Tra i molteplici nemici e pericoli che il campo sovranista deve affrontare, quello liberista rappresenta sicuramente l’insidia più pericolosa.

Chiamiamo “liberismo” quell’ideologia che mette al primo posto il mercato, cioè l’economia, e subordina a essa le esigenze nazionali, facendosi beffe e disprezzando concetti quali “confini”, “nazione”, “patria”, “interesse nazionale”. Esattamente come i loro omologhi marxisti, i liberisti professano una fede millenaristica, quella del libero mercato su scala planetaria, conferendo a questo mito religioso il compito di “civilizzare” i barbari che ancora persistono nell’errore.

L’errore altro non è che la limitazione e la circoscrizione del libero scambio entro i suoi confini naturali, quelli dell’economia; questi confini sono subordinati, in ordine di importanza, a concetti quali “interesse nazionale”, “primato della politica”, “interesse generale”. Esattamente come i fanatici sostenitori della “società aperta”, i liberisti considerano le frontiere, i confini, le tradizioni culturali specifiche come elementi regressivi e ostativi al mito del progresso, mito che rappresenta il traguardo finale comune di multiculturalisti e liberisti.

Il libero mercato non è più quindi uno strumento neutro, efficace come qualsiasi altro in un particolare momento storico, intercambiabile con altri di diversa natura e segno quando le condizioni lo richiedono, ma il fine in sé, il sistema economico per eccellenza che veicola, in subordine, valori etici e morali e al quale non è dato subordinare alcunché.

Il libero mercato, di cui la società aperta rappresenta il suo gemello a livello politico, esige l’abbattimento delle frontiere, dei confini, delle diversità culturali. L’uomo planetario “sorosiano” e quello liberista si interfacciano poiché l’uno implica e richiama l’altro. Stabilire che un Paese, una nazione, per prosperare, può adottare solo e soltanto ricette liberiste, significa gettare le basi per la sorosizzazione di quel Paese. Il liberismo non è neutro: illudersi di amputare la sua parte “infettiva”, rappresentata dalla società aperta multiculturale, è illogico oltre che impossibile.

Il sovranismo, che teorizza a gran voce il primato della nazione e del politico sull’economia, deve quindi farsi “muto” di fronte alle diverse e intercambiabili ricette economiche che propone, di volta in volta, per il suo Paese, in quanto esso è guidato da princìpi utilitaristici e pragmatistici. Le nazioni basate su di una forte identità e coesione interna hanno sempre adottato, durante la loro storia, ricette di welfare state avanzato alternandole a ricette basate su un più spinto libero scambio, non facendosi mai “inchiodare” a nessuno di quei metodi ma avendo sempre come focus essenziale il benessere del proprio Paese. L’ideologia e l’utopia, anche nel campo economico, sono sempre foriere di disastri.

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Ciò che appare “simile” al sovranismo in realtà è il suo opposto. Il sovranismo è nato anche per dare voce a quei ceti produttivi e a quella classe media letteralmente assassinata dalla globalizzazione liberista. La cinesizzazione del mercato del lavoro occidentale e le selvagge delocalizzazioni, che tanto piacciono ai post-comunisti e ai globalisti progressisti, sono il frutto più maturo del liberismo, sono anzi l’esempio paradigmatico che il pensiero liberista porta come modello. A tutto ciò si accompagna la mutazione antropologica che oltrepassa l’uomo nazionale per approdare a quello globale, individuale e sradicato.

Alla distruzione dei ceti produttivi si accompagna quindi la crescita smisurata di una classe privilegiata, finanziaria e non produttiva, cioè parassitaria, che porta avanti l’agenda globalista in nome del libero commercio e della società aperta. D’altra parte, se guardiamo alla biografia di tanti teorici liberisti, anche nostrani, vediamo come essi appartengano a quel ceto parassitario (da loro stessi definito come tale), para-politico o para-universitario, da cui traggono i loro stipendi o le loro consulenze. Esattamente come i vecchi comunisti che parlavano di proletariato non avendo mai visto un povero in vita loro, così quasi tutti i liberisti parlano di impresa e di capitalismo non avendo mai lavorato in vita loro né nel settore privato né tantomeno avendo mai visto o condotto un’azienda.

Ecco perché l’azione adulatoria e interessata di qualche think tank liberista nei confronti del sovranismo deve essere rispedita al mittente, trattandola esattamente come può essere trattata un’infezione: isolando la parte sana e impedendo che l’indebolimento strutturale suscitato dall’infezione abbia il sopravvento.


Abyssus, pseudonimo, è un professionista che opera nel settore culturale ed editoriale italiano.