di Gioacchino La Rocca

Un’ipotesi di lavoro: da Kant a Hegel

Il presente momento elettorale risuona di parole come “liberale”, “progressista”, “conservatore”, le quali, tuttavia, sembrano avere un marcato sapore di etichette, buone al più per evocare una qualche suggestione di “destra” o di “sinistra”, pur con tutti i dubbi suscitati da tale bipolarizzazione1. Su queste premesse, non è inutile chiedersi se siamo di fronte a “giochi linguistici” soggetti a “manipolazione massmediale”2, o se sia in qualche modo possibile evitare una conclusione così desolante.

La decifrazione dei possibili significati può prendere le mosse dall’individuazione di un comun denominatore, per quanto generico esso possa sembrare. In questa direzione è possibile osservare che quelle parole (“liberale”, “progressista”, “conservatore”) mirano in modo vago a riassumere un’idea di collettività, ossia un’idea di come – a quali valori – dovrebbero essere improntati sia i rapporti tra il singolo individuo e gli altri componenti di una data organizzazione sociopolitica, sia i rapporti tra i singoli individui e l’organizzazione medesima.

Con uno schematismo evidente, ma non del tutto infondato, si può forse affermare che negli ultimi due secoli si sono contrapposte – con varianti non necessariamente decisive – due visioni: una riconducibile a Kant, ma saldamente ancorata ad una tradizione che si potrebbe far risalire – sempre con approssimazioni generose – da Aristotele al giusnaturalismo; l’altra, che per più versi trova in qualche modo la sua ispirazione in Hegel.

“Una legge universale di libertà”

Secondo il primo orientamento, ciascun individuo possiede delle prerogative, dei diritti, che può esercitare discrezionalmente (secondo il suo “arbitrio”: questa è la parola utilizzata da Kant: v. seconda parte di questo articolo), con il solo limite che “l’arbitrio dell’uno [possa] accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo una legge universale di libertà”3. Su questo paradigma si sono innestate visioni antropologiche e, di conseguenza, economico-politiche, di cui non è difficile scorgere i profili di fondo.

Sul piano antropologico, vale a dire del modello di essere umano da esso presupposto, questo orientamento, che per comodità possiamo chiamare “liberale-kantiano”, postula un essere umano intrinsecamente razionale e, dunque, intrinsecamente libero. Il collegamento tra razionalità e libertà è di cruciale importanza: la razionalità può essere descritta – anche in questo caso semplifico molto – come capacità di ordinare la propria condotta in vista di un determinato fine in un quadro coerente di preferenze. Questa capacità di individuare i propri fini e di organizzare i propri comportamenti in funzione di essi è stata interpretata da filosofi e giuristi come conferma della libertà di ciascun individuo.

Alla libertà individuale è fissato un solo limite. Esso consiste nel rispetto della libertà e della dignità degli altri. La “legge universale di libertà”, predicata da Kant, è fondata su un dogma, che tuttora conserva una sua indiscutibile solidità: nessun essere umano può essere “strumento” per la realizzazione dei fini di altri esseri umani perché ciò equivarrebbe a violare la sua “dignità”4.

Due miti del paradigma liberale: homo oeconomicus ed efficienza allocativa del mercato

“Libertà” e “razionalità”, si è detto. Da questo binomio trae fondamento il conseguente assunto dell’insindacabilità e dell’intrinseca “giustezza” delle scelte individuali: se gli individui sono liberi di scegliere, la loro razionalità li guiderà verso ciò che è “bene” e “giusto” per loro. Su questo presupposto è evidente che nessuno ha titolo per sindacare tali scelte: esse costituiscono un valore in sé in quanto – frutto della libertà/razionalità dell’individuo – ne esprimono l’intrinseco modo di essere. La sola eccezione ammissibile – ma che nella realtà concreta è talvolta disapplicata – è che la legge penale vieti specificamente le scelte medesime, le conseguenti condotte ed i fini perseguiti.

Su questi postulati, che costituiscono il momento fondativo del paradigma “liberale” della società, si sono costruite autentiche “stelle polari” di una parte del pensiero occidentale. Prima fra tutte la figura del “homo oeconomicus”, ossia di un essere umano in grado di organizzare le proprie preferenze in modo assolutamente coerente e razionale, onde ordinare i propri fini, ed i beni cui aspira, secondo una scala di priorità perfettamente chiara e definita, così da poter conseguire fini e beni con il minor dispendio possibile di risorse5. Tanta fiducia si è avuta (e si ha) in questo modello di assoluta razionalità, che da oltre un secolo gli economisti ritengono di poter descrivere e analizzare le condotte umane attraverso gelide formule matematiche, le quali ben poco spazio lasciano all’“umanità” del soggetto che pretendono di studiare6.

Questo modello – così disumanizzato e disumanizzante – non ha influenzato solo gli studi degli economisti. Esso, più precisamente, non è rimasto confinato nel limbo delle teorie economiche c.d. “neoclassiche” e nel mito della “catallassi” del mercato, ossia nel mito secondo il quale il mercato, in quanto luogo in cui si esprimono le scelte di individui razionali, sarebbe di regola in grado di raggiungere spontaneamente un equilibrio tale da rendere tutti (più o meno) soddisfatti, ognuno secondo le sue capacità. Consumatori razionali – argomenta chi sostiene questa tesi – indirizzeranno le proprie risorse su beni aventi un rapporto qualità/prezzo da essi ritenuto soddisfacente. Del pari, produttori razionali orienteranno la loro produzione sui beni che vedono premiati dalle scelte dei consumatori, ossia dal mercato, cercando di comprimere i prezzi per attrarre un maggior numero di compratori, con il risultato finale complessivo della maggiore soddisfazione dei più, se non di tutti. Di qui, la formula – nata con riferimento ai mercati finanziari7 ma poi rilanciata in una prospettiva più generale – dei “mercati efficienti”.

Qui non interessa precisare che nella realtà odierna i produttori orientano le loro scelte produttive attraverso sofisticati algoritmi in grado in qualche modo di “anticipare” il mercato8. Qui interessa piuttosto soffermarsi su una importante conseguenza dell’idea dell’efficienza allocativa del mercato: se il mercato, che – si ripete – è il luogo in cui si esprimono e si confrontano scelte individuali presupposte come razionali, libere e consapevoli, è in grado di soddisfare le aspettative degli esseri umani, qualsiasi “interferenza” da parte del legislatore non può che essere controindicata nella misura in cui altera meccanismi intrinsecamente efficienti. In forma meno astratta, questa idea si riscontra già nelle affermazioni di filosofi ed economisti inglesi della metà del XIX secolo, i quali sostennero che nessun governo sarebbe stato in grado di conoscere meglio di un qualsiasi commerciante cosa fosse meglio per lui nel suo commercio e quali mezzi fossero maggiormente adatti per conseguire questo “meglio”, con il corollario che il governo si sarebbe dovuto ben guardare dall’intervenire sul commercio medesimo ed in genere tanto sulle questioni economiche, quanto sulle scelte individuali.

Queste teorie, che qui si è cercato di semplificare al massimo, hanno costituito il main stream del pensiero economico-politico, che ha dominato il mondo occidentale per almeno tre decadi, tra la fine del Novecento e i primi anni Duemila, sancendo, in definitiva, quello che viene chiamato il primato dell’economia sulla politica. In particolare, queste teorie hanno ispirato la concreta regolazione del mercato finanziario, il quale negli ultimi decenni ha assunto un ruolo cruciale anche grazie all’innesto dell’informatica, fino a svincolarsi dalla produzione manifatturiera della quale era storicamente servente. Per quanto riguarda l’Europa, il prodotto più importante del refrain “più mercato, meno Stato” è stato la direttiva 2004/39/CE, nota anche come MIFID I.

Le teorie sopra accennate e le conseguenti applicazioni regolatorie hanno posto i presupposti per la crisi finanziaria del 2007-20089. La reazione, peraltro, è stata salutare e significativa. Almeno per quanta riguarda l’Europa, si è determinata una radicale inversione di tendenza: il ritorno ad una regolazione meno market friendly e per certi versi più incisiva di quella auspicata dal c.d. “paternalismo libertario”10 è stato sancito dalla direttiva 2014/65/UE, dal regolamento UE n. 600/2014 e dalle numerose direttive di attuazione11.

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Postulato di razionalità e sviamenti cognitivi: il contributo delle neuroscienze

Al mutamento delle strategie di regolazione del mercato non è estraneo il decisivo apporto delle neuroscienze. Quando la tecnologia ha messo a disposizione della ricerca scientifica gli strumenti per indagare l’effettivo funzionamento del cervello umano, si è avuta conferma di quanto intuito fin dagli anni Sessanta dal Premio Nobel per l’economia 2002, David Kahneman, ossia che gli esseri umani sono di regola soggetti ad una serie di errori cognitivi, che inficiano sensibilmente l’assunto della razionalità delle loro scelte: infatti, “le prove sperimentali mettono radicalmente in discussione l’idea che gli uomini abbiano preferenze coerenti e sappiano massimizzarle, un’idea che rappresenta la base stessa del modello dell’agente razionale”12.

Non si tratta, dunque, di una “razionalità limitata” a causa della difficoltà di raccogliere e processare le informazioni necessarie per una scelta effettivamente razionale in quanto consapevole – come per decenni è stato predicato dalla c.d. “economia dell’informazione”13. Il dato posto in luce dalle ricerche recenti è strutturale, non emendabile con un surplus di informazione circa il contesto nel quale la decisione deve essere presa: ciò perché i meccanismi mentali – ci dicono le neuroscienze cognitive14 – inducono il decisore a falsare la rilevanza oggettiva delle informazioni e a dare un peso maggiore alle informazioni e agli elementi che avvalorano le sue personali e autoreferenziali preferenze15.

Proprio la strutturalità del dato impone la necessità di ripensare la luce valoriale proiettata sulle scelte umane. Esse non sono espressione della “scintilla di Dio”, ossia di un essere che si distingue dagli altri organismi viventi in quanto in grado di apprezzare, sia pure in modo soggettivo, il senso profondo della “verità” riflessa nella “natura”, nell’esperienza, nella Storia. Le “prove sperimentali” hanno dimostrato che gli esseri umani, le loro preferenze, le loro scelte sono agevolmente manipolabili da quanti, in campo economico e politico, mirano ad orientare le scelte medesime in funzione dei loro privati interessi.

In questo scenario occorre chiedersi cosa rimane della legittimazione dell’uomo ad agire sulla realtà, che viene fondata dalla Seconda Scolastica in poi proprio sulla capacità – per secoli postulata come intrinsecamente immanente, autonoma, libera – dell’essere umano di apprezzare, comprendere e, di conseguenza, volere e agire16, ponendosi così a motore della Storia.

(continua)

1 V. ad es. – oltre a Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Roma, 1994 – le differenti prospettive di Fava, La destra e la sinistra nell’era dei populismi. Uno studio di caso, in “Polis”, 2022, 2, 219 ss.; Becchi, in “L’ircocervo”, 19 (2020), n. 1, 16; Tarchi, Destra e sinistra. Due concetti sospesi tra essenze, tipi ideali e convenzioni, in Passigli (cur.), La politica come scienza. Scritti in onore di Giovanni Sartori, Firenze, 2015, 471 ss.; Donnarumma, Destra e sinistra: una diade ancora attuale, in “Diritto penale e uomo”.
2 Così Tarchi, op. cit., 480.
3 Kant, La metafisica dei costumi, trad. it. Di Vidari, Roma-Bari, 1998, 34.
4 V. ad es. a proposito di maternità surrogata La Rocca, La genitorialità omoaffettiva tra artt. 2 e 29 Cost., in www.ilcaso.it, 7 ss. Un’ampia indagine sul tema della “dignità” in Becchi, Il principio della dignità umana, Brescia, 2013.
5 La teoria economica tradizionale postula un “uomo economico” che, nell’essere “economico”, è anche “razionale”. Si assume che quest’uomo abbia una conoscenza degli aspetti rilevanti del suo ambiente che, se non è completa in assoluto, è almeno eccezionalmente chiara e voluminosa. Si assume anche che abbia un sistema di preferenze ben organizzato e stabile, ed una abilità di calcolo che lo metta in grado di stabilire, tra i corsi di azione alternativi che gli sono disponibili, quale gli permetta di raggiungere il punto più alto ottenibile sulla sua scala di preferenza: così H. A. Simon, premio Nobel per l’economia 1978, descrive in senso critico il modello cui si fa riferimento nel testo in Un modello comportamentale di scelta razionale (A Behavioural Model of Rational Choice, 1955), ora in Causalità, razionalità, organizzazione, Bologna, 1985, 119 ss.
6 Ne sono ovviamente consapevoli gli stessi economisti: il Premio Nobel per l’economia del 1991 ha sarcasticamente osservato, tra l’altro, che “il razionale massimizzatore di utilità della teoria economica non ha punto di contatto con l’uomo sul bus per Clapham, o veramente con alcun uomo o donna su un qualsiasi bus” (Coase, Impresa mercati diritto, ed. it., Bologna, 1995, 41 ss.).
7 Fama, Efficient Capital Markets: a review of theory and empirical work, in “The Journal of Finance”, 1970, vol. 25, n. 2, 383 ss.
8 V. almeno Mayer-Schönberger, Cukier, Big Data. Una rivoluzione che trasformerà il nostro modo di vivere, Milano, 2013.
9 In proposito v. almeno Onado, I nodi al pettine. La crisi finanziaria e le regole mai scritte, Roma-Bari, 2009; R. Posner, La crisi della democrazia capitalista, con pref. di Guido Rossi, Milano, 2010; Partnoy, Financial systems, crises and regulation, in Moloney, Ferran, Payne (curr.), The Oxford Handbook of financial regulation, Oxford University, 2017, 68 ss.
10 Sunstein, Effetto nudge. La politica del paternalismo libertario, ed. it., Milano, 2015.
11 Per indicazioni v. La Rocca, Introduzione alla product governance. Premesse sistematiche; obblighi e responsabilità dei «produttori», in “Banca, borsa, tit. credito”, 2021, I, 566 ss.
12 Kahneman, Pensieri lenti e veloci, ed. it. Milano, 2013, 425.
13 Sulla letteratura in materia v. almeno Saltari (cur.), Informazione e teoria economica, Bologna, 1990; Löfgren, Persson, Weibull, Markets with asymmetric information: the contribution of George Akerlof, Michael Spence and Joseph Stiglitz, in “Scand. J. Of Economics” 104 (2), 195-211, (2002).
14 Oliverio, Neuroscienze cognitive, voce dell’Enciclopedia Italiana, appendice VII, Roma, 2007.
15 Kahneman, op. cit., 91 ss.; Elster, Ulisse e le sirene. Indagini sulla razionalità e sull’irrazionalità, ed. it., Bologna, 1983, 219 ss.
16 Si è affermato infatti che l’uomo ha potere sulla natura “per intellectum et voluntatem, quia per haec immediate habet potestatem in suos actus et per suos actus in res externas” (Lessio, De Iustitia et Iure ceterisque virtutibus cardinalibus libri quatuor. Ad secundam secundae, D. Thoma, a quaest. 47 usque ad 171., Ed. Tertia, Milano, 1613, Liber Secundus, Caput Quartum, Quibus et in quae Dominium competat, Dub. I, 1, pag. 23.

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Consigliere Scientifico del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Già Capo dell'Ufficio Legale di una banca, è attualmente Professore Ordinario di Diritto civile all'Università di Milano-Bicocca. Ha pubblicato sei libri e circa un centinaio di articoli e scritti minori in materia di diritto privato, commerciale, bancario, finanziario.