di Gian Pio Garramone

In Italia non si parla spesso di PKK, anzi potremmo dire: mai. Unico momento di risonanza mediatica da noi fu quando, il 12 novembre 1998, il fondatore e leader del PKK, Abdullah Öcalan detto anche “Apo”, si consegnò alla polizia italiana, sperando di ottenere in qualche giorno asilo politico. Ma andiamo per ordine.

Öcalan fondò nel novembre 1978, nel villaggio di Fis, il Partîya Karkerên Kurdistanê ovvero Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK); l’organizzazione ha chiara connotazione marxista e come obbiettivo la creazione di un Kurdistan indipendente. In quegli anni vi fu un proliferare di gruppi nazionalisti e radicalizzati di matrice curda. Per meglio comprendere il problema è giusto precisare che le popolazioni curde nei secoli hanno abitato un vasto territorio senza mai strutturarsi come Stato-nazione. Il territorio da esse abitato comprende un’area di confine tra Turchia, Iraq, Iran, Siria e Armenia. Il desiderio di autonomia curdo negli anni è sempre stato osteggiato dalle varie parti in causa portando anche a persecuzioni.

Il PKK si caratterizzava, oltre che per la matrice marxista, anche per la provenienza dalle classi più basse della società dei suoi membri e per l’adozione della violenza come strumento per il raggiungimento della causa. La violenza del PKK era diretta alle forze di sicurezza turche, ma anche agli oppositori del processo di indipendenza, agli stessi curdi che collaboravano con il governo turco o ai membri di organizzazioni rivali. Öcalan nel 1979 si trasferì dalla Turchia alla Siria dove stabilì contatti con le organizzazioni palestinesi e, in seguito, anche buoni rapporti con il Partito Democratico del Kurdistan Iracheno. È proprio dai campi del nord dell’Iraq che iniziò la grande insurrezione il 15 agosto 1984, quando il PKK annunciò la rivolta curda, lanciando un’offensiva armata contro la Turchia, con violenze contro istallazioni governative, funzionari turchi che vivono nella regione, curdi collaborazionisti ecc. Dall’inizio del conflitto sono morte più di 40.000 persone, la maggior parte delle quali civili curdi.

Durante gli anni ’80 e ’90 le rappresaglie del governo turco nei confronti del PKK instaurarono de facto uno stato di guerra nella Turchia orientale: il cosiddetto conflitto curdo-turco. Negli anni ’90 le truppe turche sferrarono un’offensiva, sia dal cielo sia da terra, sulle basi del PKK nei cosiddetti rifugi sicuri del Kurdistan iracheno nel nord dell’Iraq, creati sulla scia della Prima Guerra del Golfo. Già all’inizio di quel decennio era chiaro che l’ottenimento dell’indipendenza non sarebbe stata una strada raggiungibile, così il partito cercò di promuovere l’autonomia e la parità di trattamento all’interno della Turchia. Lo stesso Öcalan iniziò ad articolare una teoria sociale che prevedesse l’autonoma amministrazione a livello locale, sostenuta anche e soprattutto dopo l’arresto quando cercò, dal carcere, di darsi una nuova immagine pubblica e politica.

Apo nel 1993 fu arrestato e poi rilasciato dalla Intelligence interna siriana. La sua sede operativa rimase in Siria fino al 1998, quando nell’ottobre fu costretto a lasciare il Paese dopo che il governo turco aveva minacciato di ritorsioni la Siria per il sostegno che dava al PKK. Il governo siriano non consegno Öcalan alle autorità turche, bensì lo costrinse a lasciare il Paese. In ottobre, prima di partire, cercò di fondare un nuovo partito a Kobane, ma l’intelligence siriana ostacolò il progetto. Il 9 ottobre lasciò dunque la Siria e girò diversi Paesi nei successivi quattro mesi, cercando appoggi per la soluzione del conflitto. In questo periodo sia la Russia sia la Grecia gli promisero asilo politico, ma lui scelse di chiederlo in Italia il 12 novembre 1998 arrivando all’aeroporto di Roma. Ma all’arrivo in Italia fu arrestato in quanto pendeva sul suo capo un mandato di arresto internazionale emesso dalla Germania. Nel frattempo i Tedeschi non vollero questa patata bollente, preferendo che il leader e fondatore del PKK fosse processato da un non meglio specificato tribunale europeo, mentre il governo turco chiedeva all’Italia l’estradizione.

Öcalan era un ospite ingombrante anche per Roma, dato che la Turchia iniziò a minacciare ritorsioni commerciali. Il governo italiano da una parte non lo voleva come ospite, ma dall’altra non lo estradava perché, come dichiarò l’allora premier D’Alema, in Turchia era ancora prevista la pena di morte. L’Italia cercò di liberarsi dell’ospite indesiderato, cosa che avvenne in gennaio quando partì alla volta della Russia che, nel frattempo, aveva cambiato idea; quindi cercò ospitalità in Grecia, poi cercò di recarsi all’Aja per portare il suo caso all’attenzione della Corte penale internazionale, ma gli fu rifiutato l’atterraggio e rispedito in Grecia, da dove volò a Nairobi. La latitanza terminò il 15 febbraio 1999, quando un’operazione dai servizi turchi portò al suo arresto. Fu portato sull’isola detentiva di İmrali, dove venne convocato un tribunale per la sicurezza dello Stato, composto da tre giudici militari, il quale si occupò di interrogarlo ripetutamente, farlo assistere dai suoi avvocati gestendo tempi e modi e in fine di processarlo. Al termine del processo venne condannato a morte, pena che rimase sospesa e che poi fu commutata in ergastolo, a seguito dell’abolizione della pena di morte da parte del governo turco nell’agosto del 2002. Abdullah Öcalan è tuttora detenuto sull’isola e, se pur sottoposto a una condizione detentiva rigida, sembra che riesca a guidare ancora il suo partito.

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L’attività del PKK non si è comunque fermata con l’arresto del fondatore: già nel 2004 si riaccese la guerriglia. Nel 2007 il parlamento turco approvò un’azione militare contro obiettivi del PKK oltre il confine iracheno. Nel 2009 i leader del partito dei lavoratori intrapresero in segreto colloqui per la pace, che si sono protratti per anni per poi concludersi nel 2011 in un nulla di fatto. A seguito dell’istaurarsi di un nuovo negoziato di pace, nel marzo 2013 il PKK ha rilasciato otto ostaggi turchi e Öcalan dal carcere ha dichiarato un cessate-il-fuoco, durato fino a luglio 2015, quando la Turchia ha iniziato le operazioni militari contro le forze ISIS e al contempo bombardato postazioni PKK in Iraq. Nel marzo 2016 il PKK ha contribuito a fondare, unitamente a nove gruppi rivoluzionari curdi e turchi di sinistra, socialisti e comunisti, il Movimento Rivoluzionario Unito dei Popoli (tra gli altri vi hanno contribuito TKP/ML, THKP-C/MLSPB, MKP, TKEP/L, TİKB, DKP, ecc.) con l’obiettivo di rovesciare il governo turco di Recep Tayyip Erdoğan.

Attualmente le forze di sicurezza turche hanno in atto numerose operazione volte al contrasto del PKK, schierando in campo anche droni per l’individuazione degli obbiettivi e la loro neutralizzazione. Fonti autonome e rapporti ONU riferiscono che, dal 2007, l’organizzazione può contare su campi di addestramento nelle montagne al confine tra Turchia e Iraq. I campi principalmente sono di due tipi: quelli di montagna che hanno logistica minima (una sorta di FOB in linguaggio NATO), situati in Turchia, Iraq e Iran, utilizzati come basi avanzate da cui unità altamente mobili effettuano attacchi contro basi militari turche; e quelli permanenti, nelle montagne di Qandil dell’Iraq, che hanno logistiche importanti come ospedale da campo, generatori di elettricità ecc. Questi stessi campi fungono anche da base per le attività politiche e nel 2004 fu riferito di una sede politica in Belgio.

Ad oggi il PKK è un’organizzazione complessa ben distante da quello che intendiamo noi come partito politico. Fanno parte del PKK:

  • YPS – Yekîneyên Parastina Sivîl (unità di protezione civile/unità di difesa civile): è la principale forza armata nel Kurdistan turco, formata per organizzare e addestrare al meglio i giovani combattenti in seno al Movimento Giovanile Rivoluzionario Patriottico, che si avvaleva di quadri del PKK più esperti nei combattimenti urbani ed era costituito principalmente da bambini e adulti nella fascia di età 15-25;
  • YJA STAR – Yekîneyên Jinên Azad ên Star (unità delle donne libere curde): l’ala militare femminile che opera secondo la jineologia, ovvero la filosofia femminista sviluppata dallo stesso Abdullah Öcalan;
  • HPG – Hêzên Parastina Gel (forze di difesa del popolo): ala militare del PKK che ha sostituito l’ARGK. La sostituzione aveva lo scopo di dimostrare la ricerca di una soluzione pacifica del conflitto turco-curdo, dopo la cattura di Öcalan nel 1999. L’HPG ha svolto un ruolo attivo nei negoziati di pace nel 2013. Nel 2014 l’HPG è stato coinvolto nella lotta contro lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) a Sinjar. Fazioni del HPG e le Forze Al-Karila sono particolarmente attive nel nord dell’Iraq e in Turchia.

A dispetto della poca informazione sull’argomento in Italia, il PKK è molto attivo e le sue formazioni armate impegnate sia sul fronte dell’autonomia curda sia nel contrasto all’ISIS, soprattutto nei territori del Kurdistan iracheno ma pure in Siria.

Giornalista e ricercatore (Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), è dottore in Scienze motorie e in Scienze politiche e ha maturato esperienze pluridecennali con Esercito Italiano, Polizia di Stato e Croce Rossa.