L’attentato di matrice neonazista ha colpito la Germania più profonda, quella di Haendel, Lutero e di Wolff (dimenticato illuminista tedesco). Si tratta della dimostrazione lampante che la destra tedesca sta avanzando nell’indifferenza dell’opinione pubblica europea, osserva Giuseppe Veltri, ebraista di origini calabresi dell’Università di Amburgo, che vive da oltre vent’anni ad Halle. Anzi, aggiunge Veltri, le ripetute parole di Björn Höcke, capogruppo di AfD in Turingia, sarebbero lì a dimostrare come la destra sia ormai stata del tutto sdoganata: il linguaggio ricalca le odiose farneticazioni antisemite del nazismo “storico”. Ma di quale destra stiamo parlando? Del partito nazionaldemocratico tedesco (erede virtuale del partito nazionalsocialista? Di Pegida (la lega europea anti-islamica)? Oppure di Alternativa per la Germania, più o meno additata da tutti gli ambienti politici come la vera responsabile morale dell’efferato attacco di Stephane Balliet?

Nella spasmodica ricerca di un colpevole si fanno tanti nomi, ma la responsabilità morale pare accertata: è la destra nazifascista, omofoba, antifemminista e anti-immigrati, che miete consensi fra gli “incazzati” della globalizzazione, quella frangia marginale di individui incapaci di assumersi le proprie responsabilità di fronte alla vita, volta a emulare (fortunatamente malamente) i “successi” mediatici di Breivik e di Tarrant. Come succede spesso in queste occasioni, le isterie sono politicamente comprensibili, ma, come ogni fuoco fatuo che si rispetti, non arrecano alcun valore aggiunto a un quadro piuttosto chiaro: quello del gesto di un mitomane difficilmente prevedibile (se non aumentando la sorveglianza di luoghi sensibili come le sinagoghe dello Yom Kippur).

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Riflettiamo tuttavia sul ricorrente tema dell’uso delle parole nell’arena politica. Spesso si dice che le parole di odio facciano male alle teste delle persone più fragili, mentre quelle della “ragione” siano le uniche armi (i “vaccini”, si noti l’espressione biopolitica) contro l’insorgere di sentimenti negativi e violenti, spesso rivolti contro le minoranze più o meno indifese (immigrati, donne, ebrei, ecc.). Tutte le formazioni politiche che ricorrano a termini anti- con un linguaggio scurrile, becero ecc. devono (dunque possono, direbbe Kant) accettare il linguaggio della libertà e della legge morale. Ma a quale realtà si riferiscano queste parole è un mistero. Sono “immaginazioni” di un paranoico, certo. Sono il frutto di un emarginato alla ricerca di una identità forte, certo. Sono l’ennesima dimostrazione che gli ebrei devono (e dunque potranno) vivere nella loro Terra di Israele, certo. Sono infine la dimostrazione che l’Europa dei cittadini illuminati deve accelerare il passo verso la sua unificazione, certo.

Non sappiamo cosa vi sia nella mente di Stephane Balliet. Se per lui l’ebreo sia un uomo effettivo, un semplice suono oppure un’astrazione (per rispolverare la sempre importante quaestio de universalibus). Sappiamo tuttavia che la vera sfida politica del nuovo millennio è quella fra chi tenta faticosamente di imparare dai fatti della storia e chi ritiene che il passato non passi mai. Non multum, sed multa.


Vincenzo Pinto, storico, è direttore della rivista “FreeEbrei” e dell’omonima casa editrice.