di Andrea Bandelli

Nella sua Relazione annuale il Governatore della Banca d’Italia Visco ha indicato che il debito pubblico italiano a causa dello shock pandemico globale nel 2020 salirà al 157% del PIL, un valore che in questo contesto, considerando la forte contrazione del nostro PIL, apparentemente sembra difficilmente sostenibile. Tuttavia secondo il Governatore il debito pubblico italiano, all’avverarsi di determinate condizioni, appare pienamente sostenibile nel lungo periodo.

Qualora nel decennio 2023-2032 la crescita media del PIL si attesti almeno all’1,5%, l’inflazione si mantenga al di sotto del 2% , lo spread dei rendimenti tra BTP italiani e BUND tedeschi resti sotto i 100 punti base, vengano fatte importanti riforme strutturali, ci sia una progressiva e duratura ripresa delle attività produttive e soprattutto si ritorni ad un avanzo primario anch’esso almeno pari all’1,5% del PIL, allora sarebbe possibile ridurre il debito pubblico italiano da oltre il 150% del PIL del periodo iniziale al 130% del PIL a fine periodo, riportandolo ai livelli pre-crisi e quindi pienamente sostenibile per il Paese.

Secondo Visco uno dei fattori fondamentali per raggiungere questo obiettivo sarà sia il progressivo auspicato incremento degli occupati fino a ritornare ai livelli dell’anno passato, sia l’aumento della produttività del lavoro; e su questo non possiamo che essere d’accordo. Tuttavia, con un quadro previsionale in cui per quest’anno si prevede per la prima volta un disavanzo primario pari al 3,5% del PIL, crediamo sia opportuno focalizzare la nostra attenzione su quali potrebbero essere gli ulteriori fattori che dovrebbero supportare un ulteriore incremento del PIL, con il ritorno ad un consistente avanzo primario e la conseguente sostenibilità e progressiva riduzione di un debito pubblico italiano così elevato nel lungo periodo.

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Dal nostro punto di vista un fattore che in questo contesto assume grande rilevanza sia nel breve che nel medio/lungo periodo è il reshoring manifatturiero e societario che, da stime basate sui dati storici delle delocalizzazioni e su analisi comparative con quanto successo in altri Paesi ad economia avanzata, potrebbe portare un contributo incrementale annuo al nostro PIL di almeno 20 miliardi di euro nel 2021 e di almeno 100 miliardi al termine del quinquennio di attuazione di un serio e sistematico programma.

Un tale incremento di PIL, a cui poi va associato un effetto incrementale sui consumi e sugli investimenti in beni produttivi, potrebbe accorciare notevolmente i tempi di rientro dall’extra debito causato dalla crisi pandemica e consentire il ritorno all’avanzo primario in tempi brevi creando quindi le condizioni per mantenere in equilibrio il bilancio dello Stato nonostante il debito pubblico elevato.

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Per il Centro Studi Machiavelli è responsabile del programma di ricerca su "Reshoring e rilocalizzazione d'impresa". Laureato in Economia (Università degli Studi di Firenze), Dottore Commercialista, Revisore legale e socio fondatore di uno Studio professionale specializzato in consulenza societaria e fiscalità nazionale ed internazionale.