È ampiamente noto che l’infiltrazione negli apparati universitari sia stato l’esperimento più felice dell’elite progressista durante il secolo scorso. Se da una parte il monopolio accademico diede vita ad una curiosa inversione tra classi sociali e orientamento politico, è innegabile che buona parte dell’egemonia culturale progressista derivi proprio dallo strapotere universitario. Lo stesso Gramsci, non a caso, vedeva nel monopolio dell’informazione e della formazione i due pilastri della ventura egemonia culturale marxista. Una storia illuminante sulla reale influenza della lobby progressista – o liberal visto il contesto – viene dall’Università americana di North Carolina-Wilmington.

Mike Adams è un criminologo che lavora nell’Università dal 1993, considerato come uno dei membri più meritevoli del corpo docenti, con diversi riconoscimenti e numerosi articoli scientifici pubblicati. Nel 2000, tuttavia, il precedentemente ateo Adams si è convertito al cristianesimo, non preoccupandosi di nascondere la nuova fede e anzi scrivendo un articolo di stampo cristiano-conservatore sulla rivista “Townhall”. La scure draconiana dell’accademia non si fece attendere, attraverso accuse e interrogazioni che si rivelarono infondante; tuttavia, ad Adams era negata la promozione al ruolo di professore ordinario, mentre sono diversi i colleghi a passargli avanti, nonostante spesso possedessero carriere universitarie chiaramente inferiori. Mike Adams, tuttavia, non si è rassegnato e ha intentato una causa all’Università, durata dal 2007 al 2014. Sorprendentemente l’Università è stata condannata a pagare 50.000 dollari ad Adams, a reintegrarlo come professore universitario tout court e al pagamento della cifra astronomica, comprensiva anche delle spese legali, di 760.000 dollari.

Una storia a lieto fine si direbbe. Se non fosse che appena poche settimane fa, dall’Università americana, arriva una notizia singolare. A presiedere il comitato che decide e ratifica le promozioni a professore ordinario è stata da poco eletta la Dottoressa Kimberly Cook. La Cook fu tra le principali accusatrici di Mike Adams e fu reputata colpevole, nella causa intentata dal criminologo, di aver mentito affinchè questi non ottenesse la promozione, affermando che fosse “carente in ogni campo di insegnamento, di ricerca e di servizio”, in contrasto a quanto affermato invece dall’Università. Adams, sulle pagine di “The College Fix“, sottolinea come alla gestione delle nomine sia stata eletta “l’unica professoressa accusata con successo di discriminazione nelle promozioni”. La nomina, che spetta al consiglio di facoltà, è chiaramente, per Mike e per diversi altri, una nomina politica, che non tiene conto di quanto l’ateneo abbia pagato, in termini economici e di immagine, a causa delle accuse, politiche anche queste, della Cook. Per citare qualche informazione sulla Dottoressa, costei afferma, nella sua pagina sul sito universitario, di essere specializzata nelle “prospettive femministe nel campo della Giustizia”, mentre sono nominati come concetti base della sua formazione l’alienazione marxista, il patriarcato e il sessismo.

La vicenda della UNCW mostra ancora una volta come esista una componente ideologica che è stata in grado di ritagliarsi un proprio spazio all’interno dell’istituzione pubblica. Il funzionamento degli organismi pubblici viene in qualche modo a mancare nei suoi presupposti, vale a dire il perseguimento di un interesse civico, virando verso un tipo di interesse lobbistico-personale. Il consiglio di facoltà, composto dai docenti, prende una decisione non in base al vantaggio dell’università, bene pubblico, ma in base all’interesse ideologico dei membri che lo compongono, per natura legato ad un gruppo e non alla collettività.

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Al momento, non esiste un anticorpo da parte delle istituzioni liberali per far fronte alle infiltrazioni ideologiche. La separazione dei poteri, inquadrata all’interno della de-eticizzazione dell’Istituzione, ha dato vita ad una prateria per quelle forze che volessero prendere il controllo dei corpi intermedi; la stessa separazione dei poteri fa in modo che sia praticamente impossibile da parte di un altro corpo prendere provvedimenti contro un corpo ideologizzato. In maniera simile a quanto avviene in Italia per la magistratura, ma anche nello stesso ambiente accademico, i corpi intermedi, una volta colonizzati, hanno capacità di autotutela incredibili. Eppure, non è possibile né strategicamente conveniente tirarsi fuori da questo genere di dialettica. Se da una parte la denuncia di un tale meccanismo può riscuotere dei risultati in termini di narrativa, è fin troppo ottimista pensare che possa ottenere risultati effettivi; a maggior ragione quando non si sta trattando di una singola cellula malata, ma di un intero sistema che intende autoassolversi.

La configurazione degli organi pubblici della società è troppo compromessa ideologicamente perché si spossa sperare, nel breve termine, al ritorno di un’istituzione neutra ed equidistante ideologicamente. Non resta, alle forze non egemoni, che decidere finalmente di adottare la medesima strategia e di iniziare a calcare il medesimo terreno di scontro sulla parte avversa. Machiavelli, nel Principe, affermava che fosse più conveniente “andar dietro alla verità effettuale della cosa che all’immaginazione di essa. E in molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero”; il grado dello scontro e la posta in gioco, per parafrasare, non consentono di immaginare soluzioni ideali ed equidistanti, perché significherebbe approcciarsi alla dialettica della distribuzione del potere con una mano legata dietro la schiena.

C’è da compiere una scelta: se il ruolo delle forze conservatrici-sovraniste debba essere una forma di testimonianza di una “giustizia” che non esiste più, o l’aspirazione all’egemonia politica e culturale che permette di incidere direttamente sulla realtà; insomma, c’è da decidere se lavorare per occupare le posizioni di influenza, o lasciarle a tante Kimberly Cook.

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Studia la comunicazione politica, la narrazione, la capacità di creare miti e simboli per comprendere fino a che punto questo velo sia in grado di mascherare la realtà dei fatti. Proviene dal mondo del giornalismo, incubatore assieme all'università dei grandi miti post-moderni.