di Vincenzo Pacifici

Leggo quotidianamente il “Corriere della Sera” non certo per assonanza (Dio ci scampi!) con le linee politiche del foglio, equivoche e sfuggenti, ma solo per l’abbondanza, non intesa come sinonimo di ricchezza, degli argomenti trattati, non di rado in stridente ma sotterranea antitesi. È il caso, registrato in questi giorni, della consueta articolessa di Paolo Mieli, riservata alla presentazione, all’illustrazione, allo strombazzamento di un saggio Giustizia fascista. Storia del Tribunale speciale (1926 – 1943), curato da Leonardo Pompeo D’Alessandro, che vanta un non meglio precisato “incarico di insegnamento” alla “Bocconi” di Milano.

Aprendo il panegirico, scontato e conformistico, l’editorialista segnala che l’attentatore di Mussolini, Anteo Zamboni, “fu ucciso all’istante” dal momento che allora le forze dell’ordine eseguivano ordini rigidi e puntuali e non obbedivano alle Lamorgese o a Gabrielli impensabili, e nota che in quell’epoca, con i poteri solidi e virtuosi e non affidati ai ministri nostri contemporanei, furono approvati in “meno di un’ora” i “Provvedimenti per la difesa dello Stato”. Proseguendo Mieli nell’analisi apologetica giunge alla vicenda, “un grande pasticcio”, dei militanti comunisti, tra cui Gramsci, Terracini e Scoccimarro, arrestati e incarcerati, nonostante le prove fossero, manco a dirlo, “scarse” e le incongruenze “numerose”. Ricorda ancora Mieli in un lampo di obiettività che il bieco e volgare regime non aveva mai sciolto il Partito Comunista.

La conclusione è interessante e soprattutto utile al confronto con un altro regime, ben più soffocante eppure adulato dal mondo democratico occidentale, studiato, per una volta seriamente, dalla Gabanelli e da Offeddu.

Non badando e non curandoci delle asserzioni di Mieli e del titolare di “un incarico” a larghe mani riportate, il giornalista, forse malvolentieri, cita la Arendt con le sue osservazioni, tese ad escludere nel fascismo i canoni del “regime di terrore totalitario”, e le considerazioni di Jemolo sull’Italia, nazione in cui il quadro era assai migliore rispetto alla Germania e alla Russia “dove spesso la gente scompare senza processo e, comunque, le condanne a morte sono irrogate con grande frequenza”, Pene capitali (“migliaia all’anno”) vengono invece eseguite – segnalano i due giornalisti – in Cina, Stato che detiene, incontrastato, il primato mondiale. Campi di sterminio, di “rieducazione” con oltre 1 fino a 3 milioni di reclusi; gli uiguri, esposti a torture e sterilizzazioni forzate. Dati agghiaccianti sono riportati sulla pandemia del “coronavirus”, in cui la terra rossa, senza che il mondo libero abbia mosso e muova le facili ma indiscutibili denunzie, “nega ogni responsabilità e reagisce alla perdita di credibilità aumentando la repressione”. Pesanti e sottaciute dalle nazioni del mondo libero sono le repressioni varate per i cittadini di Hong Kong. Inquietanti ed angoscianti risultano le prospettive per Taiwan, nazione esclusa, per volontà di Pechino, dalle organizzazioni internazionali e riconosciuta diplomaticamente solo da 14 Stati.

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Cosa potrebbe dire Mieli, se avesse un lampo di obiettività, su un utopistico confronto tra l’Italia, fino a 77 anni or sono, fascista e la Cina, ieri, oggi e purtroppo domani comunista?

Laureato in Giurisprudenza e in Lettere, è stato fino al 2015 Professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università Sapienza di Roma. Ha pubblicato, tra l'altro, volumi su Crispi, sul problema dell'astensionismo e dell'assenteismo nelle consultazioni politiche del periodo unitario, sui consigli provinciali all'inizio del XIX secolo, sulle leggi elettorali del 1921 e del 1925. È presidente della Società tiburtina di storia e d'arte.