di Nathan Greppi

Ha fatto discutere, a fine marzo, la decisione dell’emittente televisiva spagnola “À Punt” di non trasmettere più la celebre seria animata Dragon Ball in quanto bollata come “sessista”.

Per intenderci, stiamo parlando di una serie che ha segnato in maniera indelebile non solo la storia del fumetto e dell’animazione giapponese, ma della cultura pop mondiale: il manga, uscito in origine in 42 volumi dal 1984 al 1995, ha venduto oltre 260 milioni di copie in tutto il mondo. L’autore, Akira Toriyama, nel maggio 2019 è stato insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine francese delle Arti e delle Lettere. In Italia la popolarità della serie è tale da travalicare l’ambito ristretto di fumetti e cartoni: prima “Il Manifesto” nel 2015 e poi, nel febbraio di quest’anno, “Panorama” hanno fatto giochi di parole tra il cognome di Mario Draghi e la parola “Dragon” del titolo.

“À Punt”, emittente regionale della Comunità Valenciana, ha preso questa decisione nonostante trasmettesse la serie sin dagli anni ’90. Non sono mancate proteste da parte della comunità otaku valenciana (“otaku” è un termine che indica i grandi appassionati di manga e anime). Persino un deputato nel governo regionale del partito di sinistra “Compromís”, Mónica Àlvaro, ha fatto un’interrogazione parlamentare per chiedere che la serie venga trasmessa.

Il direttore generale di “À Punt”, Alfred Costa, ha dichiarato che la serie sarebbe in contrasto con le nuove regole sull’uguaglianza di genere. Stando a una legge emessa nel 2016 dal governo regionale (dal 2015 guidato dal PSPV, ramo locale dei socialisti del PSOE), i canali tv “devono adottare, attraverso l’autoregolamentazione, codici di condotta volti a trasmettere il principio di uguaglianza escludendo i contenuti sessisti, soprattutto nella programmazione per bambini e giovani”. Ciò forse è dovuto al fatto che, nella serie, i personaggi femminili tendono ad essere o mogli che attendono l’eroe a casa in stile Penelope-Ulisse (come Chichi, la moglie di Goku che da sposata pensa a gestire la casa e all’istruzione del figlio Gohan) o donne provocanti (come Bulma, il cui incontro con il protagonista è l’evento che dà inizio a tutta la serie).

Non è la prima volta che Dragon Ball viene preso di mira da censori per questioni riguardanti il genere e la sessualità: nel 2009 una scuola elementare e media del Maryland bandì il manga dalle proprie aule accusandolo di avere contenuti “sessualmente espliciti”. Oggi, però, l’attacco viene dalla cancel culture progressista: conferma alla teoria dello storico Marco Gervasoni, secondo cui la censura si è spostata da destra a sinistra.

Dragon Ball non è l’unica opera di Toriyama ad essersi ritrovata al centro di polemiche politiche: oltre che autore di fumetti, egli è pure curatore della grafica di numerosi videogiochi; la sua serie videoludica più conosciuta è Dragon Quest. Koichi Sugiyama, compositore delle colonne sonore della serie, è stato attaccato dopo essere apparso, nel 2015, in un programma televisivo giapponese in cui, assieme al politico conservatore Mio Sugita, criticava l’educazione di genere nelle scuole e definiva le coppie omosessuali “improduttive” per la nazione in quanto incapaci di fare figli. Sempre Sugiyama ha spesso esternato un certo negazionismo circa le atrocità compiute dal suo Paese durante la Seconda Guerra Mondiale, tanto da sminuire il fatto che i militari giapponesi sfruttassero le prigioniere di guerra come schiave sessuali.

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Sebbene le sue posizioni siano molto radicali, è innegabile che la serie cui Sugiyama ha prestato le musiche sia una delle pietre miliari del settore. Egli è stato riconosciuto come uno dei più grandi compositori giapponesi per videogiochi: un traguardo importante considerando che, a seconda dei casi, la musica può determinare il successo di un gioco molto più della trama. I titoli di Dragon Quest hanno venduto, tra il 1986 e il 2020, più di 80 milioni di copie a livello globale.

Forse è anche per “ripulirsi” l’immagine da queste controversie che l’ultimo titolo della serie (Dragon Quest XI: Echi di un’era perduta, uscito nel 2017) ha subito una modifica non trascurabile da un’edizione all’altra: se in quella originale per “PlayStation 4” alla fine l’eroe sposa la sua amica d’infanzia Gemma, che lo attende a casa da moglie “tradizionale”, in una versione successiva uscita nel 2019 per “Nintendo Switch” vi è l’opzione “scegli il partner con cui vivi”, dove è possibile formare una coppia non solo con ragazze, ma anche con due personaggi maschili, facendo pensare ad una sorta di unione omosessuale. In questo caso, tuttavia, il creatore della serie Yuji Horii ha specificato che “non è un matrimonio”.

Per questa ragione non è del tutto chiaro se sia una scelta politica o di tipo puramente commerciale: già in una successiva versione di un precedente titolo (Dragon Quest VIII: L’odissea del re maledetto, uscito nel 2004) vi erano ulteriori opzioni in merito alla persona con la quale il protagonista alla fine si sposa. In quel caso, però, erano solo due ed entrambi personaggi femminili.

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Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate MosaicoCultweek and Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).