di Luca Ruggeri
La Turchia è oggetto di un notevole interesse da parte dei mass-media per le recenti vicende geopolitiche e militari che l’hanno vista protagonista dalla Siria alla Libia ma anche in Irak, Yemen ed Azerbaijan nonché nell’arcipelago greco; al contrario alcuni aspetti economici, che contribuiscono a determinare le scelte della leadership turca, non hanno riscosso il medesimo interesse.
Circa questo ultimo profilo recentemente un episodio ha risvegliato l’attenzione degli operatori economici nei confronti della Turchia. Nella notte fra lunedì 3 agosto e martedì 4 agosto, il tasso overnight sugli swap legati alla lira turca è arrivato al 10,24% con una impennata repentina ed impressionante; l’interpretazione dominante è che l’innalzamento sia stato voluto dalla banca centrale turca per proteggere la propria valuta dal potenziale assalto dei mercati.
L’andamento della lira rispetto al dollaro risulta infatti in costante e continuo declino. Nel momento in cui viene scritta questa nota il cambio dollaro/lira è a 7,29, oltre il livello ufficiosamente fissato dalle autorità turche e sopra il precedente record negativo, del maggio scorso, che vedeva una valutazione pari a 7,26. Per meglio contestualizzare la situazione va ricordato che il cambio dollaro/lira turca al 31 dicembre 2017, prima quindi della crisi dell’estate 2018, era 3,79. Al 31 dicembre 2019 il cambio era già a 5,95; stante la quotazione odierna, nella sola prima parte del 2020 si è registrata una svalutazione della lira rispetto al dollaro superiore al 20%.
Secondo un sondaggio della Reuters del mese scorso circa l’economia turca, basato su un panel di 42 economisti, nel 2020 è stimata una contrazione del 4,3% a fronte di una crescita del 4,5% nel 2021; l’OECD nel suo Economic Outlook prevede una flessione, nel 2020, tra il 5% e l’8%. I dati, ancorché inevitabilmente legati all’andamento della pandemia, sono meno negativi rispetto ad altre nazioni quali, ad esempio, la Spagna o la Francia. Il tallone d’Achille dell’economia turca viene però individuato nella necessità di capitali esteri ed in particolare nell’indebitamento in dollari delle aziende.
In questo contesto il deprezzamento della lira costituisce comunque un problema di rilievo per l’economia turca e le autorità hanno perseguito una attiva politica di difesa del cambio per tale motivo ma anche, secondo molti soprattutto, per ragioni di prestigio politico.
L’esito della politica valutaria è stato l’erosione delle riserve della banca centrale. Il report del Fondo Monetario Internazionale del giugno scorso (“Global Financial Stability Update”) riporta la Turchia tra le nazioni che hanno riserve inadeguate rispetto agli impegni in valuta straniera. In realtà molti analisti reputano che la situazione sia peggiore di quella ufficialmente rappresentata in quanto la banca centrale turca contabilizzerebbe anche le linee swap tra le proprie riserve. Gli stessi dati ufficiali turchi rappresentano una contrazione delle riserve e nel maggio scorso vi erano stati contatti con altre banche centrali al fine di perfezionare delle ulteriori linee swap; contatti che non sembrano aver ottenuto risultati significativi ma che confermano la preoccupazione per la situazione valutaria.
La crisi economica, il deflusso di capitali stranieri ed il calo dei flussi turistici, con il relativo minor apporto di preziosa valuta estera, rendono ancor più complessa la gestione della lira né si prospettano soluzioni semplici qualora si voglia mantenere il cambio all’attuale livello. Si potrebbe ipotizzare il ricorso ad una consistente linea swap con la Fed americana o con la banca centrale cinese, le uniche che potrebbero convincere il mercato della robustezza del loro intervento, oppure con il Fondo Monetario Internazionale; soluzioni non facili da perseguire e che presenterebbero un elevato costo politico per l’attuale leadership turca. Una ipotesi diversa, l’innalzamento dei tassi di interesse, rischierebbe invece di rendere più difficile la ripresa di una economia fiaccata dal coronavirus.
Senior Fellow at the Centro Studi Machiavelli. A graduate in Economics, he worked for over twenty years at a large Italian bank and currently serves as a general manager at an institutional investor.
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