Le importanti aperture del presidente Trump al dialogo con la Russia, che trascendono il grave scenario ucraino, hanno alimentato una riflessione critica da parte dell’establishment della politica estera russo sulle potenziali ramificazioni di tali “sconvolgimenti” politici nel settore del controllo degli armamenti strategici. Queste analisi riflettono una profonda consapevolezza circa la complessità delle sfide e dinamiche che caratterizzano il settore in fase di crisi sistemica del regime di controllo degli armamenti e la necessità di nuovi approcci negoziali per garantire la stabilità strategica globale.

Ad avviso di Mosca, il panorama attuale evidenzia lo smantellamento progressivo dei principali trattati internazionali in materia di armamenti (Trattato ABM, Nuovo START, CTBT) e la relativa necessità di nuovi accordi per evitare un’escalation nucleare. Tuttavia, la mancanza di volontà politica e il deterioramento delle relazioni tra grandi potenze ostacolano questi sforzi. L’uscita definitiva degli Stati Uniti dal Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (INF) nel 2019 e l’incertezza sul futuro del Nuovo START (in scadenza nel febbraio del 2026) pongono le basi per un’instabilità crescente. La mancanza di un quadro negoziale stabile e la continua evoluzione delle tecnologie belliche rendono necessaria una riconsiderazione dell’intero regime di controllo.

Gli ostacoli alla creazione di spillover positivi oltre il dialogo sul dossier ucraino

Il dibattito interno a Washington, così come percepito dal Cremlino, si articola tra due posizioni contrapposte: da un lato, la volontà di rafforzare la deterrenza strategica attraverso un’espansione delle capacità nucleari; dall’altro, la spinta verso un nuovo equilibrio basato sulla limitazione degli arsenali. In tale ambito, una particolare attenzione viene rivolta alle componenti politiche più ostili al Cremlino, in particolare all’interno del Congresso, contrarie a qualsiasi riavvicinamento con Mosca, costituendo quindi un serio ostacolo al raggiungimento di nuovi accordi, specialmente in vista delle elezioni di medio termine del 2026, dove il controllo degli armamenti potrebbe diventare un tema divisivo.

Inoltre, l’assenza di una strategia chiara e condivisa tra i diversi attori del governo statunitense aumenterebbe l’incertezza su quale direzione possa prendere la politica americana nei confronti della Russia. Al netto della politica pragmatica dimostrata sulla crisi ucraina e quantunque alcuni esponenti della Casa Bianca, così come taluni ambienti economici, siano favorevoli ad un miglioramento sistemico delle relazioni bilaterali, secondo Mosca non vi sarebbero al momento elementi fattuali o concettuali tali da affermare l’abbandono, da parte del Pentagono e dei servizi di intelligence statunitensi, di una visione della Russia come una potenziale minaccia in materia di armamenti strategici. Questo disallineamento interno finirebbe cosi per indebolire la coerenza della politica estera americana, lasciando spazio a decisioni contraddittorie o a negoziati difficili da concretizzare.

In effetti, si può rilevare come l’amministrazione Trump abbia spesso sottolineato la necessità di mantenere una posizione di superiorità militare come prerequisito per qualsiasi negoziato. Questo approccio, se da un lato rafforza la deterrenza e rassicura gli alleati, dall’altro mina la fiducia reciproca necessaria per instaurare un dialogo costruttivo con Mosca. La corsa agli armamenti convenzionali e lo sviluppo di nuove tecnologie strategiche, come missili ipersonici e sistemi di difesa avanzati, hanno aggravato la percezione russa di una minaccia esistenziale, spingendo il Cremlino ad accelerare i propri programmi di modernizzazione militare. In particolare, la dottrina della “pace attraverso la forza” applicata dagli Stati Uniti implica che Mosca veda qualsiasi tentativo di limitazione degli armamenti come un mezzo per ottenere un vantaggio tattico piuttosto che un genuino passo verso la stabilità globale. Questa diffidenza reciproca complica la possibilità di trovare un terreno comune per il rilancio dei negoziati.

L’orologio atomico sposta avanti le lancette…

Inoltre, la retorica di Washington sulla necessità di un arsenale più ampio e modernizzato è stata accolta in Russia con una revisione delle proprie strategie nucleari, enfatizzando la necessità di contromisure più aggressive e di una postura nucleare più flessibile.

In aggiunta, nel novembre-dicembre 2024, poco dopo l’autorizzazione  statunitense (disposta  dall’allora amministrazione Biden) all’uso da parte dell’Ucraina di missili a lungo raggio per colpire obiettivi più in profondità in territorio russo, il Cremlino ha aggiornato la dottrina ufficiale in materia di deterrenza nucleare, delineando una più ampia gamma di contingenze che potrebbero innescare l’uso di armi nucleari, in particolare per quanto riguarda le minacce con armi non nucleari alla Russia e ai suoi alleati, abbassando la soglia per l’uso della bomba atomica. Al contrario, la versione precedente della dottrina, pubblicata nel 2020, si riservava il diritto di utilizzare armi nucleari se un attacco alla Russia avesse minacciato “l’esistenza stessa dello Stato”.

Tutto ciò aumenta il rischio di escalation accidentale e abbassa la soglia per l’uso delle armi nucleari in un conflitto convenzionale. Non a caso, negli ambienti strategici occidentali si registra una crescente accettazione della possibilità di un conflitto nucleare a bassa intensità. Questa prospettiva, oltre a minare il principio stesso di deterrenza, aumenta il rischio di escalation incontrollata e rappresenta una minaccia per la stabilità globale. Inoltre, l’emergere di nuove tecnologie, inclusi i citati missili ipersonici e sistemi di difesa avanzati, ha reso obsoleti molti degli assunti alla base della deterrenza nucleare tradizionale. La crescente enfasi su strategie di first strike e l’idea che uno Stato possa uscire “vincitore” da una guerra nucleare rappresentano un pericolo senza precedenti.

La sicurezza e le condizioni negoziali secondo i russi

La Federazione Russa insiste sulla necessità di collegare il controllo degli armamenti strategici a garanzie di sicurezza più ampie, comprese limitazioni alla presenza della NATO nei paesi ex sovietici. Mosca considera l’espansione dell’Alleanza Atlantica come una minaccia diretta alla propria sicurezza e vede qualsiasi negoziato sul disarmo come parte di una più ampia discussione sulla sicurezza europea.

Tuttavia, l’Occidente fatica a rispondere a tali richieste, soprattutto alla luce del deterioramento delle relazioni tra Russia e NATO e del conflitto ucraino. La Russia percepisce la NATO non solo come un’alleanza difensiva, ma come un’entità espansiva il cui obiettivo è quello di contenere l’influenza russa. Partendo da queste premesse ogni trattativa sugli armamenti viene strumentalizzata per ottenere concessioni strategiche, rendendo difficile un accordo equo e bilanciato secondo Mosca.

Inoltre, la crescente cooperazione militare tra Stati Uniti e alleati regionali in Europa orientale e nell’area del Mar Nero è vista dal Cremlino come un segnale che Washington non è realmente interessata alla stabilità strategica, ma piuttosto a mantenere una pressione costante sulla Russia. Mosca ha più volte sottolineato che qualsiasi progresso nei negoziati sugli armamenti dovrà essere accompagnato da un ripensamento della postura militare della NATO in Europa.

La telefonata del 18 marzo tra Trump e Putin potrebbe indicare un’apertura verso la ripresa del dialogo, ma resta da vedere se questa volontà si tradurrà in passi concreti (in particolare sul fronte della sicurezza del Mar Nero, oggetto ora di gruppi di lavoro russo-americani dedicati).  Perché ciò avvenga, sarà necessario un cambio di paradigma che tenga conto delle percezioni di insicurezza reciproca e che punti a ricostruire un minimo di fiducia tra le parti. Senza questo, qualsiasi tentativo di controllo degli armamenti rischia di trasformarsi in un’operazione puramente simbolica, priva di impatti reali sulla stabilità globale.

Il New Strategic Arms Reduction Treaty (Nuovo START) e il Trattato di Non Proliferazione nucleare (TNP)  

Il Trattato “Nuovo START”, in scadenza a febbraio 2026, rappresenta uno degli ultimi baluardi della regolamentazione nucleare tra Stati Uniti e Russia. Senza un’estensione o un accordo sostitutivo, il rischio di una corsa agli armamenti senza restrizioni diventerà una realtà concreta. La scadenza di questo trattato pone interrogativi sulla possibilità di raggiungere nuovi accordi di limitazione delle armi strategiche in un contesto di crescente sfiducia reciproca.

Mentre la Russia ha manifestato interesse nel prolungare l’accordo, l’amministrazione Trump ha adottato una posizione più ambigua, chiedendo l’inclusione della Cina nei negoziati, una richiesta che Pechino ha finora respinto, evidenziando la disparità del proprio arsenale rispetto a quelli di Washington e Mosca. Questa impasse rischia di lasciare il mondo senza un quadro di riferimento chiaro per il controllo degli arsenali strategici dopo il 2026. La Russia, dal canto suo, preferirebbe un formato negoziale più ampio, comprendente anche Francia e Regno Unito.

In ogni caso, l’espansione delle capacità nucleari cinesi e lo sviluppo di tecnologie militari avanzate stanno alterando l’equilibrio strategico globale. L’apparente assenza di volontà politica da parte di Pechino di impegnarsi in accordi multilaterali rischia di complicare ulteriormente le prospettive per il controllo degli armamenti. Se gli Stati Uniti continueranno a insistere su una trattativa trilaterale, potrebbero trovarsi privi di un accordo con la Russia e senza progressi con la Cina.

Sebbene il Trattato di Non Proliferazione rimanga un pilastro del regime globale di controllo degli armamenti, la sua efficacia viene messa in crescente discussione dalla mancanza di progressi concreti nella riduzione degli arsenali esistenti. La Russia spinge per un approccio multilaterale, mentre gli Stati Uniti mantengono una posizione prudente su eventuali revisioni degli equilibri esistenti.  Con l’avvicinarsi della conferenza di revisione del TNP nel 2026, le critiche al mancato rispetto dell’articolo 6 (impegno alla riduzione delle armi nucleari) si intensificheranno. La comunità internazionale dovrà affrontare una crescente pressione per dimostrare progressi concreti nel disarmo, evitando che il trattato perda ulteriore credibilità.

Rilanciare la fiducia attraverso misure concrete

L’assenza di fiducia reciproca tra Washington e Mosca rappresenta uno degli ostacoli principali alla ripresa del dialogo sul controllo degli armamenti strategici. Nuove misure di verifica e trasparenza, inclusa una maggiore cooperazione sugli armamenti non strategici, potrebbero contribuire a ridurre le tensioni e facilitare un nuovo ciclo negoziale. Possibili misure di rafforzamento della fiducia includono il ripristino di missioni di verifica congiunte, l’implementazione di meccanismi di scambio di dati sugli arsenali e il rafforzamento delle comunicazioni militari dirette per prevenire incidenti e malintesi. Tuttavia, senza un chiaro impegno politico da entrambe le parti, queste iniziative rischiano di rimanere inefficaci.

Complessivamente, il futuro del controllo degli armamenti dipenderà dalla capacità delle grandi potenze di adattarsi a un contesto geopolitico e tecnologico in rapida evoluzione. Il riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia, testimoniato dalla telefonata del 18 marzo scorso tra Trump e Putin, potrebbe rappresentare un’opportunità per rilanciare un dialogo costruttivo. Tuttavia, permangono ostacoli significativi legati alla sfiducia reciproca, alla politica interna statunitense e agli interessi strategici divergenti. Il successo o il fallimento di questa fase negoziale definirà il panorama della sicurezza internazionale per i prossimi decenni.

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

Foto: Un missile balistico intercontinentale RS-24 Jars (codice NATO: SS-29 Sickle C) noto anche come Topol-MR, sulla Piazza Rossa nel 2023. Crediti, Kremlin.ru

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Esperto di relazioni internazionali.