di Enrico Petrucci e Emanuele Mastrangelo

Il mondo dei Social Justice Warriors non conosce riposo e l’azione degli unicorni arcobaleno questa settimana mette nel mirino due titani della cultura italiana: Michelangelo e Puccini.

A essere simbolo di patriarcato e suprematismo bianco è la Creazione nella cappella Sistina. Cotanta wokkata arriva dalla famigerata Robin DiAngelo (di origine italo-americana), notoria autrice di White Fragility, che a febbraio nel suo podcast Not Your Ordinary Parts ha descritto la Creazione di Michelangelo come il perfetto esempio di white supremacypatriarchy. A puntellare questa dotta conclusione, uno sfoggio di competenza biblica:

La singola immagine che uso per esprimere il concetto di supremazia bianca è la Cappella Sistina di Michelangelo, Dio che crea l’uomo. Sai, dove Dio è in una nuvola e ci sono tutti questi angeli e lui si protende e tocca – non so chi sia, David o qualcosa del genere – e Dio è bianco e David è bianco e gli angeli sono bianchi. Questa è la perfetta convergenza della supremazia bianca e del patriarcato, giusto?.

Sublime.

Difficile fare di meglio, e il povero Puccini può solo inseguire. D’altronde il Nessun dorma è stato largamente usato da Donald Trump, ergo i Social Justice Warriors lo hanno messo nel mirino da anni. A essere nuovamente nell’occhio del ciclone è la Turandot, il classico pucciniano, stavolta colpevole di stereotipi, appropriazione culturale e chi più ne ha più ne metta.

I teatri nordamericani da diversi anni tentano varie soluzioni per cercare di contentare gli SJW. A Toronto nel 2019 avevano deciso di “occidentalizzare la trama“. A Boston nel 2023 avevano optato per un cast interamente asiatico per evitare l’accusa di yellowface. E adesso è il turno del Metropolitan di New York che ha optato per un misurato trigger warning nel programma sbeffeggiato da molte testate. Ma come detto l’azione contro Puccini colpevole di opere intessute di elementi problematici per sesso, classe, stereotipi culturali, nonché di simpatia per il fascismo e la romanità, va avanti dal 2009. E già nel 2016, quando Trump faceva largo uso del Nessun dorma dalle pagine di Slate si tuonava contro Puccini descrivendo la Turandot come se essa stessa fosse un’allegoria del fascismo.  Tra l’altro gli SJW ripetono ossessivamente come la Turandot, oggi largamente apprezzata e adottata dalla Cina, fosse stata addirittura bandita da Mao per gli stereotipi culturali.

Rimaniamo nell’ambito dell’Arte, nel nostro volume di prossima pubblicazione per Eclettica scrivevamo “quanto ci sarebbe voluto prima che degli attivisti se la prendano e distruggano un quadro non dotato di vetri?”. Ebbene, il libro non è ancora nemmeno stampato, che già l’8 marzo scorso un quadro colpevole di rappresentare Arthur James Balfour, primo ministro britannico che nel 1917 fu autore dell’omonima dichiarazione d’intenti per una terra del popolo ebraico in Palestina, è stato prima imbrattato con vernice spray rossa e poi tagliuzzato. Il quadro era esposto all’università di Cambridge.

Per rimanere in tema di estremo oriente, una polemica ispirata dalla serie Shogun, coproduzione nipponica che si presenta con un approccio filologico rimarcato e rivendicato dalla produzione. Troppo filologico evidentemente. Sulla piattaforma  Medium è comparso un articolo di William Spivey che lamenta l’assenza di neri nella serie. Mancanza che viene sottolineata con fare passivo aggressivo:

Non lo chiedo per il desiderio di vedere una rappresentazione non storicamente accurata. Mi informo perché c’erano persone di colore in Giappone nel 1600 e prima.

Finendo poi per raccontare la dozzina (o meno) di casi acclarati di neri in Giappone dall’anno mille in poi. Notizia che suona estremamente paradossale perché gli stessi SJW qualche anno orsono applaudivano al cast “mono-etnico” del successo televisivo sudcoreano Squid Game che diede vita a un brevissimo trend di #hashtag del tipo Is Squid Game proof that you don’t need an all-white cast to be successful?

Veniamo poi a un paio di questioni di “politically correcteness” relativamente al linguaggio. La prima su un omicidio che si è verificato negli Stati Uniti: vittima una studentessa uccisa da un immigrato clandestino venezuelano. Durante il discorso  dello stato dell’Unione, Biden aveva usato il termine “illegal” ovvero “clandestino” (dopo la consueta gaffe sul nome della vittima), termine che negli ultimi anni si è caricato di un significato offensivo. L’ex speaker della camera Nancy Pelosi aveva stigmatizzato Biden, colpevole di aver usato un termine che usano i repubblicani. Nei giorni successivi Biden si è dovuto scusare per il linguaggio, spiegando che al netto della tragedia avrebbe dovuto usare il termine “undocumented”, “senza permesso”.

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Poi la tragedia che sta colpendo Haiti, dove alcuni media ipotizzano casi di cannibalismo. Molti canali social hanno mostrato un finto titolo di un giornale online dove si deprecava la sottotraccia razzista nelle critiche al cannibalismo. Ci sono cascati in molti, ma era a tutti gli effetti un falso.

Il problema è che non mancano le notizie vere dello stesso tenore. Qualche settimana fa il Daily Caller aveva rilanciato criticamente un articolo del magazine online New Scientist che stigmatizzava la tradizione religiosa occidentale per dare tutta questa importanza alla sacralità del corpo.

Viviamo ormai in un tempo in cui la realtà è anche più fuor di sesto dei fake.

In chiusura, due parole sul caso dell’amico e membro del consiglio scientifico del Machiavelli Spartaco Pupo, professore all’Università della Calabria “colpevole” per l’8 marzo di aver citato David Hume sui social. E già la call out culture replica gli stessi schemi del mondo anglosassone visto che pochi giorni prima altro docente universitario, Donatella Di Cesare, La Sapienza, postava un sentito ricordo di una brigatista rossa. Tiratine d’orecchio per le BR, scandalo per David Hume. Figura che nonostante sia un pilastro della filosofia britannica è già da diversi anni al centro di tentativi di cancel culture, compresa la cancellazione di titolazione di edifici.

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano (Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia (Eclettica, 2020).

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).