta cambiando! Non meno importante è la consapevolezza che l’innovazione richiede non solo investimenti, ma anche tempo: tempo per sviluppare i progetti, per realizzare i prototipi, per rendere operativa la nuova capacità fino ad ampliarne la platea di fruizione e competenze.

In tutto questo la difesa e sicurezza sono funzioni che vanno assicurate con continuità. Ciò significa che non va mai dimenticato il bisogno imperativo di ‘capitalizzare l’esistente’, al massimo e al meglio, per mitigare e assorbire le vulnerabilità e le discontinuità transitorie che l’introduzione di un qualsivoglia salto tecnologico comporta.

Gli errori del passato

Guardando invece a ciò che è stato fatto, dovremmo tutti fare un po’ di autocritica retrospettiva sulle scelte contro-tendenziali degli ultimi decenni! Diverse hanno riguardano proprio l’ambito militare. In determinate fasi storiche si è data eccessiva enfasi alla possibilità di gestire la tutela degli interessi nazionali nell’ambito dei sistemi di alleanze o nelle coalizioni. Anche quando queste dimostravano palesemente i propri limiti. Un esempio la significativa contrazione della struttura permanente della NATO operata nel 2009 quando un anno prima la Russia aveva già azzardato una invasione militare ai danni delle regioni georgiane di Abkazia e Sud Ossezia.

Si è operata una pesante riduzione dell’organico militare e civile della Difesa con la famosa Legge 244 ratificata il 31 dicembre 2012, i cui presupposti e le cui logiche attuative, non solo saranno smentiti già nel 2014 con la presa della Crimea, ma non avevano colpevolmente considerato nemmeno ciò che era già palesemente accaduto e mi riferisco appunto all’occupazione Russa del 2008.

Non si è tenuto conto dell’intervento in Libia del 2011 – Operazione Unified Protector – con le conseguenze destabilizzanti che tutt’oggi perdurano; della nascita e la crescita in Iraq, tra il 2006 e 2013, del movimento terroristico ISIS con velleità di controllo statuale, che porterà alla proclamazione del ‘califfato’ il 29 giugno 2014 e la progressiva espansione territoriale militare prima in Medio Oriente e poi verso l’Africa; dei diversi programmi di riarmo che già connotavano, non solo le mire di Cina e Russia – e a cascata quelle da contraltare di India, Pakistan e dell’intera regione Indo-Pacifica – ma gli stessi investimenti nella regione mediterranea di nazioni come Algeria, Egitto, Marocco e Turchia.

Quindi, a fronte di un mondo che andava in una direzione, noi non abbiamo fatto altrettanto. Gli investimenti sono stati pochi e intermittenti e spesso la discontinuità è stata causata dai numerosi cambi di governo.

L’attuale scenario strategico

Oggi abbiamo di fronte la ‘seconda opportunità’ che, ahimè, l’attuale momento storico ci offre per aggiustare il tiro. I ritardi accumulati non si possono azzerare, gli errori compiuti non si annullano con uno schiocco di dita, ma si può lavorare per mitigare le conseguenze negative di tutto ciò.

Veniamo da un periodo provato dalla pandemia e dai suoi effetti diretti e indiretti che si ripercuoteranno ancora per lungo tempo. A ciò si è aggiunto, soprattutto per l’Europa, il dover fare i conti con l’angosciosa guerra d’aggressione della Russia sull’Ucraina. Senza dimenticare che i fenomeni destabilizzanti già presenti prima del gennaio 2020, come ad esempio il terrorismo e gli effetti dei cambiamenti climatici, sono tutt’altro che scomparsi. Oltre all’attuale conflitto in Europa, è sotto gli occhi di tutti il ritorno ad uno scenario da guerra fredda tra gli Stati dell’Alleanza atlantica e la Federazione russa, formalizzato nel recente vertice NATO di Madrid dove Mosca è tornata ad essere il ‘nemico’ mentre la Cina è stata definita ‘opponente’. Senza dimenticare che da anni permane una situazione di altissima instabilità nel continente africano (Sahel), con tante aree di crisi dove si fronteggiano milizie e gruppi clanici avversi con scenari di difficile previsione.

Nel frattempo il contesto mediterraneo – e più propriamente quello del cosiddetto ‘Mediterraneo Allargato’ quale macro-area che dal Golfo di Guinea arriva all’Oceano Indiano passando per il Mar Mediterraneo e il Mar Nero, l’area balcanica, tutto il Nord Africa fino alla fascia sub-sahariana, il Medio Oriente, il Mar Rosso e la Penisola Araba con il Golfo – conferma la sua storica capacità di influenza rispetto al processo di ri-definizione dei nuovi equilibri mondiali. E lo fa su due direttrici complementari:

  • la sua sostanziale centralità da sempre rispetto agli scambi commerciali globali tra oriente e occidente, rafforzata dall’allargamento del Canale di Suez ma sempre sotto minaccia dei fenomeni destabilizzanti che riguardano l’area del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano;
  • i rischi di marginalizzazione da cui è ineluttabilmente minacciato ove, per effetto del progressivo scioglimento delle calotte polari, si dovessero aprire le nuove rotte artiche e i correlati nuovi orizzonti di esplorazione energetici e di materie prime.

L’Italia e il Mediterraneo Allargato

Questo spazio del Mediterraneo Allargato, che ha una valenza al contempo geostrategica e geopolitica, è di prioritario interesse per l’Italia e per l’intera Europa, dato che le diverse tensioni che lo riguardano – da quelle purtroppo storiche a quelle emergenti – innescano, infatti, processi che si riverberano su scala almeno regionale se non globale. Non a caso, oltre ad essere il centro strategico dei nostri interessi nazionali e dei nostri confini, negli ultimi anni ha visto diverse potenze medie e grandi cercare di guadagnare, ri-guadagnare o imporre una loro maggiore influenza, creando ulteriore fonte di preoccupazione sul piano della difesa e sicurezza.

L’importanza del Mediterraneo Allargato per l’Italia non dovrebbe essere una novità. Una centralità recentemente confermata e ripresa nel documento del Ministro Guerini del giugno scorso, dal titolo “Strategia di sicurezza e difesa per il Mediterraneo”, una delle direttive ministeriali di recente emanazione che fissano le priorità del Dicastero per il prossimo triennio.

L’acquisizione delle risorse energetiche e la loro distribuzione attraverso le linee strategiche di comunicazione, che vedono appunto come protagonista di prima istanza il Mediterraneo Allargato, condizionano in maniera significativa gli interessi vitali e strategici dell’Italia. A prescindere dai tentativi di diversificazione delle sorgenti, certamente utili, è dunque facile comprendere come il garantire un adeguato livello di sicurezza nel Mediterraneo costituisca un elemento di criticità che richiede la protezione sia delle fonti di approvvigionamento sia delle linee marittime e delle infrastrutture critiche strategiche.

Come deve essere il nostro strumento militare

È quindi fondamentale che l’Italia sia in possesso di uno strumento militare difensivo calibrato
quantomeno sulla gestione del contesto geo-strategico del Mediterraneo Allargato. Uno strumento moderno, efficace e competitivo, in grado di svolgere una credibile deterrenza – in prontezza o attiva –, capace di assicurare un monitoraggio trasversale e continuo delle aree di interesse strategico, con un’associata prontezza d’intervento in caso di tensioni, rischi o minacce agli interessi nazionali che si possa sviluppare in una chiave quanto più preventiva possibile. Uno strumento interoperabile con quelli delle organizzazioni alleate e amiche; in grado, quando necessario, anche di affrontare missioni più significative e prolungate, sia nell’ambito di dispositivi multinazionali o di coalizione sia in forma autonoma, come precedentemente accennato.

Tutto ciò si traduce quindi nei requisiti imprescindibili della proiettabilità e della sostenibilità, della flessibilità e modularità d’azione, della disponibilità di abilitanti strategici da far valere negli interventi autonomi o nei tavoli negoziali dove si predispongono quelli multinazionali.

Lo strumento militare risulta insostituibile, nel tutelare i nostri concittadini, sia direttamente – si pensi ai pescatori di Mazara del Vallo sequestrati o ai mercantili italiani da proteggere dagli assalti dei pirati in Oceano Indiano e nel Golfo di Guinea – sia indirettamente, garantendo e proteggendo appunto l’approvvigionamento energetico per la sopravvivenza del nostro sistema Paese.

Avere uno strumento militare difensivo capace di svolgere operazioni di sicurezza internazionale e di supporto alle forze democratiche si rivela, inoltre, indispensabile anche nelle relazioni commerciali con quegli Stati che non sono in grado di garantire la propria stabilità interna e che generano flussi migratori non controllati, impattando negativamente sulla stabilità e sulla sicurezza delle nazioni di transito e di destinazione finale – come l’Italia – anche per le strette connessioni con i traffici illeciti, le attività terroristiche e il contrabbando di droga e armi.

Le prossime sfide e gli errori da non fare

Per l’Italia, le sfide dei prossimi anni sono molteplici e richiedono delle Forze Armate pronte ed efficaci in tutti i domini e in questo la “Bussola Strategica per la sicurezza e la difesa”, approvata dal Consiglio europeo il 25 marzo, e il nuovo Concetto strategico che il vertice dell’Alleanza atlantica ha adottato a Madrid il 29 e il 30 giugno sono chiari: sicurezza delle frontiere, sicurezza marittima, sicurezza dello spazio aereo, sicurezza delle infrastrutture cibernetiche, tutela degli interessi nazionali, deterrenza e contrasto degli atti illeciti internazionali, lotta al terrorismo e alla pirateria, al traffico di armi di distruzione di massa, alla tratta di esseri umani, al traffico di stupefacenti, all’inquinamento deliberato.

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È fondamentale quindi non commettere gli errori del passato, non rimanere indietro, non perdere
specificità e soprattutto non dimenticare MAI che le Forze Armate devono essere sempre pronte a operare in situazione di crisi, in emergenza, non possono quindi essere sprovviste delle loro specificità e delle loro scorte.

Lo strumento militare deve essere visto come strumento del popolo a difesa dei propri diritti e come garanzia dagli abusi, garanzia anche nei confronti di chi, attraverso notevoli capacità economiche, può cercare di incidere sui mercati finanziari mondiali, alterando l’economia degli Stati, generando disordine e caos.

L’Italia deve essere pronta a fare la propria parte, in maniera determinante, nel contesto europeo e alleato. Nessuna media potenza, come Noi, può difendersi o operare da sola, ma l’Italia può e deve porsi come partner affidabile e risolutivo in Europa e nel versante democratico del mondo, con eguale dignità e reciproco rispetto delle grandi potenze mondiali.

Molto è stato fatto, ma tantissimo resta ancora da fare, e per rinvigorire questa rotta verso un’Italia forte e rispettata in Europa e nel mondo, serve innanzitutto uno strumento militare credibile dal punto di vista capacitivo e che possa contare su adeguata e lungimirante pianificazione finanziaria, un investimento strategico efficace, non una spesa.

Le dimensioni europea e atlantica

L’Unione Europea è oggi più determinata a difendere l’ordine di sicurezza europeo ed il principio fondamentale secondo cui la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza all’interno delle frontiere riconosciute a livello internazionale devono essere sempre pienamente rispettate. Abbiamo visto come l’Italia e gli altri Paesi Europei, nel sostenere l’Ucraina di fronte all’aggressione militare russa, stanno dando prova di determinazione per ripristinare la pace in Europa. Tuttavia serve una UE ancora più coesa nel settore della Difesa per contribuire positivamente alla sicurezza globale ed intensificare il sostegno all’ordine internazionale basato su regole.

Le relazioni transatlantiche e la cooperazione UE-NATO, nel pieno rispetto dei principi stabiliti nei trattati, sono elementi essenziali per la nostra sicurezza generale. In tal senso è ormai chiaro a tutti che per una vera Europa unita serve una politica comune ma serve anche reciproco rispetto dei singoli interessi nazionali e dialogo per trovare la via migliore per tutti, con una visione strategica comunitaria ad ampio respiro. Solo così l’Europa potrà vedere negli Stati Uniti un alleato con cui confrontarsi alla pari, con cui produrre linee strategiche comuni e condivise che tengano conto, in maniera bilanciata, degli interessi di sicurezza e delle economie di tutti i popoli rappresentati. Ed a fronte dell’accresciuta ostilità del contesto di sicurezza l’Italia, per essere partner convincente, deve essere credibile dal punto di vista capacitivo ed in grado di operare in maniera sinergica con i suoi alleati.

Il futuro delle nostre Forze Armate

Come immagino quindi lo strumento militare del futuro?

Il 1° luglio 2005 con il d.l. 115/2005 l’Italia ha scelto di sospendere la leva puntando su un numero ridotto di personale militare, compensato però dal focus sulla loro professionalità, addestramento, motivazione e capacità di utilizzare la tecnologia di eccellenza messa loro a disposizione. Come ho già detto, la legge 244 del 2012, il cosiddetto modello “Di Paola”, ha agito secondo logiche di ‘taglio lineare’ che se non discutibili già al tempo della sua impostazione, si sono rivelate a breve tempo dalla loro definizione già superate dagli eventi. Oggi più che mai è necessario rivedere sia in termini temporali che numerici la 244.

Con la proposta di legge in discussione in parlamento, l’Atto Senato n. 2597, che ha già passato la votazione della Camera dei Deputati il 27 aprile 2022 e sta seguendo l’iter legislativo al Senato, viene valutato di spostare il termine della riduzione organica delle Forze Armate al 2033, con una rimodulazione delle dotazioni organiche ed un aumento di personale in ferma prefissata per soddisfare le esigenze a breve tempo. Questa nuova proposta di legge conferma la volontà di affinare la revisione delle Forze Armate, sempre verso un modello interamente professionale ma più al passo coi tempi: un progetto di Difesa da attuare entro tempi congrui e che sia comunque sinergico ed efficiente nell’esprimere una operatività più qualificata, pienamente integrabile nel contesto dell’Unione europea e della NATO e soprattutto che sia supportato da tecnologia di eccellenza.

L’esigenza di mantenere fede a questo impegno ci fornisce la formula per lo strumento militare del futuro:

  • Bisogna garantire strumenti e mezzi all’avanguardia, guardando all’innovazione ma senza mai perdere d’occhio il bisogno di capitalizzare al meglio ciò che già esiste.
  • Bisogna avere personale in congruo numero per gestirlo, non si può continuare a chiedere al personale militare di compensare quelle carenze originate dalla 244, personale che sia preparato ed adeguatamente addestrato (poligoni).
  • Bisogna mantenere e rafforzare le specificità delle singole Forze Armate, recuperandone il ruolo di ‘resilienza sistemica’ attraverso le deliberate ridondanze, fondamentali in situazioni di emergenza, e ripensando la politica delle ‘integrazioni a prescindere’ per invertire la tendenza agli appesantimenti in onerose strutture interforze che riducono resilienza e depotenziano le componenti base del processo che sono le Forze Armate.
  • Serve una pianificazione finanziaria della Difesa stabile e di lungo periodo, coerente con tutti gli obiettivi precedentemente citati.

Nella sua drammaticità, il recente conflitto in Ucraina ci ha fatto comprendere la necessità e l’importanza di poter contare su un adeguato sistema di difesa della propria sovranità dotato di strumenti militari difensivi efficaci ed al passo coi tempi, considerando l’opzione militare soprattutto in termini di deterrenza e di anticipazione delle minacce.

La cooperazione militare internazionale

Sono questi concetti sui quali ho molto insistito nella mia recente visita all’Agenzia OCCAR-EA, un’organizzazione formata da sei nazioni europee ma aperta a partecipazioni anche esterne – ne sono esempio gli interessamenti di Australia e Giappone – a il cui compito è gestire programmi di cooperazione nel campo degli armamenti.

Nella consapevolezza che le risorse non sono illimitate e che il complesso di tensioni, rischi e minacce è tale per cui nessuno può essere oggi in grado di farvi fronte in completa autonomia, bisogna saper cercare soluzioni comuni per sviluppare sistemi abilitanti e strategici per le nostre missioni e operazioni. Come è stato ben evidenziato a Bonn, ciò non significa però arrivare a comprare tutti gli stessi prodotti – perché ciò penalizzerebbe la spinta alla ricerca e sviluppo favorendo l’utilizzo di ciò che già esiste sul mercato –, ma partire dall’individuare una sintesi condivisa sui gap capacitivi critici e sulla stesura delle relative esigenze operative.

Il valore aggiunto dimostrato in vent’anni di attività dall’Agenzia OCCAR, oltre alla promozione della cooperazione per gli armamenti dei Paesi Europei, è quello del miglioramento dell’efficienza dei processi e, quindi, della riduzione dei costi dei programmi di acquisizione. Il tutto nella prospettiva di diventare un centro di eccellenza europeo nella gestione dei programmi, per giungere a realizzare i sistemi di difesa necessari a colmare i vuoti nelle capacità militari del vecchio continente, evitando la sterile competizione interna e diventando competitivi verso l’esterno.

Sono queste iniziative che ci permettono, se evitabili, di superare duplicazioni di studi e sperimentazioni tra Nazioni Europee per programmi analoghi. Sono queste iniziative che ci permettono di migliorare la capacità di spesa nel settore della Difesa, perfezionando i meccanismi di pianificazione e di sviluppo delle correlate capacità abilitanti, allo scopo di affrontare più efficacemente realtà operative e nuove minacce e sfide.

Per restare in campo europeo, importanti iniziative da sfruttare appieno sono anche la cooperazione strutturata permanente e il Fondo europeo per la difesa (PESCO e EDF), così da sviluppare congiuntamente capacità militari all’avanguardia e investire nell’innovazione tecnologica per la difesa, nonché creare un nuovo polo di innovazione nel settore militare in seno all’Agenzia europea per la Difesa (EDA).

Quindi non soltanto i nostri strumenti militari difensivi devono tornare ad essere destinatari di congrue risorse – da inquadrare al rango di investimenti e non di meri costi – ma dobbiamo anche migliorare la nostra efficacia di spesa attraverso il coordinamento e la cooperazione con i nostri partner.

Il fattore umano

Sia ben chiaro che la capacità tecnologica, senza adeguato capitale umano, non è di per se sufficiente ad avere uno strumento militare efficace e credibile: al riguardo, da Sottosegretario di Stato alla Difesa, posso testimoniare sul fatto che l’Italia può contare su personale militare caratterizzato da eccellenti qualità professionali, uomini e donne sempre pronti alle sfide, sia quelle attuali sia quelle prospettiche.

Non a caso è solo grazie al senso di responsabilità e all’abnegazione dei nostri militari se di fronte alla discrasia tra risorse umane in pesante decrescita per effetto della Legge 244/2012 e necessità di impiego dell’opzione militare in continua crescita per la dinamicità del quadro geopolitico complessivo l’Italia è riuscita comunque a fare la sua parte anche in campo internazionale. Ma è uno sforzo di cui non possiamo più abusare, pena la rottura per collasso ormai purtroppo
non tanto lontana!

Nelle mie visite istituzionali, in questo mandato governativo, ho apprezzato le eccellenze del mondo della Difesa, realtà a me prima poco conosciute e che non sono pienamente note alla maggioranza dei cittadini, così come ne sto percependo i disagi e la disaffezione crescenti per una condizione di impiego ormai al limite del sostenibile. Oggi ho ben chiaro come il nostro Paese abbia un capitale umano nelle Forze Armate sul quale poter contare, per qualsiasi tipo di emergenza. Per questo mi è parimenti ben noto che questo livello di professionalità, dedizione e sacrifici merita la giusta attenzione! Maggiore attenzione!

Le donne e gli uomini della Difesa si confermano ogni giorno come risorsa imprescindibile sulla quale ogni italiano sa di poter contare, come accaduto nel corso dell’ultimo anno nella complessa gestione della pandemia, e come sta accadendo ora nell’instabilità generale di una situazione geo politica precaria. Pensando ancora su come è stata gestita la pandemia da Covid-19, non si può non leggere come le Forze Armate hanno dimostrato il valore aggiunto che la Difesa è in grado di esprimere operando con rapidità, efficacia e grande generosità, integrando le proprie capacità in perfetta sinergia con le altre amministrazioni dello Stato, dalle prime fasi dell’aggressiva emergenza sanitaria fino alla campagna di vaccinazione.

Di questo straordinario impegno, svolto ogni giorno con silenziosa abnegazione e vocazione, voglio rendere merito alle donne e agli uomini della Difesa, in Italia e all’estero, in mare, in terra e in cielo. Ma voglio anche sottolineare che l’impiego di più di 10.000 uomini e donne con le stellette (in contrasto al Covid19) insieme ai più di 7.000 operanti in Strade Sicure provano come sia fondamentale una deliberata ridondanza professionale e soprattutto fisica del militare e delle sue capacità specifiche; l’impegno costante in attività diverse dal concetto naturale “nilitare” è logorante se non adeguatamente rifornito e mantenuto, e porta al collasso o alla inadeguatezza dello strumento quando si devono affrontare situazione emergenziali di Difesa differenti.

Conclusioni

Volendo concludere e sintetizzare quanto detto finora, desidero sottolineare, come ho già fatto in altre occasioni, che la disponibilità di un complesso militare armonico, in termini di risorse umane, mezzi, equipaggiamenti e procedure, deve integrarsi in un’organizzazione politica, nazionale e sovrannazionale, con obiettivi chiari che si discostano da quelli del passato. Devono essere chiari gli insegnamenti (le cosiddette lessons learned) per non commettere gli stessi errori strategici e serve la giusta determinazione nel perseguire visioni lungimiranti e coerenti ai bisogni nazionali e pronti al mutare del contesto.

Tutela delle sovranità armonizzata nella capacità di fare sistema; idonee strategie energetiche coerenti con i propri complessi economico-imprenditoriali; integrazione sinergica tra i sistemi di difesa e politica estera. Sono questi solo i principali esempi rispetto alle sfide da affrontare con determinazione nel prossimo futuro. Le azioni descritte sono ambiziose, ma realizzabili con un impegno politico costante supportato e consigliato dalle visioni strategiche delle singole Forza Armate – che sono, di fatto, gli esperti del settore – e arricchito dalla funzione di coordinamento tipica dello Stato Maggiore Difesa.

Da questo punto di vista, come Sottosegretario di Stato alla Difesa, sono pronta a continuare – con ancor più forza e determinazione – a dare il mio contributo!

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Sottosegretaria alla Difesa nel Governo Draghi. Senatrice nella XVIII Legislatura.