di Andrea Bandelli

La crisi pandemica ha provocato una repentina quanto inaspettata riduzione del PIL su scala globale, mettendo a dura prova la tenuta dei sistemi economici nazionali, in particolare quelli dei Paesi industrializzati che hanno visto ridursi drasticamente i livelli produttivi ed i consumi e azzerarsi il PIL di interi settori e filiere produttive.

In questo contesto il settore della logistica si è trovato davanti ad una doppia sfida: da un lato far fronte all’aumento di domanda dei servizi di delivery (conseguente alla crescita esponenziale delle vendite on-line) per garantire tempi di consegna sempre più veloci, dall’altro ripensare tutta la filiera per adeguarla ai nuovi obiettivi di risparmio energetico e sostenibilità ambientale.

Quello di una logistica pienamente sostenibile è un obiettivo che si stanno ponendo molti Paesi, soprattutto quelli che hanno adottato modelli di sviluppo green volti al pieno rispetto dei nuovi targets di riduzione delle emissioni inquinanti e della compatibilità ambientale.

Anche per l’Italia la progettazione e la realizzazione di un sistema infrastrutturale efficiente basato sulla interconnessione e l’intermodalità dei trasporti, in grado di ridurre al minimo le emissioni inquinanti ed ottimizzare tempi e costi del servizio, è diventato un obiettivo strategico per sostenere le nostre aziende e le nostre esportazioni.

In questa ottica l’integrazione e l’intermodalità del trasporto via mare, su rotaia e su gomma è un obiettivo ormai irrinunciabile per un Paese ad economia avanzata come il nostro. Del resto la presenza sul territorio nazionale di Fincantieri, player globale che è già in grado di progettare e realizzare navi con sistemi di propulsione a bassa emissione, e di Iveco (controllata da CNH Industrial) altro player globale che nel settore “trucks” alimentati da combustibili alternativi (biometano a liquefazione e idrogeno) o con sistemi propulsivi “total electric” (per questi ultimi grazie anche alla joint venture con l’americana Nikola) è all’avanguardia, rende questi obiettivi realizzabili.

Mentre su Fincantieri, un global player a controllo pubblico, non vi è alcun dubbio sul fatto che possa partecipare da protagonista e nell’interesse nazionale ai progetti infrastrutturali e del trasporto intermodale che vanno nella direzione del risparmio energetico e della sostenibilità ambientale (e che potranno contare sulle risorse europee che sono previste dal Recovery Plan), su Iveco controllata da CNH Industrial il discorso è molto complesso e merita particolare attenzione da parte delle istituzioni.

Nel settore dei veicoli industriali e commerciali la situazione è in movimento e sono in atto dei riposizionamenti dovuti alle recenti operazioni di aggregazione. Daimler che ha in programma di scorporare e quotare in borsa la divisione “Bus and Trucks” (una IPO di grande rilevanza essendo Daimler Trucks leader mondiale di settore), potrebbe dare vita ad una nuova partnership con Renault, dopo che per quest’ultima è venuta meno la joint-venture con Opel and Vauxhall che sono state conferite nella nuova Stellantis partecipata dallo Stato francese, che così facendo tutela l’interesse nazionale.

CNH Industrial ha recentemente confermato le scelte inserite nel piano industriale che prevedono lo scorporo entro il 2022 delle attività di Iveco sia del settore “Bus and Trucks” sia del settore “Macchine agricole e da lavoro”. Se si trattasse di una semplice operazione di spin-off e di valorizzazione mediante quotazione, mantenendone il controllo e garantendone l’integrità della struttura produttiva, sarebbe di per sé una notizia rilevante ma priva di particolari problematiche o criticità per il sistema dell’automotive e della logistica italiana.

Invece sul probabile spin-off di Iveco si è concentrato l’interesse all’acquisizione da parte di FAW Jiefang società produttrice di trucks e interamente controllata da FAW Group Corporation, la più importante società cinese nel settore auto (produce auto, bus, light medium and heavy trucks e autoricambi), controllata dallo Stato, che sarebbe interessata anche all’acquisizione di una partecipazione di minoranza nella FTP Industrial, la società italiana del gruppo CNH Industrial dedicata alla progettazione, produzione e vendita di motopropulsori per applicazioni veicolari industriali on-road, off-road, marine and power generation.

La stessa FAW ha già in via di realizzazione un progetto industriale in joint-venture con la società americana Silk-EV per la produzione di auto di alta gamma che prevede investimenti per circa 1 miliardo di euro nella motor valley dell’Emilia Romagna.

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In un momento storico come l’attuale, caratterizzato da incertezza e fatturati in discesa per molte aziende, mantenere in Italia la più importante azienda del settore automotive (che occupa 22.000 dipendenti oltre a quelli di un centinaio di aziende fornitrici dell’indotto) dopo la fusione di Fiat con i francesi è una priorità assoluta, sia per ragioni strategiche e di sicurezza nazionale (Iveco è titolare di un importante know-how industriale ed oltre ai mezzi di trasporto su gomma e dei mezzi da lavoro produce anche tutti i mezzi militari utilizzati dalle nostre Forze Armate e dalla Protezione Civile), sia per ragioni economiche (PIL diretto e nell’indotto, contribuzione al bilancio dello Stato in termini di imposte, tasse e contributi previdenziali versati), sia per ragioni legate al mantenimento dei livelli occupazionali, sia per arrestare la progressiva deindustrializzazione ed impoverimento dei territori.

Non si comprende come si possa pensare di assecondare passivamente la cessione di un asset strategico come Iveco ad un competitor per di più di proprietà di uno Stato estero, qualunque esso sia (in questo caso la Cina, che non brilla per trasparenza e reciprocità di condizioni e mantiene un fortissimo controllo pubblico dell’economia), quando in tutta Europa, negli Usa ed in Giappone si stanno attuando politiche industriali by reshoring volte a rilocalizzare sul territorio nazionale le attività produttive ed il relativo know-how e, così facendo, mantenere il controllo delle catene del valore. Se la Francia tutela le sue aziende mantenendo la partecipazione pubblica al capitale di quelle ritenute strategiche (come nel caso di Stellantis) e molti altri Paesi fanno esattamente la stessa cosa, è auspicabile che anche su Iveco vi sia un forte, immediato e determinato intervento delle istituzioni italiane. Il Governo italiano, nel caso specifico, dovrebbe valutare il ricorso, per le ragioni sopra esposte, all’esercizio del Golden Power previsto dal D.L 15 maggio 2012 n.21 per le aziende dei settori Difesa, sicurezza nazionale, energia, trasporti e telecomunicazioni (e recentemente esteso anche ai settori alimentare, assicurativo, sanitario e finanziario) a tutela di un asset di interesse nazionale. Su Iveco, vista la posta in gioco per l’Italia, sarebbe più che opportuno un intervento da parte di Cassa Depositi e Prestiti con l’acquisto di una partecipazione qualificata, così come si profila per altri due casi di aziende ritenuta strategiche quali Borsa Italiana (sulla quale però lo Stato francese sta giocando meglio di noi la sua partita) e Aspi.

La sensazione è che il Governo italiano (ormai dimissionario), dall’inizio della crisi pandemica sino ad oggi, non sia stato in grado di progettare ed attuare un piano strategico di interventi coordinati per tutelare, sostenere e “controllare” le aziende ed i settori di interesse nazionale, come invece meglio di noi stanno facendo altri Paesi. Speriamo il Presidente incaricato, con la sua competenza ed autorevolezza, possa costruire un Esecutivo di qualità in grado di porre in essere i necessari provvedimenti ed interventi con tempestività e risolutezza a salvaguardia degli assets strategici italiani.

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Supervisor for the research program on "Business Reshoring and Relocation" of the Machiavelli. Graduated in Economics (University of Florence), Certified Public Accountant, Auditor and founding partner of a professional firm specialized in corporate consulting and national and international fiscality.