A quei pochi che già provassero nostalgia per il governo guidato da Conte, l’«avvocato della Banca d’Italia», come lo ha giustamente definito Alberto Bagnai al Senato, si possono anteporre mille immagini. Una delle mie preferite è quella del premier in Vietnam, circondato da leader asiatici filo cinesi: solo l’assenza di occhi a mandorla lo distingueva dagli altri.

La politica estera è stata, infatti, l’ambito più disastroso del governo. Nonostante i volenterosi sforzi di Matteo Salvini, di Giancarlo Giorgetti e del sottosegretario Guglielmo Picchi, che sono riusciti a tappare le falle più vistose, il governo, e non solo nella sua componente pentastellata, ma anche in quella del cosiddetto terzo partito, Conte e i “tecnici”, si è caratterizzato infatti per un anti-trumpusmo raro persino tra gli altri partner europei. E ciò nonostante lo sforzo dell’amministrazione americana di Trump per favorire la nascita del governo e il forte e plateale iniziale appoggio del presidente americano a Conte. In cambio di queste, solo schiaffi.

Non parliamo solo del blocco degli F 35 e della subalternità italiana a Francia e Germania sulle sanzioni a Teheran, sulla richiesta di aiuto inglese alle navi nel Golfo, sull’intervento in Siria. Parliamo della incredibile firma del memorandum sulla cosiddetta via della Seta: proprio nel momento in cui il conflitto mondiale è polarizzato dalla divisione tra Usa e Cina, l’Italia ha deciso di schierarsi con quest’ultima.

Quando in realtà l’interesse di un governo costituito da due forze sovraniste (così si definivano fino a poco tempo fa anche i 5 stelle) sarebbe stato quello di schierarsi con le potenze revisioniste: non solo gli Usa di Trump ma anche il Regno unito. Ma anche sulla Brexit, Conte e il ministro degli esteri Moavero hanno dimostrato la loro totale subalternità a Parigi e a Berlino. Persino un caloroso messaggio a Boris Johnson, al momento della sua entrata a Downing street, è stato negato.

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Confusa a dir poco poi l’azione sul piano libico, con una condotta erratica che sembra congegnata apposta per far avanzare Macron nell’area, come di fatto è accaduto. Non pervenuta infine la politica nei confronti di Israele, anche questo segno della scarsa consapevolezza dei processi in atto.

Follia o metodo? Siamo portati a pensare il secondo. Affidata a figure, come il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, in piena e plateale continuità con gli interessi del “partito francese” in Italia e con i precedenti esecutivi piddini, a dispetto delle dichiarazioni il terzo partito ha condotto una politica estera che avrebbero potuto intestarsi anche Gentiloni o Alfano, anzi persino peggiorata dall’influenza pentastellata, terzomondista, pacifista, e affascinata dalle dittature rosse e da quelle teocratiche.

L’esecutivo giallo-rosso, 5 stelle, Pd e Leu, caso mai nascesse, difficilmente potrà essere più antitrumpiano di quanto è stato quello Conte: ma almeno Salvini e la Lega non dovranno giustificarlo. E anzi, a nostro avviso, dovranno combatterlo duramente.


Marco Gervasoni è docente universitario e membro del Consiglio scientifico del Centro Studi Machiavelli