di Enrico Petrucci

Negli ultimi tre mesi la Marina degli Stati Uniti ha decommissionato quattro navi con pochi anni di servizio mettendole in riserva. Tutte Littoral Combat Ship della classe Freedom: la USS Sioux City messa in riserva dopo nemmeno 5 anni, la USS Little Rock (la cui decommissione è stata appena annunciata) dopo quasi sei anni. E le USS Mikwaukee e USS Detroit con 7 anni di impiego.

Queste dismissioni sono solo l’ennesimo capitolo della saga delle Littoral Combat Ship, un nuovo tipo di unità navale che nelle intenzioni della US Navy doveva rivoluzionare la marina da guerra del Terzo millennio. Le LCS dovevano rimpiazzare le vecchie fregate lanciamissili, con unità più piccole, tra la corvetta e il pattugliatore costiero. Unità che potessero essere rapidamente riconfigurate per ruoli diversi, ma che a nemmeno vent’anni dall’impostazione delle prime LCS rivela i limiti di un programma tanto ragionevole nella teoria quanto limitato nella pratica.

Una cautionary tale che vale da ammonimento sia sulla mutevolezza degli scenari della difesa contemporanea, sia dal punto di vista geopolitico che da quello tecnologico e industriale. Una storia con un riflesso positivo anche per uno dei campioni dell’industria della difesa italiana: le LCS verranno rimpiazzate dalle nuove fregate della classe Constellation realizzate nei cantieri della Marinette Marine, Wisconsin, rilevati nel 2009 da Fincantieri e basate proprio sulle fregate italo-francesi della classe FREMM.

Littoral Combat Ship e classe Zumwalt

Il programma delle Littoral Combat Ship nasce nei primi anni Duemila in cui la US Navy vede il contesto militare radicalmente mutato dai tempi della Guerra Fredda. Sono i tempi della guerra al terrorismo, nuove minacce per la sicurezza tra guerre asimmetriche e “Stati canaglia”, e per rimpiazzare le fregate della classe Oliver Hazard Perry introdotte a partire da metà degli anni Settanta si pensa a un concetto radicalmente nuovo.

Un nuovo tipo di unità, le Littoral Combat Ship, per un nuovo tipo di guerra. In grado di operare in acque costiere e che possano essere rapidamente riconfigurate per diversi tipi di operazioni: antisom, guerra di superficie, cacciamine e supporto alle operazioni anfibie. Tutto attraverso un’architettura modulare di armamenti, sensori ed equipaggiamenti, un equipaggio ridotto e fortemente orientato all’automazione. Altro elemento cruciale delle LCS la velocità di almeno 40 nodi, 10 in più di quelli di una normale fregata, in quanto nel contesto delle guerre asimmetriche una delle minacce principali è rappresentata da motoscafi e barchini d’attacco, inclusi mezzi ad effetto suolo come il Bavar 2 iraniano. E proprio la velocità diventerà uno dei “parametri critici” delle LCS sia a livello di propulsione per le Freedom che a livello di scafo per le Independence.

La vicenda dell’LCS si intreccia nei piani della US Navy con un’altra delle unità di nuova concezione per la guerra navale del terzo millennio: gli avveniristici cacciatorpediniere della classe Zumwalt. Destinati a rimpiazzare i caccia classe Arleigh Burke entrati in servizio a partire dagli anni Novanta, ne erano state previste 32 unità. Ne sono stati completati solo 3, e gli altri 29 cancellati e rimpiazzati proprio da una versione rinnovata dei Burke. I motivi del ritorno al passato? Il costo del programma (più del doppio per uno Zumwalt rispetto a un Burke), lo scafo dalla marcata campanatura, che privilegia le caratteristiche stealth rispetto alla tenuta del mare in alcune condizioni di mare mosso. E la capacità di fuoco, sia per il totale di missili imbarcati sia per i cannoni AGS, Advanced Gun System. Un altro flop epocale, un cannone rimasto senza proiettili: le munizioni-razzo da 155 mm Long Range Land Attack Projectile a guida GPS destinati agli AGS avevano un costo comparabile a quello di un missile Tomahawk e di fatto portarono all’interruzione del programma AGS/LRLAP. Dopo la valutazione dell’installazione di railgun, cannoni elettromagnetici, altro programma interrotto, si è deciso per gli Zumwalt sostituire gli inutilizzabili cannoni AGS con lanciatori per missili ipersonici Long-Range Hypersonic Weapon.

Indipendence e Freedom

L’US Navy iniziò a sperimentare il concetto di LCS con la Sea Fighter (FSF-1), impostata nel 2003, un catamarano a configurazione SWATH, concetto poi ripreso per alcune tipologie di traghetto veloce. Nel 2004 vennero affidato a Lockheed Martin e General Dynamics i contratti per realizzare le prime unità sperimentali dei rispettivi progetti di LCS. Quello della General Dynamics, realizzato con l’australiana Austal era di un trimarano in alluminio che sarebbe diventata la classe Independence, con numeri di scafo pari. Alla Lockheed Martin di concerto con la Marinette Marine la più convenzionale classe Freedom con scafo semiplanante in acciaio, identificate con numero di scafo dispari. Inizialmente l’idea era di realizzare due unità per ciascuna classe, e definire un unico vincitore del programma.

Nel 2010, invece si optò, essendo i costi di sviluppo ormai già pagati dal Pentagono, per realizzare 10 unità di ciascuna classe, armonizzando però i sistemi elettronici di bordo. Scelta che plausibilmente non scontentava nessuno, ma che non ha contribuito a ridurre i costi di sviluppo e messa in linea, anche tenendo conto dei problemi che affliggeranno le due classi Indipendence e Freedom. A parziale contentino dei “taxpayer” a stelle e strisce l’idea che i trimarani Independence erano più adatti alle operazioni deep blue, d’altura, nel Pacifico, e le Freedom alle acque del golfo Persico (complice anche lo scafo d’acciaio ad alta resistenza più adatto nelle minacce costiere).

I problemi

 Entrambe le classi, in quanto mezzi all’avanguardia, sono stati gravati fin dall’inizio da diversi problemi che ne hanno compromesso l’impiego operativo. I trimarani in alluminio di classe Independence hanno manifestato inizialmente problemi di corrosione galvanica allo scafo. Problema completamente risolto con nuovi trattamenti a partire dalla terza unità (le prime due unità della classe, Independence e Coronado sono già state decommissionate tra il 2021 e il 2022). A questo si è aggiunto a partire dal 2019 l’evidenza di crepe nella giunzione tra scafo e ponte sulla Coronado. Crepe che si sono manifestate in altre 5 unità delle classe e legate alla navigazione con velocità superiore ai 15 nodi in condizioni di mare forza 4, tanto alla sesta unità la Omaha sono state imposte limitazioni alla velocità.

Le più convenzionali classe Freedom con i loro scafi in acciaio non sono state piagate da problemi allo scafo, ma hanno avuto anche loro diversi problemi relativamente al sistema di propulsione. Entrambe le classi sfruttano degli idrogetti, ma i trimarani della Freedom sono basate su un sistema CODOG, combinato diesel o gas, in cui si utilizza un motore diesel per la velocità di crociera e una turbina a gas per le alte velocità. Le Freedom, più veloci, sono basate su un sistema CODAG, in cui entrambi le tipologie di motori possono essere accoppiati agli assi. Dopo alcune rotture subite alla trasmissione della Milwaukee, della Fort Worth e della Detroit, nel 2021 la US Navy ha individuato un difetto di progettazione nella trasmissione delle unità che ha portato sia alla sospensione delle consegne delle unità in essere (poi ripresa) e dell’aggiornamento delle altre unità.

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Altra critica alle LCS di entrambe le classi, il cannone da 57 mm, ritenuto adatto più a pattugliatori costieri che al ruolo di fregata che pure le LCS andrebbero a coprire (tipologia di arma scelta anche per limitare i costi). E l’altro limite significativo è quello dell’equipaggio ritenuto troppo ridotto per le necessità operative della nave. Come riporta il canale televisivo locale WGRZ (affiliato alla NBC) citando l’analista navale Chris Cavas e commentatore del podcast CavasShips:

Alla Marina è stato detto di manovrare questa nave con un equipaggio di 40 persone. Nessuno ha mai detto che avremmo potuto farlo con 40 persone. È stato detto loro di farla funzionare con 40 persone. Si è scoperto che non è possibile.

I tentativi di dismissione

Già tra il 2013 e il 2014, quando erano già entrate in servizio due unità per ciascuna classe la US Navy iniziò a tornare sui suoi passi. Il programma di 55 LCS venne ridotto a 36 unità, e si pensò di tornare a fregate “convenzionali”. Nel 2017 la US Navy annunciava il nuovo programma FFG(X) per delle fregate di fatto relegando le Littoral Combat Ship a ruoli da pattugliatore, corvetta e contromisure mine. Le proposte vennero fatte nel 2018, con il 2020 venne annunciato il vincitore Fincantieri Marine Group, già impegnata nella costruzione delle Freedom, con il progetto derivato dalle italo-francesi FREMM.

Quello che non ci si sarebbe aspettato è che nonostante il programma LCS sia ancora in essere (con la situazione paradossale di avere nel 2023 sia nuovi vari che nuove dismissioni delle LCS) la US Navy stia cercando di avvicinarne più rapidamente possibile l’epilogo. Innanzitutto rinunciando ai all’interoperabilità dei moduli di missione e configurando ogni unità in maniera definitiva.

E poi cercando di dismettere il maggior numero di LCS, anche per le valutazione che di fatto le LCS, specialmente le Freedom, non sono in grado di competere con la crescente minaccia cinese. Questo anche alla luce di un leak di intelligence, ripreso tra gli altri da Business Insider e confermato da Fox che a livello di cantieristica navale militare la Cina avrebbe oscurato, considerando il tonnellaggio complessivo, le capacità industriali statunitensi 232 volte a 1!

Nel 2020 la US Navy propose di decommissionare le prime due unità di ciascuna classe, proposta limitata alle due capoclasse. Poi nel 2021 si pianificò di ritirare dal servizio tre classe Freedom e la Coronado, seconda unità classe Independence, e alla fine solo quest’ultima. Infine a marzo 2022 si decise di piazzare tutte le nove Freedom dal servizio attivo alla riserva. Poi nel maggio 2022 si prospettò l’idea di trasferire le Freedom a marine alleate. Al 2023 sono state decommissionate solo 4 Freedom e per altre 4 ne é stata ventilata nuovamente la vendita. Anche per due classe Independence, USS Jackson (LCS 6) and Montgomery (LCS 8), la US Navy ha proposto la decommissione, ventilando al contempo la vendita all’estero. Un tentativo bloccato dal Congresso che non vuole lasciare sguarnita la Marina in questa fase.

La cautionary tale. Ovvero, morale della favola

Indipendentemente da come finirà la storia delle Littoral Combat Ship, e se almeno le unità più recenti riusciranno a completare gli almeno 25 anni di servizio inizialmente previsti, la vicenda è illuminante dal punto di vista tecnologico-operativo. Troppi elementi innovativi, quasi da dimostratore tecnologico, in unità operative che poi non sono state in grado di garantire l’operabilità quotidiana. E allo stesso modo, come evidenziato dal conflitto russo-ucraino, il fatto che anche le tecnologie game changer devono essere sempre calate in un contesto di operatività fatto di produzione e manutenzione.

Altro elemento da sottolineare sul piano dell’industria nazionale, visto che le LCS saranno rimpiazziate da un progetto derivato delle FREMM, è l’importanza di avere mezzi operativi e all’avanguardia per le proprie FF.AA. nell’ottica di valorizzare la propria industria anche nella visione promozionale del comparto difesa. Passando dalla marina all’aeronautica è proprio quello che rimarcava l’analista e docente Gregory Alegi in un’intervista a La Stampa ripresa anche da Il Post in merito alla tragedia occorsa a Torino nell’incidente causato da un velivolo delle Frecce Tricolori che ha causato la morte di una bambina. Frecce Tricolori che non sono soltanto un veicolo di promozione dell’idea nazionale, ma anche uno strumento di promozione della propria industria. E parlando di Frecce Tricolori è un peccato che l’occasione del Centenario dell’Aeronautica non possa essere diventata l’occasione per il passaggio di testimone dagli Aermacchi MB.339 al nuovo Leonardo M.345, inizialmente prevista nel 2017, ma poi sempre posticipata (a partire dal governo Renzi nel 2014) per motivi di budget. Introduzione che dovrebbe arrivare nel 2024 ma ancora senza date certe comunicate.

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano (Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia (Eclettica, 2020).