di Loris Puccio Conti

La vicenda di Giovanna Pedretti: cos’è accaduto e perché non rappresenta un caso isolato

Il moralismo a tinte arcobaleno provoca nausea, ilarità e, nei casi estremi, uccide. Più precisamente: i bulimici tentativi per sfoggiare il proprio ego politicamente corretto sui più o meno imponenti piedistalli digitali e televisivi producono una serie di schizofrenie dalle tonalità grottesche oppure drammatiche – le prime in regime di ordinaria amministrazione e le seconde nei giorni domenicali.

In tal senso, il tragico epilogo della vicenda di Giovanna Pedretti rappresenta un caso limite riconducibile a quell’insieme di precedenti di cronaca accomunati da tre elementi essenziali: la spasmodica ricerca della validazione sociale, l’angoscioso tentativo di incarnare l’ortodossia politicamente corretta nella maniera più pura possibile e il gretto perseguimento del proprio tornaconto materiale. Tra i precedenti che hanno suscitato maggior clamore è possibile citare, tra gli altri, la truffa di Chiara Ferragni; il caso Soumahoro; il “modello Riace” di Mimmo Lucano; le attività illecite di Luca Casarini; i maltrattamenti riservati alle proprie domestiche e collaboratrici da Laura Boldrini.

La parabola di Giovanna Pedretti avviene nell’arco di 72 ore e vede il proprio epilogo nel reperimento del cadavere della donna nel fiume Lambro nel primo pomeriggio di domenica 14 gennaio. Tutto ha avuto inizio con la pubblicazione da parte della ristoratrice di un’immagine ritraente, da una parte, la recensione di un cliente stizzito per aver mangiato accanto a una coppia di omosessuali e a un disabile, e dall’altra, la propria replica al sapore insipido di filippica trita e ritrita dei soliti luoghi comuni “inclusivi” e “tolleranti”. La vicenda assume immediatamente un ampissimo eco mediatico tra l’attenzione del pubblico dei social network, dei giornali e delle televisioni e perfino gli elogi del ministro per le Disabilità, Alessandra Locatelli. La ristoratrice, però, da “eroina” si trasforma in “infame” quando Selvaggia Lucarelli e lo chef influencer Lorenzo Biagirelli avanzano dubbi intorno all’autenticità dei fatti e interpretano il tutto come un’operazione di marketing a favore del proprio locale. Giovanna Pedretti viene, così, inondata dagli insulti e nel giro di poche ore, al culmine della sopportazione di tutto l’odio circostante, compie l’estremo gesto. D’altro canto, nel mirino delle critiche finisce anche la stessa Lucarelli per aver generato per prima l’inasprimento dei toni e una vera e propria caccia alle streghe.

Il fulcro è la perversione narcisista dell’attuale sistema sociale e massmediatico

In merito a questa vicenda non occorre tanto individuare i carnefici e le vittime quanto evidenziare la perversa atmosfera sottostante con la sua cappa ideologica e le sue turbolenze sensazionalistiche e spettacolari. Giovanna Pedretti è soltanto l’ennesima paladina – dopo i Ferragni, i Soumahoro e gli altri precedentemente citati – del politicamente corretto, l’ultimo personaggio passato sotto i riflettori che si è dimostrato particolarmente abile a promuovere (forse) i propri interessi materiali e (sicuramente) il proprio ego utilizzando l’ideologia, il piagnisteo e le distorsioni della narrativa massmediatica del momento.

Per provare ad avanzare un’interpretazione più profonda dei fatti, occorre compiere un passo indietro e individuare il tratto essenziale dell’epoca attuale in quello che Michel Houellebecq ha definito come “l’estensione del dominio della lotta”. I singoli individui – reciprocamente slegati e “liberati” da ogni sorta di vincolo morale, comunitario, classista, famigliare e religioso – appaiono come atomi in perpetuo combattimento, soggiogati in ogni campo della sfera sociale da quella “libera concorrenza” che originariamente si limitava al solo ambito economico. In questo quadro, come già rilevava alla fine degli anni Settanta Cristopher Lasch, il sentimento fondante è il narcisismo e i suoi corollari ideologici sono il permessivismo, un’etica della comodità, il culto dell’edonismo e dell’autorealizzazione, il ripudio del passato e della natura a favore della costruzione di un presente infinito e di un’identità fittizia.

Nel turbinio della lotta, gli individui narcisisti provano a realizzare l’ascesa sociale aspirando all’acritica ammirazione altrui per la propria persona e abolendo sostanzialmente ogni distinzione tra pubblico e privato. Qui i social network mostrano la loro natura tutt’altro che neutrale. Infatti, sotto i riflettori degli smartphone – allo stesso modo delle videocamere televisive su più vasta scala – passano in rassegna gli atti più o meno riservati della vita del medio individuo narcisista: il sabato sera e gli altri momenti ludici, l’acquisto o l’esibizione di un indumento più o meno seducente o bizzarro, le tenerezze degli animali domestici e dei propri affetti. Tutto ciò che resta al di fuori dei suddetti riflettori è condannato sostanzialmente all’inesistenza, all’oblio, ai margini della lotta. Si dovrebbero incoraggiare, in tal senso, gli studi in psicopatologia per comprendere, delimitare e condannare tutti quei larghi comportamenti disconnessi dalla realtà (la smania di ritrarre sullo schermo e diffondere un paesaggio senza goderlo con i propri occhi; il tempo perduto nell’asfissiante selezione del proprio “outfit” e della giusta angolazione fotografica; l’irrefrenabile tendenza a porre le proprie natiche in primo piano…).

In questo quadro, il narcisista – si legga “influencer” – può potenziare il proprio “io” e diffondere ulteriormente i propri contenuti incarnando le leggi coraniche del politicamente corretto oppure, più in generale, le tendenze più comode, in voga in un certo momento. Meccanismi così perversi minano naturalmente le fondamenta della moralità delle “vecchie zie” – in primis la raccomandazione secondo la quale «la beneficenza si fa ma non si dice» ma anche, più in generale, la tendenza alla sobrietà, al risparmio e al lavoro quali fatti di decoro, l’attaccamento ai sani valori famigliari e borghesi di una volta.

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Tra la nausea, il dramma e l’ilarità

Al pari della struttura di un esercito, di un’organizzazione religiosa e sociale del passato e del presente, anche l’attuale società narcisista in conflitto perpetuo assume una forma gerarchica. Così sussiste un vertice, un’élite ristretta e arroccata nel proprio olimpo, una base di marmaglia e di scemi del villaggio e una serie di quadri intermedi più o meno plebei e distanti dalle due estremità.

Al di là del triste epilogo, i teatrini di Selvaggia Lucarelli e di Giovanna Pedretti ricorrono tutti i giorni, sia tra i vertici sia tra le zone più infime della piramide sociale. Così la strenua difesa dei diritti e dei capricci delle “minoranze”, la costruzione narcisista di un proprio “io” esteriore buono e giusto, la caccia ai “cattivi”, il tentativo di costruire un mondo “inclusivo” e “tollerante” costituiscono istanze talmente ricorrenti fino a suscitare la nausea. È sufficiente, infatti, accendere la televisione a qualsiasi orario o sfogliare le pagine di quasi tutte le testate nazionali per ritrovarsi attorniati da simili pose coreografiche. E, in tal senso, non c’è scampo neanche tra le opinioni, le abitudini e i contenuti audiovisivi promossi da chi ci circonda su scala ridotta. Pressoché tutti, infatti, conosciamo qualcuno che si dimostra fiero di aver vissuto un anno in Erasmus, all’estero o in missione in Africa e di aver così “aperto” i propri “orizzonti”, oppure di aver donato il sangue o prestato servizio in Croce Rossa (con tanto di accompagnamento danzante o di tesserini e divise in mostra), oppure di aver contribuito simbolicamente o concretamente alla causa conformista del momento (vaccinandosi in tempo di pandemia, sventolando i colori arcobaleno in vari modi oppure esponendo bandiere francesi o l’espressione “Je suis Charlie” nel periodo del terrorismo islamico…).

Proprio a questo stato di cose, con annesse le glorie e gli oneri di ciascun gradino nella gerarchia sociale dell’attuale società narcisista in perenne lotta, è in qualche modo legato con tutta probabilità il suicidio della ristoratrice del Lodigiano. Una personalità simile, d’altronde, era sicuramente più o meno imbevuta di buonismo, degli ideali woke, dell’appagamento esibizionista legato alle attività sui social network al pari di una Lucarelli o di qualsiasi altro personaggio televisivo. A differenza di questi, però, le spalle della Pedretti erano pur sempre misurate sulle anguste e limitate esperienze di una vita in periferia, poco avvezze alle pressioni, ai clamori della grande stampa e dei palcoscenici. Per una volta, pertanto, si sono ritrovate sullo stesso ring due profili di peso differente, due personalità, però, parimenti smaniose di attenzioni, di tracciare un solco tra il proprio “io” buono e inclusivo e un “loro” intriso di cattiveria, discriminazione e Medioevo. Né la Lucarelli né la Pedretti sono state coscienti dei rischi e della consistenza delle proprie azioni in quanto entrambe immerse nel furore della lotta e della non-razionalità liberale. Quest’ultima, infatti, procede unilateralmente verso il perseguimento e il calcolo del proprio interesse materiale e si discosta dall’autentica razionalità, cioè dalla ragione critica volta a ricercare il senso e il contenuto dell’esistenza individuale e collettiva.

Il paradosso dell’io narcisista – sia elitario sia plebeo – risiede proprio nella sua estraneità dall’autentica razionalità e nella sua convinzione di far parte di una minoranza oppressa e di incarnare valori eversivi. Tra la nausea per la retorica progressista, i prevedibili epiloghi drammatici e l’asfissiante cappa massmediatica non c’è miglior auspicio di quello lanciato da Michel Clouscard, tra i primi, già dagli anni Settanta, a intuire la perfetta integrazione nel sistema capitalistico delle personalità trasgressive, marginali e contestatarie:

«Ma è il popolo che avrà la forza e il potere di smascherare radicalmente questa impostura. Ed è esso che darà la sanzione definitiva. Attraverso il ridere, l’enorme frastuono del riso che farà franare la commedia umana che è diventato il letterato. Una irresistibile ilarità conquisterà completamente l’ascoltatore di questo messaggio del nulla. Il letterato sarà conservato, imbalsamato nel suo discorso, come l’inenarrabile testimonianza della vanità borghese». [M. Clouscard, Il capitalismo della seduzione. Critica della social-democrazia libertaria, a cura di M. Concialdi, Ursae Coeli, Milano, 2019, p. 40].

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Collaboratore giornalistico e studioso di storia contemporanea. Si occupa, in particolare, delle ideologie politiche del Novecento italiano.