Il “servizio militare di leva”, nato dalla Rivoluzione Francese per la difesa dei confini nazionali, ha avuto un ruolo fondamentale per la nostra società, sia in tempo di pace sia in guerra, dall’Unità d’Italia (1861) alla fine della Guerra Fredda (1991).
Le mutate esigenze di sicurezza in ambito internazionale, che impongono in modo sempre più complesso interventi per la stabilizzazione di regioni caratterizzate da profonde crisi interne, hanno richiesto un radicale cambiamento nella preparazione e nell’addestramento delle Forze Armate, chiamate ad agire in collaborazione con altri eserciti in aree geografiche difficili e contraddistinte da rischi elevati. Questo ha reso necessario il passaggio a una organizzazione di soli militari volontari che hanno scelto consapevolmente e liberamente il mestiere delle armi. L’ambito d’intervento, infatti, si estende geograficamente sino a comprendere le aree d’interesse nazionale e, quindi, ben oltre le frontiere politiche dello Stato. Per poter garantire questo requisito servono reparti di professionisti, addestrati ad agire nei più disparati scenari, utilizzando equipaggiamenti sempre più sofisticati.
La formazione prevista dall’anno di leva (ridotto poi ad alcuni mesi) non avrebbe più garantito di fronteggiare le esigenze di una realtà in continua evoluzione umana, tecnologica e operativa. In secondo luogo, pur in presenza di una volontà politica condivisa, la Difesa non dispone più dell’organizzazione e delle risorse per reintrodurre un modello simile a quello in atto sino al 1995 con il servizio militare obbligatorio, per carenza sia di infrastrutture (caserme), di equipaggiamenti, di personale d’inquadramento, sia di capacità sanitarie.
Limitandosi alla sola Europa, sono diversi i Paesi che hanno ancora in vigore il servizio obbligatorio: Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Lituania, Norvegia e Svizzera. Nel 2017, a causa della delicata situazione geopolitica in Europa nord-orientale, è stato reintrodotto in Svezia (abolito nel 2010). Tuttavia, a meno della Svizzera, questi Paesi mantengono la coscrizione obbligatoria per un impegno internazionale limitato e di basso profilo (puro peacekeeping) o per una situazione ai propri confini simile a quella della Guerra Fredda. Quando si tratta di scenari ad alta intensità operativa anch’essi fanno ricorso a professionisti, prevalentemente con elementi negli staff multinazionali o come osservatori dell’ONU.
Tenuto conto, quindi, delle forti difficoltà nel ripristinare il servizio di leva (una parola che solo a citarla mette in stato d’ansia milioni di mamme), l’esigenza educativa dei giovani, ben avvertita dalla società, potrebbe riguardare la creazione di un Servizio di Difesa Nazionale (SDN) della durata di alcuni mesi, a inquadramento militare, per tutti i cittadini italiani a partire dai 16 anni che risultino idonei sotto il profilo psico-fisico (a 16 anni è riconosciuta al minore l’attribuzione di numerose facoltà e poteri, anche in deroga alla regola generale per cui la capacità di agire è individuata al compimento del diciottesimo anno di età). Il SDN dovrebbe assorbire il “Servizio Civile Nazionale”, istituito con L. 64/2001 su base volontaria, ed essere rivolto ad attività di pubblica utilità (assistenza, tutela ambientale, educazione e promozione culturale, patrimonio artistico e culturale, ecc.) e a interventi di protezione civile.
Lo scopo del servizio sarebbe quello di rafforzare il senso di appartenenza al Paese, ma anche di imparare il rispetto delle regole della società e della vita di gruppo, e contribuire cosi alla formazione civica e sociale dei giovani. Un’esigenza sottolineata già nel 2018 dal “30° Rapporto Italia”, pubblicato dall’Istituto Eurispes, secondo cui il 67,8% degli Italiani (quasi 7 su 10!) era favorevole al ritorno dell’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole. Il “32° Rapporto Italia” del 2020, sempre dell’Istituto Eurispes, evidenzia che nella graduatoria della fiducia degli Italiani verso le istituzioni svettano le Forze Armate, con un consenso che si attesta sul 72%, a testimonianza della fiducia che i cittadini ripongono verso i Militari e i loro valori fondanti, come modello cui ispirarsi. Tutto questo consentirebbe di riportare a galla importanti valori per le giovani generazioni, primo fra tutti quello di porsi al servizio di una società della quale sono parte integrante.
Ovviamente, è imprescindibile la piena condivisione del progetto a livello interministeriale (Difesa, Interno, Economia, Lavoro, Educazione, Sport, Sanità, ecc.) al fine di evitare resistenze più o meno esplicite capaci, come spesso accade, di bloccare iniziative parimenti meritevoli e fondate. Tale condivisione interministeriale consentirebbe d’individuare le risorse finanziarie necessarie, di usufruire del Servizio Sanitario Nazionale (visite mediche) e di avvalersi anche delle strutture didattiche pubbliche per le attività propedeutiche.
L’ipotizzato SDN non potrebbe essere assolutamente assimilato al precedente servizio militare obbligatorio: deve piuttosto essere visto (e conseguentemente veicolato) come un’occasione di avviamento professionale che, attraverso specifici incentivi e agevolazioni, favorisca l’inserimento nel mondo del lavoro, pubblico e privato, mediante l’attribuzione di un titolo di preferenza (es. un punteggio incrementale in un concorso pubblico). Il Servizio di Difesa Nazionale non dovrebbe, inoltre, essere posto in contrapposizione/sostituzione alle Forze Armate basate su personale professionista, che continuerà ad assolvere i compiti istituzionali attualmente previsti: i nostri soldati volontari sono, infatti, la risorsa più importante! I militari professionisti potranno invece essere sostituti nelle attività in Patria meno specialistiche, come quelle di concorso in occasione di eventi naturali (rimozione macerie, riempimento sacchetti a terra, ecc.) o problemi urbani (rimozione immondizie, vigilanza nella “terra dei fuochi”, ecc.), e dedicarsi esclusivamente ai compiti tipici di una qualsiasi Forza Armata: prepararsi per difendere il proprio Paese e per tutelare gli interessi nazionali con l’uso legittimo delle armi!
L’addestramento dovrebbe essere svolto in ambito regionale/provinciale, sotto direzione militare, con il concorso delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma, articolato su tre momenti: un primo periodo di 15 giorni, senza vincoli di alloggio in strutture specifiche, per l’indottrinamento iniziale; un secondo di 15 giorni, con l’obbligo di alloggio, per favorire la coesione dei ragazzi; un terzo periodo, di alcuni mesi, per l’impiego a seconda delle esigenze. I primi due periodi dovrebbero essere previsti al termine del 3° e 4° anno di scuola media superiore all’inizio delle vacanze estive, nell’ambito dell’alternanza scuola-lavoro (legge n. 107 del 2015), mentre l’impiego vero e proprio dovrebbe avvenire dopo il 5° anno. La formazione, inoltre, potrebbe essere implementata attraverso richiami brevi e scaglionati nel tempo (anche nei fine settimana) per non incidere sulla vita dei giovani.
L’addestramento dovrebbe essere concentrato prioritariamente su funzioni di soccorso, protezione civile, procedure di sicurezza e uso basilare delle armi, garantendo la preparazione di fondo nel caso (assai improbabile ma teoricamente non impossibile) di una mobilitazione generale causata da una grave crisi internazionale che imponga il ripristino del servizio di leva. Per soddisfare le varie esigenze, e tener conto dello spirito antimilitarista di una parte dell’opinione pubblica, i giovani potrebbero essere indirizzati, dopo i due periodi iniziali comuni, al servizio civile o militare, a seconda delle proprie aspirazioni e condizioni psico-fisiche (e per evitare sospetti di eccessiva militarizzazione della società).
Posto in questi termini, il Servizio di Difesa Nazionale assumerebbe i contorni di un servizio ausiliario allo stesso tempo moderno e in continuità con le tradizioni. Un provvedimento in grado di rispondere a una necessità educativa ben avvertita dalla società, avvicinare i giovani alle istituzioni e fornire loro quelle capacità basilari per la gestione delle emergenze e degli interventi di pubblica utilità. Da non dimenticare, infine, la possibilità di effettuare lo screening sanitario della popolazione giovanile, come avveniva in passato, che fornirebbe un quadro medico generale utile ai fini della prevenzione, diagnosi precoce e cura di varie malattie, perseguendo gli obiettivi di miglioramento delle condizioni di vita e creazione di risparmi per la sanità pubblica negli anni a venire.
Rimane da definire prioritariamente lo status giuridico di questi ragazzi e individuare le infrastrutture per il loro alloggiamento.
Giorgio Battisti, Generale di Corpo d’Armata (aus.), è Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli.
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