Quanto sta accadendo ai confini tra Grecia e Turchia rappresenta una grave minaccia ma anche un’opportunità per l’Europa.

Una minaccia perché Recep Tayyp Erdogan torna ad usare (dopo i flussi del 2015 di oltre in milione di immigrati illegali lungo la “rotta balcanica”) l’arma dei migranti per colpire la Ue e punire la Grecia che la scorsa settimana ha posto il veto a un documento della NATO che esprimeva solidarietà e sostegno ad Ankara impegnata nella guerra di aggressione in Siria. Un intervento di occupazione del nord siriano che nessuna risoluzione dell’ONU ha mai autorizzato e che vede le truppe turche combattere al fianco dei miliziani jihadisti e qaedisti: quelli che quando arrivano in Europa chiamiamo foreign fighters e terroristi.

L’impiego di masse umane (quelle che Kelly Greenhill chiamò nel suo libro del 2010 “armi di migrazione di massa”) da parte della Turchia non rinnova solo il ricatto finanziario nei confronti della Ue (che in 5 anni ha già sborsato 6 miliardi di euro in cambio dell’impegno di Erdogan a tenere chiuse le sue frontiere) ma rappresenta un vero attacco all’Europa nel momento in cui è più debole, non solo politicamente ma anche sul piano sociale a causa del dilagare del Coronavirus.

L’attuale scenario costituisce però anche una opportunità, forse l’ultima che ha l’Europa per smentire il vecchio adagio che la vuole “nano politico e verme militare”.

Certo sulla Ue non ci si può fare nessuna illusione e già si moltiplicano le pressioni dell’ampio fronte “immigrazionista” che vorrebbe accogliere i migranti che premono alla frontiera greca sospinti verso ovest dai poliziotti turchi. Una pericolosa follia che incoraggerebbe i flussi illegali e soprattutto mostrerebbe l’irresponsabile stoltezza di un’Unione incapace di individuare e difendere gli interessi dei suoi popoli.

Innanzitutto i “poveri migranti”, con il solito “scudo” di donne e bambini, lanciano pietre e molotov contro i poliziotti greci che difendono il buon diritto di Atene di impedire l’accesso illegale al suo territorio. Inoltre tra i milioni di migranti che dalla Turchia premono sul confine greco e bulgaro vi sono pachistani, afghani, irakeni e appartenenti a molte altre nazionalità asiatiche che nulla hanno a che fare con la guerra in Siria. Infine è assurdo voler credere che i siriani siano arrivati a piedi al confine greco da Idlib distante 1.500 chilometri. Meglio invece ricordare che da oltre due anni, dopo ogni battaglia vinta dalle truppe di Bashar Assad, i ribelli che accettavano di cessare il fuoco venivano condotti con le loro famiglie nella “sacca di Idlib”. Per questo tra i siriani che fuggono da quella provincia è molto probabile vi siano un gran numero di jihadisti con i loro famigliari: veterani di diversi movimenti islamisti che Erdogan non intende ospitare in Turchia per ovvie ragioni di sicurezza e che sarebbe stoltezza suicida far entrare in Europa.

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Inutile quindi contare sulla Ue, capace eventualmente solo di peggiorare la situazione censurando la Grecia che respinge i gommoni di fronte a Lesbo e ha blindato con poliziotti e militari il confine terrestre con la Turchia. L’unica speranza dell’Europa è riposta oggi nell’opportunità che hanno le singole Nazioni di dare un chiaro e forte segnale di sostegno alla Grecia e al suo governo che sta arginando le maree umane spinte dai turchi sul fiume Evros. Segnali non solo politici o di sostegno finanziario allo sforzo profuso da Atene ma anche concreti, con l’offerta di reparti e mezzi terrestri e navali di polizia per aiutare Atene a difendere i confini d’Europa dal fiume Evros alle isole dell’Egeo.

Ungheria, Croazia, Serbia e Slovenia hanno già annunciato misure drastiche per impedire l’accesso al proprio territorio a nuove maree umane. Se si ripetesse l’esodo del 2015 molte nazioni d’Europa erigerebbero muri ancora più alti, annientando definitivamente ogni ipotesi di iniziative comuni e dando così il colpo di grazia al progetto europeo. L’unica alternativa ai muri eretti lungo le frontiere interne europee è riposta nell’erigere e difendere tutti insieme oggi, al fianco dei greci, il muro lungo il confine esterno più esposto, quello con la Turchia di Erdogan.


Gianandrea Gaiani è il direttore di “Analisi Difesa” ed ex Consigliere per le politiche di sicurezza del Ministro dell’Interno.