Esiste a Londra una clinica del servizio sanitario nazionale specializzata nel cambiare sesso ai bambini. Si chiama Tavistock, fa parte del Servizio di Sviluppo dell’Identità di Genere (Gids), e negli ultimi anni ha visto crescere in modo esponenziale i bambini che, entrati al proprio interno di un sesso, ne sono usciti percorrendo una strada farmacologica per ottenere il sesso opposto.
Eloquenti i dati pubblicati sul sito del Gids: se nel biennio 2014-15 era stato riassegnato il sesso a 649 bambini con disforia di genere (ovvero che non si riconoscono nella loro identità sessuale biologica), nel biennio 2018-19 la cifra è lievitata a 2.364. Una vera e propria impennata di piccoli transgender, che suscita diversi interrogativi. Più di qualche esperto si chiede se non vi sia eccessiva disinvoltura nell’intervenire – in maniera irreversibile – su fisico e psiche di bambini ancora in fase di crescita. C’è tuttavia chi denuncia la presenza, nella clinica in questione, di una cappa ideologica sull’argomento, che non consente l’espressione di pareri dissenzienti. Tra costoro Marcus Evans, psicoanalista, già nel direttivo del Tavistock, dimessosi nel 2019 in aperta polemica con il clima di ostilità nei confronti di chi mette in dubbio il modus operandi della clinica.
Come ha scritto sul portale Quilette, appena insidiatosi Evans aveva ricevuto la lettera di un gruppo di genitori “che si lamentavano del fatto che i loro figli fossero stati seguiti dal Gids senza alcuna seria valutazione psicologica”. Le perplessità di queste madri e padri hanno poi trovato eco nelle rimostranze che dieci membri del Gids hanno rivolto alla dirigenza del Tavistock, ossia “valutazioni cliniche inadeguate, pazienti sottoposti a interventi prematuri e incapacità del Gids di resistere alle pressioni degli attivisti trans”. Relazioni che hanno fatto un buco nell’acqua perché, come sostiene Evans, sono state silenziate dalla direzione della struttura. Egli rileva che un simile atteggiamento di arroccamento sulle proprie posizioni mediche, nonostante i diffusi dubbi, “sarebbe pericoloso e discutibile in qualsiasi contesto del servizio sanitario nazionale”, ma “è particolarmente preoccupante laddove si ha a che fare con giovani vulnerabili posti dinnanzi a decisioni che cambiano la vita, spesso in modo irreversibile e che hanno conseguenze mediche sconosciute”.
Un caso che testimonia i rischi che si corrono a sottoporre dei giovanissimi a cure ormonali per cambiare sesso, è stato recentemente raccontato dal Daily Mail: Keira Bell è nata femmina, ma si sentiva maschio e, all’età di sedici anni, ha iniziato l’iter farmacologico nel Tavistock per cambiare identità sessuale. Oggi ha 23 anni, tre anni fa le sono stati rimossi i seni con un’operazione pagata dal servizio sanitario nazionale, ma oggi è pentita e vorrebbe intraprendere il percorso inverso. La vicenda è persino finita in tribunale: Keira si è unita in una causa in corso contro il Tavistock intrapresa dalla madre di una ragazza autistica assistita dalla clinica e da una psichiatra che ha lavorato nella struttura. La giovane inglese ha detto: “Il trattamento deve cambiare in modo da non mettere i giovani, come me, su un percorso tortuoso e inutile che cambia la vita”. Mentre ora lotta per riottenere ciò che la natura le aveva dato, cioè l’identità femminile, aggiunge: “Non voglio che altri bambini soffrano come me”.
Federico Cenci, giornalista, collabora con varie testate.
Giornalista e scrittore, ha lavorato per l’agenzia di stampa cattolica "Zenit" e per "In Terris". Attualmente collabora con varie testate, tra cui "Il Quotidiano del Sud", "Culturaidentità", "International Family News". Per Eclettica Edizioni ha dato alle stampe nel maggio 2020 il libro Berlino Est 2.0 - Appunti tra distopia e realtà.
[…] del paziente di cambiare sesso, nemmeno se tale paziente è un bambino, ma bisogna cominciare il prima possibile la […]