di Daniele Scalea

In molti credevamo possibile il “miracolo”: portare al Quirinale un esponente della Destra. Mai ciò è avvenuto, nella storia repubblicana, a meno di voler includere nel novero gli appartenenti all’ala destra della Democrazia Cristiana (Segni, Cossiga e Scalfaro: quest’ultimo, per giunta, che dedicò il suo settennato a lottare proprio contro il Centro-Destra, mentre il primo si dimise dopo un paio d’anni per motivi di salute).

Ci credevamo al “miracolo”, si diceva, perché il Centro-Destra partiva dalla maggioranza relativa dei delegati (452 elettori contro i 413 del Centro-Sinistra), per giunta in un’assemblea molto frastagliata, con un gran numero di battitori liberi e di potenziali votanti “insubordinati”, anche a causa del taglio dei parlamentari che condanna parecchi a non essere rieletti. Purtroppo, si era trascurato che i medesimi fattori di “disordine” operavano anche dentro il Centro-Destra. Come dimostrato alla prova dei fatti, Forza Italia e soprattutto Coraggio Italia non hanno garantito un’unanime e leale adesione alla causa comune.

In assemblea si sono così scontrate due debolezze. Quella del Centro-Destra è stata palesata prima dall’abbandono della candidatura di Silvio Berlusconi, che aveva tenuto banco fino in prossimità delle votazioni; in seguito dal ricorso alla scheda bianca e all’astensione. Quasi una strategia di fleet in being, a voler conservare il potenziale intimidatorio di 452 elettori impedendo di perderne per strada – ma a costo dell’inazione. Ma se il Centro-Destra ha votato solo una volta compatto su un proprio nome – quello di Elisabetta Casellati, con l’infelice esito provocato da ben settanta defezioni – il Centro-Sinistra non ha mai votato per nessuno, se non nell’elezione decisiva. L’anomalia di un’elezione presidenziale senza candidati di bandiera (salvo quelli di FdI o degli esterni alle due coalizioni) dà la misura di quanto deboli siano gli due schieramenti.

Rimane però il fatto decisivo: che il Centro-Sinistra non ha mai osato nemmeno votare, ma alla fine ha ottenuto la rielezione ad ampia maggioranza di un proprio uomo, ossia Sergio Mattarella. E non certo di un presidente che, una volta approdato al Quirinale, si sia mostrato arbitro neutrale. Ricordiamo solo, all’indomani delle elezioni del 2018, il suo rifiuto di concedere una chance di voto parlamentare al Centro-Destra e, soprattutto, quello di accettare Paolo Savona al dicastero dell’Economia, col rischio concreto di rimandare al voto il Paese pur in presenza di una maggioranza parlamentare, solo perché a lui invisa. Anche le operazioni Conte bis e Draghi, pur perfettamente lecite da un punto di vista giuridico, hanno svelato le preferenze politiche del capo dello Stato, non essendo opzioni obbligate. Mattarella ha pure rappresentato il vertice della magistratura nel pieno dello scandalo Palamara e ha sovrinteso alla mancata riforma riparatoria. Infine c’è l’avallo dato a misure infauste, dal lockdown al Green Pass, ma in questo caso è una responsabilità storica e non politica, godendo purtroppo queste misure di un consenso maggioritario e trasversale in Parlamento.

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Non siamo in grado di giudicare se il successo finale del Centro-Sinistra, che incassa per la seconda volta la rielezione di un proprio uomo alla massima carica dello Stato, sia dovuta alle maggiori abilità tattico-strategiche di Letta, Conte e Di Maio rispetto a Salvini, Tajani e Meloni. Di certo pesa il controllo sul discorso. La capacità di far percepire come divisivi tutti i candidati avversari e come “istituzionali” i propri. Il lavorio fatto per piazzare propri uomini ai vertici di tutti gli ordini e apparati, sicché in ultimo era difficile persino trovare nomi extra-politici da opporre al Centro-Sinistra …che non fossero essi stessi di centro-sinistra. L’imposizione di una irrazionale “urgenza” di eleggere al più presto qualcuno, quasi le sorti dell’Italia e del mondo dipendessero dalla rapida scelta di un presidente della Repubblica.

Ci sono molte cose su cui riflettere e confrontarsi, nella nostra area politica. Di certo c’è solo che la rielezione di Sergio Mattarella non possa essere presentata come una vittoria: indubbiamente, se passa un esponente dell’avversario, in minoranza rispetto a te, sei stato sconfitto. Si può discettare se sia stato un male minore al confronto di altre opzioni (su tutte Mario Draghi che trasloca da Chigi al Quirinale), ma non negare che si tratti di un male.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.