di Giulio Montanaro

“Per persistere, la vita si deve riprodurre”, esordisce il pezzo del Wyss Institute firmato da Joshua Brown dell’Università della Comunicazione del Vermont e titolato Squadra costruisce i primi robot viventi in grado di riprodursi.

Come sta cambiando l’idea di vita?

L’articolo rappresenta la fonte originale di una delle notizie che, in tempi recenti, ha generato più interesse nel mondo tech e nella comunità intellettuale del cosiddetto “Intellectual Dark Web” (Jordan Peterson, Joe Rogan, Adam Curry, Ben Shapiro, Lex Fridman, Dave Rubin, Tim Pool, Douglas Murray ecc.). Molti trovano infatti un po’ azzardato l’incipit di Brown. Va bene essere abituati e, da un certo di punto, di vista rassegnati alle quotidiane narrazioni su “l’inevitabile necessità di cambiamento e progresso” accaloratamente postulate dai Democratici pro forma. Però, parlare di vita, quando si sta introducendo un pezzo sui primi Nanobot in grado di riprodursi autonomamente, indipendentemente dall’uomo e potenzialmente all’infinito, ci sembra un po’ eccessivo e forse anche fuorviante.

Ma andiamo alla sequenza cronologica degli eventi.

Robot biologici che sanno riprodursi

Siamo in Vermont, all’inizio del 2020, quando, come riporta lo stesso Brown, un team di ricercatori “dà vita” ai primi “xenobots”, piccoli nanobot assemblati da cellule di rana che saranno forieri di grandi innovazioni in ambito medico e non solo. Metodi di rilevamento, cura ed eliminazione delle malattie saranno infatti oggetto di profonda riforma in virtù di tale avanzamento tecnologico.

Tutto ciò avveniva nel Gennaio 2020. È Novembre del 2021 quando lo stesso team comunica al mondo d’aver compreso come permettere agli stessi xenobot di riprodursi autonomamente e, potenzialmente, all’infinito. Organismi (verrebbe da virgolettare il termine) disegnati da intelligenze artificiali, che hanno scelto di dargli le vesti di un Pacman a forma di cecio, e poi assemblati a mano da manovalanza umana, questi xenobot sono in grado di muoversi nella loro area di competenza, raccogliere centinaia di altre singole cellule di dimensioni infinitamente più piccole al fine d’assemblare piccoli che, nel giro di qualche giorno, diventeranno veri e propri loro simili.

Per chi conosce o ha sentito parlare della legge del ritorni acceleranti di Ray Kurzweil, questo è un palese esempio di un nuovo avanzamento che rende possibili diversi avanzamenti di livello più elevato.

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Ho letto e scritto e continuo a leggere con interesse del genio diabolico di Kurzweil. Esercita invece meno fascinazione e genera chiaramente meno introspezione seguire gli sviluppi di quegli allocchi (dal tardo latino alucus che a sua volta deriva da A-lux, dove A ha valore privativo e Lux significa “luce”) adepti del “Singolaritanismo”, la pseudo filosofia morale che pretende d’estendere le virtù umane alla cibernetica, celebrando l’avvento della fusione tra intelligenza biologica ed artificiale come un evento quasi rivelatore.

Agli occhi di chi scrive, guardare il video presente nell’ultima pubblicazione di Brown sul blog del Wyss Institute, dove si può osservare il processo di rigenerazione degli xenobot, genera tuttaltro che l’eccitazione presumibilmente provata da questi sediziosi Singolaritani.

La fagocitazione delle cellule presenti nel piattello da parte dello xenobot e la loro riorganizzazione coercitiva in strutture identiche nella forma alla fonte e finalizzate allo stesso scopo di questa rievoca un po’ le sensazioni affioranti da alcune immagini di “Terminator 2” o “Matrix”, oltre che stimolare riflessioni sulle potenziali evoluzioni di fenomeni similari su grande scala.

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Nato a Padova nel 1980, appassionato di lingue, storia e filosofia. Scrive fin da giovanissimo e dal ‘99 collabora con organi di stampa. Ha lavorato nel settore della musica elettronica, distinguendosi come talent scout e agente di alcuni degli artisti più importanti degli ultimi 15 anni. Ha fatto esperienze nella moda e nel tessile e vissuto in nove città differenti. Attualmente vive in Tunisia.