di Luca Marcolivio

Una vera e propria rivelazione. Il nome di Abby Johnson era già piuttosto noto in ambito pro life ma il suo intervento nel contesto della Convention Repubblicana ha in sé qualcosa di storico. Pochi minuti che smascherano tutte le contraddizioni dei democratici sui temi della vita e della tutela dei più fragili. Non è una novità che il Partito Repubblicano sia la formazione politica dove più facilmente sono accolte le istanze anti-abortiste, tuttavia sotto la presidenza di Donald Trump è avvenuto un salto di qualità, di cui questa coraggiosa quarantenne texana è stata la testimonial più emblematica.

La storia umana e personale di Abby Johnson parla da sola ed è l’ennesima dimostrazione di quanto la realtà sia più forte delle ideologie. In gioventù Abby era stata una pro choice convinta. Per lei l’aborto era un diritto umano da tutelare, al punto che, a 21 anni, prima ancora di laurearsi in psicologia, aveva iniziato a cooperare come volontaria con Planned Parenthood, il colosso sanitario per il controllo delle nascite, noto come il più grande “abortificio” degli USA e del mondo. Ad Abby era stato detto che l’obiettivo fondamentale di Planned Parenthood era quello di rendere l’aborto “sicuro”, “legale” e, soprattutto, “raro”, ovvero una scelta estrema, l’ultima spiaggia per le madri in difficoltà. Al pubblico della Convention repubblicana di Charlotte (Nord Carolina), la Johnson ha raccontato della sua fulminea carriera nell’organizzazione: da volontaria era quasi subito diventata operatrice, poi, a soli 26 anni, direttrice di una clinica a Bryan, in Texas.

Un anno aveva addirittura ricevuto un premio aziendale come miglior dirigente sanitaria: un riconoscimento, che, come lei stessa ha fatto notare alla Convention, era intitolato alla fondatrice Margaret Sanger (1879-1966), una delle pioniere del diritto all’aborto negli USA, ma – soprattutto – una donna dalle idee palesemente “razziste” ed “eugeniste”, non lontane dal nazionalsocialismo hitleriano. “L’80% delle strutture di Planned Parenthood – ha poi osservato Abby Johnson – sono strategicamente dislocate in zone dove le minoranze etniche sono fortemente presenti”. A tal proposito, è assai curioso che, per assecondare le pressioni di Black Lives Matter, alcune cliniche di Planned Parenthood hanno fatto rimuovere il nome della fondatrice, proprio in quanto suprematista bianca. Un’operazione puramente di facciata che non cancella un dato di fatto assai imbarazzante per i liberal: oggi, come ieri, l’aborto è diffuso soprattutto tra i più poveri, quindi tra le minoranze etniche, coloro che, in larga maggioranza, danno regolarmente il proprio voto al Partito Democratico.

Nel suo intervento alla Convention repubblicana, Abby Johnson ha poi raccontato cosa la spinse, nel 2009, a licenziarsi da Planned Parenthood e a diventare una paladina del diritto alla vita. Le era stato mostrato il filmato di un aborto, in cui si vedeva chiaramente il bambino non ancora nato agitarsi e difendersi, mentre un tubo lo aspirava per smembrarlo orribilmente. Immagini troppo forti per la sensibilità di Abby, forse troppo forti per chiunque. In più, la giovane direttrice era rimasta profondamente delusa nello scoprire che lo scopo dell’azienda per cui lavorava era tutt’altro che umanitario: più aborti si facevano e più crescevano gli introiti delle cliniche. Dietro la facciata dei diritti umani, si nascondeva il più meschino dei business.

Per chi lo sostiene, l’aborto è qualcosa di “astratto”, ha proseguito la Johnson, “ma per me è reale, so quali suoni produce, so di cosa odora… Lo sapevate che l’aborto ha un odore?”. In conclusione, l’attivista pro life ha spiegato le motivazioni del suo sostegno alla ricandidatura di Donald Trump: “Ha fatto più lui per i non-nati di qualunque altro presidente. Durante il suo primo mandato ha smantellato i fondi federali per l’aborto, ha nominato giudici pro life alla Corte Suprema”. In conclusione, Abby Johnson ha invitato gli elettori repubblicani ad estendere in modo incessante il loro passaparola a favore di Trump tra amici, parenti, vicini di casa: “Fatelo, tenendo in mente gli americani più vulnerabili, coloro che ancora non sono nati…”, ha detto.

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È difficile dire se i voti dei pro life risulteranno determinanti nella possibile rielezione di Donald Trump. È però certo che il presidente è più che mai consapevole che senza il loro sostegno non avrebbe battuto Hillary Clinton nel 2016, né potrà mai vincere, il prossimo 3 novembre, contro Joe Biden. Anche Trump, del resto, è un abortista pentito: in passato avrebbe fatto donazioni alla stessa Planned Parenthood. Non ci è dato sapere se la sua svolta pro life sia avvenuta per convinzione personale o per calcolo elettorale, fatto sta che, per tutto il suo primo mandato, Trump è stato il presidente che ha varato più provvedimenti a favore della vita nascente. Ancor più di Ronald Reagan o di George W. Bush. È stato anche il primo presidente americano a presenziare, lo scorso 22 gennaio, alla Marcia per la Vita a Washington.

Se un tempo i sostenitori dell’aborto, da un lato, e del diritto alla vita, dall’altro, erano sparsi in modo abbastanza trasversale tra i due principali partiti americani, oggi la radicalizzazione delle rispettive posizioni fa sì che i pro life si identifichino pressoché esclusivamente con i repubblicani e i pro choice con i democratici. Le scelte fatte nei singoli Stati, in tal senso, sono emblematiche: se a New York l’aborto è ormai praticabile anche al nono mese, in Alabama e in altri Stati a guida repubblicana si è tentato di limitarlo entro la sesta settimana (momento in cui è rilevabile il battito cardiaco fetale). L’aborto è un tema che divide l’America a metà: stando ai sondaggi, da anni, il numero di sostenitori e di contrari è più o meno lo stesso per entrambe le fazioni e la percentuale di cittadini senza un’opinione precisa è molto esigua, oscillando tra il 2% e il 4%. Una polarizzazione che, negli anni a venire, sarà sempre più decisiva ai fini politico-elettorali, con conseguenze che potrebbero rivelarsi sorprendenti.

 

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Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa "Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana" and "Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".