di Luca La Mantia

Quando il potere brandisce la paura per un nemico invisibile il popolo è ben disposto a sacrificare le proprie libertà sull’altare della sopravvivenza individuale. Il tema ritorna con prepotenza in Berlino est 2.0 (Eclettica, 2020), città distopica immaginata da Federico Cenci durante il lockdown disposto per fronteggiare l’emergenza coronavirus.

Il volume nasce come instant book, iniziato con una serie di post su Facebook e proseguito come romanzo. L’autore vi condensa tutti i dubbi sulle misure restrittive adottate e i timori per un popolo che le ha accettate acriticamente, talvolta chiedendone di peggiori. Lo fa creando una realtà che è distopica e ucronica allo stesso tempo. Una nuova Berlino Est nella quale il potere di controllo dello Stato è rafforzato – oltre che dalla solita rete di delatori – da strumenti tecnologici (fra cui droni e 5g) che consentono di spiare i cittadini e, insieme, di portarli a svolgere – grazie a una rete ultrapotente – ogni attività a distanza. È il concetto del distanziamento sociale – che i berlinesi sono comunque chiamati a rispettare – portato all’eccesso nel tentativo di modificare antropologicamente l’uomo nella sua dimensione di animale sociale. Sopra ogni cosa domina il Mega Partito, che sembra attingere a piene mani dai capisaldi di quel Pensiero Unico più volte richiamato da Cenci nel suo lavoro di giornalista: scristianizzazione della società, creazione di bisogni tecnologici, destrutturazione della famiglia e così via.

Il protagonista racconterà questo regime dispotico attraverso l’osservazione quotidiana delle sue dinamiche. L’apparente passività sarà interrotta da singoli gesti di ribellione, come quello di rompere il tuorlo di un uovo nel piatto perché la sua forma evoca l’occhio del padrone. Il protagonista, si capisce, non ha dimenticato le vecchie libertà e costantemente paragona il mondo di prima e quello presente. Sarà questo bagaglio di valori da cui non ha mai abdicato che lo porteranno a una crescente consapevolezza, sino alla svolta finale.

La mancanza di un filo narrativo potrebbe sembrare un bug dell’autore. Ma scendendo virtualmente nelle grige strade di Berlino Est si comprende la forza della scelta stilistica. Lì dove l’isolamento sociale è messo a sistema e il nemico si cela dietro volti un tempo amici finisce col saltare ogni possibile escamotage: dalla storia d’amore all’incontro rivelatore. È la sublimazione del Mega Partito, vincitore due volte: la prima sulle consuetudini esistenziali, la seconda sullo stesso protagonista narratore, reso incapace di andare oltre il mero resoconto, avvilito persino nei suoi impulsi intellettuali. Resta libero lo spazio del pensiero, ancora lontano (chissà per quanto) da una tecnologia invasiva. È lì che si dipana la vicenda, lì dove riescono ancora a convivere osservazione ed elaborazione di una realtà alienante, dalla quale si può fuggire solo dandosi alla macchia. Lontano dall’inferno, lontano da Berlino Est.