di Davide Lanfranco
Sento spesso ripetere, da chi si contrappone nel mondo occidentale all’attuale potere definito globalista e liberal (inteso nell’accezione anglosassone), un continuo piagnisteo contro il destino cinico e baro o i cattivi poteri forti che impedirebbero la piena presa di potere delle forze sovran-populiste.
Mi permetto di rivolgere a costoro un consiglio non richiesto. Non è certo un consiglio su come conquistare voti o vincere le elezioni, non avendo io mai vinto alcun tipo di contesa elettorale in vita mia, se non quando i miei compagni di classe mi elessero loro rappresentante ai tempi del liceo. È, invece, un consiglio su come mantenere le leve del comando politico e non farsele sottrarre regolarmente da chi arriva secondo, se non ultimo, alle elezioni. Perché, sembrerà strano, ma anche in democrazia non basta vincere le tornate elettorali o prendere più voti degli altri per governare un Paese.
Esempio perfetto di questa semplice verità riguarda le vicende dello schieramento politico di centrodestra in Italia. Da almeno venticinque anni (a ben vedere è così dal 1861 circa) le forze di centrodestra rappresentano in netta maggioranza i sentimenti degli italiani; sicuramente molto di più di tutte le sinistre o i vari campi progressisti messi insieme. A tal proposito, parlano chiaro i dati elettorali aggregati dei partiti che per programmi e parole d’ordine sono assimilabili al fronte della destra o centro-destra, dal 1994 ad oggi.
Nonostante questo, dopo l’avvento della Seconda Repubblica, i partiti di sinistra o le coalizioni centro-sinistra hanno governato per molto più tempo (direttamente o sotto le mentite spoglie dei governi tecnici) della destra. Togliendo, infatti, il Governo Monti (votato pure dal PDL) ed il Governo Conte I (il governo Frankenstein , citazione Mario Sechi) stiamo ad un rapporto di quattrodici anni e mezzo di governo per le forze di centrosinistra contro gli otto anni per il centrodestra.
Chiaramente i leader politici della destra e del centrodestra diranno che la colpa è da addebitarsi esclusivamente ad agenti esterni (azione delle istituzioni europee maggiormente favorevoli alla più europeista sinistra, non imparzialità di Capi dello Stato sempre espressione dal 1992 ad oggi delle forze progressiste, ingerenza da parte della magistratura). Sarebbe da ingenui negare che, in alcuni frangenti politici, abbiano inciso pure i fattori citati; questa come spiegazione però ad un “machiavelliano” non può bastare.
Credo invece sia stato sottovalutato l’impatto della questione culturale e dell’egemonia culturale sul mantenimento del potere, aspetto di cui ai capi politici della destra italiana è fregato sempre poco. Si può riproporre allora come soluzione eventuale, a chi ne volesse far tesoro, il pensiero di uno dei più intelligenti ed acuti (nonché ammiratore de The Prince) intellettuali italiani italiani: Antonio Gramsci, comunista vero e feroce. Leninista fino al midollo, che nulla a che fare con certe “comiche” rivisitazioni proposte nel tempo proprio dal mondo liberal e progressista. Per intenderci, Gramsci non è stato mai un democratico né tantomeno liberale o socialista, e condivideva in toto quello che fino a quel momento facevano i comunisti nel mondo ed in Russia. Ed anche se, per impedimento dovuto alla detenzione, non visse appieno la stagione “staliniana”, non c’è motivo di credere che ne sarebbe stato oppositore. Malgrado questo non si po’ non riconoscerne la grande intelligenza e soprattutto le intuizioni che hanno contribuito non poco alle fortune dei comunisti italiani.
Una di queste è sicuramente relativa all’importanza di conseguire l’egemonia culturale per mantenere il potere nelle società occidentali. L’egemonia culturale però non la costruisci semplicemente aspettando che la maggioranza degli elettori ti diano il loro consenso nelle urne o esprimano il loro gradimento alle tue foto sui social network. La costruisci solo “conquistando ed occupando le casematte della società civile” ovvero il “cervello della società”, quello che ne delinea le correnti ideologico-culturali: la scuola, le case editrici, le redazioni dei giornali, la magistratura, l’elaborazione culturale e l’organizzazione della cultura. Senza questo passaggio, coi soli voti non farai mai nulla. Terribile eh? Messer Niccolò invece avrebbe detto di no. Avrebbe ricordato che “sendo adunque uno principe necessitato sapere bene usar la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupo”.
Laureato in Sociologia (Università La Sapienza di Roma) con Master in Economia e Finanza degli Intermediari Finanziari (Università LUISS). Da vent’anni lavora per lo Stato Italiano nel settore delle Forze di Polizia.
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