di Luca Marcolivio

Femministe, liberali, radicali, comunisti, personaggi dello spettacolo. Uomini e donne messi in minoranza nel loro ambiente ma evidentemente, nel loro piccolo, ancora profondamente liberi. L’oggetto del contendere è il ddl Zan. Non serve un genio per capire che l’omofobia è un tema che sta a cuore molto più alle élite che non al popolo.

Ebbene, il fatto che il ddl Zan stia riscuotendo pareri negativi da parte di personaggi molto lontani tra loro per prospettiva culturale e politica è il segno che, soprattutto nella sua versione attuale, la bozza di legge in discussione al Senato sia qualcosa di difficilmente incardinabile nella tradizione italiana, con il sentire comune e anche con l’impalcatura legislativa e costituzionale del Paese. Ciò non significa che non si debba stare all’erta: il cambiamento antropologico è sempre in corso e può accelerare da un momento all’altro. Se però la deriva non si ferma, si configurerebbe lo slittamento verso un nuovo Stato etico, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero e che la Storia ci insegna.

Le prime a storcere il naso sono state le femministe, such as Marina Terragni e Monica Ricci Sargentini, bollate con lo sprezzante attributo di “TERF” (trans-exclusionary radical feminist), usato dagli lgbt americani nei confronti delle femministe “omofobe” sulla falsariga di J.K.Rowling. Non c’è bisogno di essere femministe per condividere le loro argomentazioni anti-Zan: l’identità di genere favorisce gli uomini transgender negli sport femminili e sdogana la promiscuità in luoghi come le carceri, favorendo le molestie o le violenze sessuali.

Anche tra gli eredi di Pannella c’è chi da tempo fiuta puzza di bruciato. Come il segretario dei Radicali, Maurizio Turco, che ha preso le distanze dal ddl Zan. “La repressione sessuale – afferma – non si supera con la repressione penale” e, comunque, aggressioni e discriminazioni contro omosessuali e transessuali “sono reati già puniti dalle norme esistenti”. Sia chiaro: in casa radicale lo stile di vita lgbt è sempre il benvenuto. “Avrei preferito di gran lunga l’informazione sessuale nelle scuole a un decreto penale”, precisa Turco; ma è comunque un distinguo non da poco. Da parte sua, sempre da una posizione radicale, Daniele Capezzone ritiene sbagliato “in particolare l’articolo 4 che colpisce la libertà d’espressione”. Il fatto che a stabilire quali siano le idee “idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti” debba essere un giudice, secondo Capezzone, è “una follia”.

Non meno pronunciata è l’avversione che regna tra i marxisti dissidenti. La posizione più forte, in questo ambito, è quella del segretario del Partito Comunista, Marco Rizzo, che da anni assiste impotente all’evoluzione/involuzione della Sinistra italiana e mondiale dai “diritti sociali” ai “diritti civili”. Rizzo teme, in modo particolare, che il ddl Zan possa sdoganare l’utero in affitto, emblema della più definitiva “mercificazione degli esseri umani”, che un anticapitalista come lui non potrà mai tollerare. Sulla stessa lunghezza d’onda un altro esponente della Sinistra vecchio stampo come il direttore del “Riformista”, Piero Sansonetti, che però fa leva sulla dicotomia garantismo-giustizialismo. “Quando si introduce un reato d’opinione siamo tutti a rischio”, ha detto alcune settimane fa a “Quarta Repubblica”.

Tra le colonne dell’intellighenzia di sinistra spicca lo scetticismo di Massimo Cacciari. “Non è il tempo di leggi fra virgolette ideologiche”, ha detto il filosofo veneziano, secondo il quale un governo così eterogeneo come quello in carica non può permettersi di dividersi su questi temi. Posizione forse tiepida (Cacciari è in linea di principio a favore del Ddl Zan) ma decisamente “eretica” rispetto alla linea massimalista sui diritti civili, sposata dal segretario del PD, Enrico Letta.

Molto nitida e intellettualmente onesta la posizione di Luca Ricolfi. Il sociologo ha messo in luce il rischio di un arbitrio della magistratura, per cui “ogni giudice giudica con i suoi valori”. Da liberale di sinistra, Ricolfi si è visto quindi “costretto a constatare che la censura è passata da destra a sinistra”, mentre “simmetricamente la libertà di pensiero è migrata da sinistra a destra”.

Liberale ortodosso e libertario, da sempre spina nel fianco della sinistra, Nicola Porro è schierato contro il ddl Zan da tempi non sospetti. Lo scorso ottobre, sul suo blog, il vicedirettore del “Giornale” ha ospitato un “manifesto di 150 intellettuali liberali e progressisti”, secondo i quali il ddl Zan “limita la libertà di espressione di coloro che hanno opinioni meditate contrarie a tali nozioni e comportamenti”; inoltre il ddl contro l’omotransfobia “censura convincimenti morali e religiosi in materia di etica sessuale”; infine “finisce con l’assegnare all’arbitrio personale del giudice un potere coercitivo illimitato, compreso l’uso di mezzi invasivi come le intercettazioni e le misure cautelari”. Tra i firmatari del documento cattolici e conservatori come Assuntina Morresi, Marco Gervasoni, Eugenio Capozzi, Francesco Giubilei e Alfredo Mantovano ma anche liberali come Marcello Pera, Eugenia Roccella e Dario Fertilio.

Che dire, infine, del mondo dello spettacolo? In questo ambito, le truppe cammellate sono meno temibili di quello che si pensi. Di contro a Elodie, all’autocompiaciuto “delatore” Alessandro Gassman e all’omofobo redento Fedez, le voci fuori dal coro non mancano. Pippo Baudo ha fortemente criticato il rapper milanese: “Se avessi condotto io il Concertone del Primo Maggio avrei spento le telecamere a Fedez durante il suo discorso. Per querelarlo è troppo tardi, equivarrebbe solo fargli il doppio della pubblicità”, ha affermato l’ottantacinquenne conduttore televisivo. Secondo Baudo, il ddl Zan è un “raddoppio” di norme già tutelate dalla Costituzione, una “complicazione delle cose semplici”.

Degna epigona del Pippo nazionale, che fu suo mentore tanti fa, è Lorella Cuccarini. Da sempre schierata per la famiglia “binaria” uomo-donna, la showgirl era stata apostrofata la scorsa estate dall’eterna rivale Heather Parisi. Il motivo? Un semplice like a un post del professor Marco Gervasoni fortemente critico verso il ddl Zan.

Ha suscitato sorpresa, se non scalpore, il recente post di Elisabetta Canalis. “Penso che la direzione che stiamo prendendo è quella del dovere esprimere un pensiero a senso unico, censurando e censurandoci per il terrore di essere bollati come misogini, omofobi o razzisti – scrive la showgirl sul suo profilo “Instagram”. “L’Italia è un Paese libero e così dovrebbe rimanere. L’Europa non deve omologarsi alle follie del politically correct che si vedono sempre più spesso altrove, anche perché a livello di diritti umani e di umanità in generale abbiamo tanto da insegnare a molte nazioni”.

Non meno spiazzante Sergio Castellitto. “Non possiamo nascondere che [il ddl Zan, ndr] contiene delle contraddizioni – ha dichiarato l’attore a “Repubblica” – e purtroppo da un po’ di tempo c’è stato un trasferimento a destra di quelli che sono i grandi valori della sinistra. Esiste una destra capace di parlare alla pancia delle persone in maniera diretta, concreta. Più di quanto, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista, oggi la sinistra sia in grado di fare”.

Un altro che ha criticato Fedez è stato Enrico Ruggeri che, intervistato da “Libero”, ha parlato di “trappola mediatica” tesa dal rapper dal palco del Primo Maggio. “Quanto al ddl Zan, personalmente trovo assurdo perfino pensare di discriminare un gay – ha aggiunto il cantautore – ma una guerra libertaria o una roba che cambi il costume non la fai per via legislativa”.

Non è necessario essere eterosessuali per osteggiare il ddl Zan. Mauro Coruzzi, in arte Platinette, l’ha definito una “legge che discrimina” ed una “limitazione della libertà espressiva”. Inoltre, “se passasse mai che l’utero in affitto è una regola praticabile, è una forma di offesa per le donne”, ha dichiarato la celebre drag queen televisiva, intervistato a “La Zanzara” da Giuseppe Cruciani. Anche Cruciani, del resto, pur essendo possibilista sulla maternità surrogata, è contrario al ddl Zan che “come tutte le leggi simbolo è pericoloso per la libertà d’espressione”.

Femminista, tra le iniziatrici del movimento “Se non ora quando” (nonché madre di Carlo Calenda, uno degli astri nascenti della Sinistra italiana), Cristina Comencini ha scelto il giornale dei vescovi per esprimere il suo pensiero dissonante. Pur proclamandosi favorevole a una legge contro l’omofobia, la regista ha dichiarato ad “Avvenire”: “Aprire una discussione su una legge che ha alcuni aspetti controversi non è un attacco a diritti sacrosanti”. Le argomentazioni della Comencini sono le stesse di Marina Terragni e di altre TERF. “La definizione di ‘genere’ contenuta nel testo crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto”: si finisce, così, per “cancellare la differenza sessuale” e si introduce una “confusione antropologica”. Eppure, su questo aspetto, ha lamentato la regista, c’è la conclamata “volontà di non ascoltare” le obiezioni delle femministe dissidenti.

Questa frammentazione all’interno della Sinistra culturale, infatti, non si riscontra all’interno della Sinistra parlamentare, tutta straordinariamente compatta nel sostenere il ddl Zan così com’è. Forte anche di un sondaggio segreto che svelerebbe il netto favore degli elettori PD a delle norme antiomofobia e che avrebbe indotto il segretario Enrico Letta a premere l’acceleratore per l’approvazione. Ma quanto sarà credibile?

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Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa "Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana" and "Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".

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