Nel silenzio assordante dei media e dell’opinione pubblica, completamente travolti dalla psicosi-coronavirus, la Camera dei Deputati sta lavorando alacremente per l’approvazione del ddl contro l’omofobia. L’iter legislativo, avviato non casualmente poco dopo la formazione del governo giallorosso, si era temporaneamente arenato durante lo scorso autunno. È stato poi l’onorevole Alessandro Zan (Pd), primo firmatario del disegno di legge, ad annunciare dai suoi profili social l’approdo in aula della bozza il prossimo 31 marzo, data entro la quale dovrà concludersi la discussione in Commissione Giustizia. “Questa è una legge importante, nei prossimi giorni servirà il sostegno di tutti voi per rendere questo Paese un po’ più civile”, ha dichiarato enfaticamente il deputato dem.

Lo schema del ddl Zan è assai simile a quello del ddl Scalfarotto, approvato nel 2013 dalla sola Camera e mai passato al Senato: l’obiettivo è quello di integrare la legge Mancino del 1993, che già punisce la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, aggiungendovi motivi “fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. In particolare, si prefigge di perseguire tutte le presunte manifestazioni di odio omotransfobico, senza però entrare nel merito dei comportamenti da sanzionare. Non è un caso che, il 2 maggio 2018, alla presentazione del proprio ddl alla Camera, l’onorevole Zan, oltre a lanciare l’allarme in merito ad una “vera e propria escalation dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere”, aveva ricordato che l’integrazione della legge Mancino (inquadrata nel Codice Penale agli artt. 604, 604-bis, 604 ter) prevista dal suo ddl non pone nel mirino soltanto chi commette atti d’odio omotransfobico ma anche chi incita a commettere atti di violenza (pena da sei mesi a quattro anni di reclusione) o di discriminazione (pena fino a un anno e mezzo di reclusione o multa fino a 6000 euro), inclusi coloro che cooperano ad organizzazioni, associazioni o movimenti che perseguano scopi discriminatori o violenti. Per quanti presiedono o promuovono tali formazioni, la pena reclusiva va da uno a sei anni.

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All’origine delle ripetute pressioni sull’Italia, affinché approvi al più presto una legge anti-omofobia, anche stavolta c’è l’Unione Europea. In una risoluzione del 2006, il Parlamento Europeo definiva l’omofobia come “una paura e un’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo”. Sulla scorta di questa risoluzione, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha più volte ribadito la necessità che i parlamenti nazionali approvino legislazioni atte a reprimere i comportamenti e le ideologie omofobi.

Dopo un’eventuale approvazione del ddl Zan, sarà ancora possibile dichiarare che i bambini nascono esclusivamente da un papà e da una mamma? Affermare che l’utero in affitto è un crimine sarà ritenuto offensivo verso le coppie omosessuali che ne usufruiscono? Nelle chiese e nelle sinagoghe sarà ancora consentito proclamare, come afferma la Bibbia, che Dio “maschio e femmina li creò”? La Costituzione italiana, peraltro, all’articolo 21, tutela la libertà di manifestazione del pensiero: evidentemente, sia per i burocrati di Bruxelles che per molti illustri giuristi nostrani, questo principio è un dettaglio…


Luca Marcolivio è giornalista professionista free lance.