Arte inclusiva

La notizia che arriva dalla Londra di Sadikh Kahn sembra un meme, in quanto rappresenta il classico tentativo di emancipazione da Social Justice Warrior in cui emancipazione fa rima con stereotipizzazione.

La famosa Trafalgar Square ospita la colonna dell’ammiraglio Nelson (già oggetto di attentati dinamitardi delle suffragette sin dal 1913) monumento che ha alla base quattro leoni e quattro plinti. Ma solo tre di questi ospitano una statua: Giorgio IV, Charles James Napier e Henry Havelock. Il fatto che questi ultimi due fossero personaggi poco noti e ci fosse un basamento vuoto ha sempre causato dibattito, tanto che già nel 2000 l’allora sindaco laburista di ispirazione socialista Ken Livingstone proponeva di rimpiazzare le statue con qualcuno di più popolare.

Operazione fallita, ma nel basamento vuoto a partire dal 1999 sono state poste installazioni temporanee biennali di ogni ordine e grado di stile e di impegno civile: la nave di Nelson in bottiglia, la statua di un pollice alzato, un pollo gigante blu, la scheletro di un cavallo in bronzo fino alla copertura di simil-panna montata con ciliegia, mosca e drone nel periodo 2020-2022. Ma ora è definitivamente tramontata l’era del disimpegno, a partire dall’autunno 2024 il quarto plinto ospiterà una serie di 850 calchi di volti di attivisti trans esposti. Citiamo da Wikipedia: The “life masks” will be arranged around the plinth in the form of a tzompantli, a skull rack from Mesoamerican civilisations. Ma al di là del parallelo non proprio inclusivo delle piramide di teschi azteche, è stato annunciato il vincitore del biennio 2026-2028: per due anni il basamento ospiterà la statua Lady in Blue che omaggia la young, metropolitan woman of colour, e che sembra la versione disco queen con tacco e vestito attillato blu lapislazzulo della classica mami della Lost Cause confederata. E giù polemiche. Quando emancipazione fa rima con stereotipizzazione.

Oicofobia tra pesce fritto e paesaggi

Rimaniamo a Londra città che dà tante soddisfazioni ai curatori di questa rubrica. Una vicenda assolutamente minore ma perfettamente in linea con l’oicofobia di cui l’UK è prima vittima. Si tratta di un murales di un negozio di Fish&Chips che celebra il celebre cibo da strada assieme alla bandiera britannica. Pare che il consiglio municipale abbia ricevuto diverse lamentele che ritengono il murale “inappropriato”, dopo che il negozio era stato costretto a togliere un’insegna d’angolo con la stessa immagine, nonostante storicamente ci fossero sempre state insegne affisse in quella posizione. Quindi non è chiaro se si tratti del murale in sé o ad essere inappropriato è tutta quella britannicità che trasuda dalla combinazione di Union Jack e la scritta “A Great British meal”. Nel dubbio, il titolare del negozioè diventato involontariamente simbolo dell’orgoglio britannico. Ah, è di origini cipriote.

La notizia precedente potrebbe far credere che indulgiamo in un bieco sensazionalismo quando scomodiamo l’oicofobia per le insegne di una rosticceria inglese. La vicenda di cui ci da notizia The Telegraph dimostra invece l’assioma. Notizia che arriva da Cambridge, altra località nota per gli unicorni arcobaleno che scorrazzano per le campagne, i gessi scandalosamente bianchi e gli attivisti che distruggono i quadri (vedi bollettino 5). Ma se nelle campagne pascolano affamati unicorni arcobaleno, le campagne restano un rigurgito nazionalista. Infatti nel nuovo allestimento del Fitzwilliam Museum (che dipende direttamente dall’università) accanto alla sezione paesaggi viene rimarcato:

Il paesaggio rurale era visto come un legame diretto con il passato e quindi un vero riflesso dell’essenza di una nazione. I dipinti che mostravano le dolci colline inglesi o i rigogliosi campi francesi rafforzavano la lealtà e l’orgoglio verso la patria. Il lato oscuro dell’evocazione di questo sentimento nazionalista è l’implicazione che solo coloro che hanno un legame storico con la terra hanno il diritto di appartenervi.

Il cui direttore del Fitzwilliam Museum ci tiene a precisare che però tutto ciò non è non é una wokkata.

D’altronde, come ricorda il Telegraph un mesetto orsono una charity britannica, Wildlife and Countryside Link, in un rapporto per i parlamentari britannici aveva dichiarato che «la campagna britannica è uno spazio bianco “razzista e coloniale”». 

Va da sé che se i paesaggi di Constable sono nazionalisti al Fitzwilliam Museum la sezione dei ritratti è classificata direttamente come simbolo dell’imperialismo britannico. Chiaramente un brutto caso di oicofobia. Forse incurabile.

L’inclusività non è mai abbastanza

Ma attenzione a lamentarsi online della troppa inclusività, magari quella della propria palestra, potrebbero cancellarvi l’iscrizione. Questo quello che è capitato a una signora in Alaska che si è lamentata dell’aver trovato un maschio impegnato a radersi nel bagno delle donne nella celebre catena di palestre ultra-woke Planet Fitness. La catena ha bandito la cliente, rivendicando la scelta di creare uno spazio sicuro per tutte le identità, e che l’aver fotografato l’uomo impegnato a radersi violava il regolamento.

Notizia che rimanda alla vicenda californiana dove un’anziana signora novantenne, da decenni membro attivo di un’associazione di volontariato che è stata espulsa per non aver capito la questione dei pronomi da utilizzare. A differenza della cittadina dell’Alaska, la signora inglese è stata più fortunata perché dopo che l’associazione di volontariato è diventata oggetto di una violenta campagna ha preferito fare ammenda e condonare la questione dei pronomi.

Più realisti dell’imam

E veniamo al Germanistan. Francoforte quest’anno ha fatto le cose in grande per il Ramadan, mettendo luminarie dedicate. Ma qualcuno ha preso troppo alla lettera la questione della festività musulmana. Riferisce il giornale online della destra populista tedesca Nius che in una classe di bambini di 10 anni sia stato proibito di bere dell’acqua perché vi sono anche bambini di religione mussulmana. Iniziativa individuale delle insegnanti e non legata alla direzione scolastica, ma non ci sono state dichiarazioni o smentite ufficiali da parte dell’istituto.

Notizia che potrebbe fare idealmente il paio con quella che arriva da Pioltello nell’hinterland milanese e dell’istituto che vista la presenza di un gran numero di scolari mussulmani, il 40 %, per evitare le assenze massicce della festività di fine Ramadan ha preferito direttamente anticipare il rientro a scuola a settembre per introdurre la festività. Come aveva già fatto nel 2023. A differenza di Francoforte, nulla da eccepire: è solo un esempio di pragmatismo meneghino (casomai bisognava pensarci prima di arrivare a quella percentuale di allogeni), anche se l’ufficio scolastico regionale ha aperto una procedura per irregolarità nella decisione della festività. Certamente il caso di Pioltello rappresenta la conferma che quel fenomeno di “rimpiazzo dell’autoctono e/o la sua estinzione agevolata”, ovvero il Fenomeno Che Non Può Essere Nominato, ma che è già in essere da un pezzo. Se vabbè, gombloddoh.

Il mondo al contrario

Così si intitolava il best seller estivo. E una spigolatura che arriva dal New York Post è una perfetta descrizione di un mondo che va al contrario. Proprietaria di un appartamento occupato chiama il fabbro per cambiare le serrature, gli occupanti chiamano la polizia e la signora viene arrestata. Questo perché se gli occupanti sono lì da almeno 30 giorni nella legislazione locale godono di alcuni diritti, come quello di non farsi cambiare la serratura. Nel frattempo la città di New York, sindaco democratico Eric Adams ha prima schierato 750 uomini della Guardia Nazionale nella metropolitana per cercare di tamponare la criminalità dilagante (il loro compito è quello di controllare le borse) e poi limitando l’ospitalità nei rifugi per i senza tetto (di cui molti immigrati) a un massimo di trenta giorni. Inavvertitamente dando ragione a quei cattivoni dei texani, che la guardia nazionale preferiscono usarla a prevenzione sul confine, un concetto che in tempi post-pandemici pare diventato alieno a questo mondo)

Il senso del crimine

Sempre in tema di mondo che va al contrario. A Pittsburgh, per i “crimini non in corso e non urgenti” il centralino riferirà di rivolgersi alla stazione più vicina durante le ore di apertura.

Così scrive il sito di media locale WPXI Channel 11 che ha dato la notizia:

Ciò significa essenzialmente che le chiamate per reati contro la persona, furti, molestie e allarmi di scasso, solo per citarne alcuni, saranno tutte gestite dall’unità di segnalazione telefonica o dalla segnalazione online.

Non vanno meglio le cose a Toronto, nel Canada di Trudeau, dove la polizia suggerisce di lasciare le chiavi dell’auto in bella vista (magari direttamente nell’auto) per evitare effrazioni violente in casa da parte dei ladri d’auto. La un tempo ridente città canadese è infatti protagonista di un’impennata di furti d’auto: nel 2024 si è già superato il 2023. E non mancano i giornali locali che spiegano perché questa sia un’ottima idea, anche se può apparire un controsenso.

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Defund the police e andrà tutto bene, dicevano.

Lo scandalo WPATH Files

Nelle scorse settimane si è aperto il vaso di Pandora della divulgazione di discussioni interne alla World Professional Association for Transgender Health (WPATH), l’associazione internazionale che de-facto definisce (e impone) le procedure per l’affermazione di genere nei minori: bloccanti della pubertà, ormoni è chirurgia per la riassegnazione (o peggio della nullificazione) del sesso.

Sul blog abbiamo già dedicato un approfondimento alla divulgazione di contenuti di chat, forum e persino videoconferenze di medici e operatori impegnati nel settore ha finalmente svelato tutto quello che i critici del fenomeno gender e disforia già sapevano: molta ideologia e poca scienza. Dai devastanti effetti collaterali all’approccio puramente ideologico. Dall’evidenza che spesso né i minori né i loro genitori hanno consapevolezza di quello che viene proposto da medici ed operatori. Inutile parlare di consenso. Anche perché, e lo si sa da anni come dimostra anche il reality intorno alla vicenda di J, ragazzo transizionato MTF sotto i riflettori e visto come simbolo, le loro procedure sono una contraddizione allo stato puro: i bloccanti della pubertà prima e gli ormoni del sesso opposto poi limitano lo sviluppo dei giovani sottoposti a queste procedure. E intervenire chirurgicamente su un organismo non sviluppato e non maturato per creare una vagina al posto di un pene che non sì è sviluppato è roba da film guro giapponese.

Eppure la WPATH era sempre stata vista come il “lo dice la scienza” delle procedure per l’affermazione di genere. Questo quello che si legge ad esempio sul sito dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi una delle avanguardie italiane nel “trattamento della disforia di genere”: «Il centro opera in accordo con le linee guida della World Professional Association for Transgender Health (WPATH). Ulteriori informazioni sono disponibili su http://www.infotrans.it/»

Così l’equilibrato Il Post parlava del WPATH nel 2020: «delle linee guida considerate oggi più avanzate: quelle del WPATH, World Professional Association for Transgender Health, cioè l’organizzazione con la tradizione più consistente di studi sul tema. Le linee guida emanate dal WPATH (gli Standards of Care, S.O.C.) sono arrivate aggi alla settima revisione. Attualmente in Italia sono applicate da due centri, a Genova e a Messina».

O ancora su Open nemmeno un mese fa si leggeva: «Inoltre, l’uso di questi medicinali è stato approvato dagli standard di cura delle principali associazioni scientifiche mondiali del settore, tra cui la World Professional Association for Transgender Health (WPATH), l’Endocrine Society, e numerose Società italiane che si occupano di endocrinologia, identità di genere e salute.»

Piccola e doverosa rassegna stampa perché quello che preme sottolineare è che se all’estero la questione dei WPATH Files e delle sue implicazioni è stata portata alla luce anche dalla stampa progressista, in Italia la vicenda è stata largamente ignorata.

Ecco una breve rassegna di come il tema è stato trattato da tre testate ben lontane dalla visione di una destra conservatrice.

Il Washington Post titola: «Quando si trattano giovani transgender, quanto è informato il consenso informato?».

Il The Economist scrive: «Le discussioni trapelate rivelano l’incertezza sull’assistenza ai transgender», per poi rimarcare

Eppure le discussioni dimostrano che la fornitura delle cosiddette cure per l’affermazione del genere è costellata da molti più dubbi rispetto al messaggio del wpath secondo cui tali trattamenti non sono “considerati sperimentali”.

E va ben oltre il The Guardian, che ha l’onestà intellettuale di affrontare di petto il vaso di Pandora definendo il tutto disturbante (disturbing): «Perché le inquietanti fughe di notizie dal gruppo statunitense di gender WPATH fanno scattare un campanello d’allarme nel Servizio sanitario nazionale»

Arrivando poi nel corpo dell’articolo a definire il WPATH come:

Nonostante il titolo altisonante, il WPATH non è un organismo esclusivamente professionale – una parte significativa dei suoi membri è costituita da attivisti – né rappresenta il punto di vista “mondiale” su come prendersi cura di questo gruppo di persone. Non esiste un accordo globale sulle migliori pratiche.

Insomma: WPATH, più attivisti che scienziati. C’è da augurarsi che anche i media italiani inizino a porsi qualche domanda, perché se oggi cerchiamo WPATH in molti siti la ricerca non fornisce risultati successivi agli ultimi articoli di gennaio e febbraio in lode e gloria dei bloccanti della pubertà. Anche perché nelle settimane scorse il Careggi di Firenze è stato oggetto di un’ispezione ministeriale in merito alle procedure osservate. Parlar male della WPTAH oggi sarebbe come dar ragione al governo Meloni. Meglio far finta di niente, ma nel frattempo per chi ha il fegato di conoscere nel dettaglio la galleria degli orrori del WPATH files rimandiamo al canale YouTube Il mondo nuovo 2.0

 Due buone notizie per chiudere e un’ombra che incombe

Lo scandalo WPATH nel mondo anglosassone si verifica in un momento in cui il clima è favorevole a un possibile cambio di rotta. Negli Stati Uniti sedici atlete si uniscono per fare causa alla National Collegiate Athletics Association contro la decisione di far competere nella categoria femminile maschi biologici. Mentre nel Regno Unito cessa a livello nazionale la prescrizione di bloccanti della pubertà nelle strutture del servizio sanitario nazionale a cui erano delegate le attività in merito alla disforia di genere dopo la chiusura della Tavistock nel 2022.

Ma inutile essere ottimisti perché se anche su qualche tema il vento sembra cambiare, nelle wokkate della prossima settimana avremo un focus dedicato a tutte quelle legislazioni che mettono a rischio non solo la libertà di parola ma anche quella di pensiero, come il caso irlandese a cui abbiamo dedicato un approfondimento lo scorso anno.

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano (Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia (Eclettica, 2020).