Il Capro Espiatorio: Israele e la crisi dell’Europa – il nuovo saggio del ricercatore, saggista ed esperto di Israele Niram Ferretti – è un libro che racconta la decadenza dell’identità europea attraverso le manifestazioni di ostilità dei Paesi europei nei confronti dello Stato Ebraico.

Il saggio ripercorre la storia europea dal secondo dopoguerra, sottolineando come gli orrori del conflitto avessero portato solo ad un superficiale senso di accettazione dell’indipendenza di Israele. A causa, infatti, del senso di colpa nei confronti delle popolazioni che avevano subito le antiche colonizzazioni, l’Europa ha assunto un tipo di multiculturalismo particolare che si è concentrato sulla negazione della straordinarietà della cultura occidentale, arrivando a mostrare disprezzo nei confronti delle sue stesse radici giudaico-cristiane a fronte di una violenta esaltazione delle altre culture.

La dimostrazione della frattura tra passato e presente in Europa e del rifiuto della propria identità, radici e storia, viene esemplificato alla perfezione dal doppio standard che le nazioni europee utilizzano contro Israele. Nel dopoguerra e a causa di un ipocrita “senso di colpa”, vi era forte vicinanza. Non appena è stato chiaro che Israele non avrebbe chinato il capo nei confronti della volubilitá delle nazioni occidentali, e non appena le evidenti sofferenze del popolo palestinese sono state erroneamente attribuite a Israele, questo atteggiamento si è capovolto. In sostanza per alcuni Paesi occidentali la capacità di Gerusalemme di difendersi dagli attacchi dei vicini Stati arabi è stata prima una sorpresa, poi una “disgrazia” da contrastare.

La forza di Israele, mal sopportata dall’Europa in quanto retta da un forte nazionalismo e sentimento identitario, ha aperto le porte a nuove forme di antisemitismo, che mescola vecchi stereotipi e nuovi strumenti. Si avvale di trucchi linguistici per evitare di affrontare lo specchio di un tremendo passato, in particolare per una sinistra che si è sempre fatta ipocritamente portatrice di valori quali la tolleranza e la diversità culturale.

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L’antisionismo, spiega il saggio, non è solo una forma di antisemitismo, ma è la più grande forma di rifiuto dei valori su cui i Paesi europei sono nati e cresciuti: patriottismo, religiosità, nazionalismo, difesa dei propri confini, multiculturalismo abbracciato da un’unica bandiera. Il saggio non racconta l’odio di “lefties” e comunità islamiche in Europa contro Israele, non si concentra sul modo in cui le istituzioni internazionali riescono a criticare più Israele da sola che ogni altra nazione con territori contesi al mondo. Il testo utilizza infatti quest’ultimi come esempi per raccontare il disprezzo di questa nuova Europa contro se stessa, troppo presa ad autoflagellarsi per non essere stata debole nei secoli scorsi e pronta a chinare il capo di fronte a culture che ancora trattano l’Occidente come un nemico. 

Il libro rappresenta una riflessione innovativa: si chiede perché accusare Israele di razzismo, laddove dal processo di integrazione culturale e religioso di Israele i Paesi Europei avrebbero molto da apprendere; perché parlare di Paese “guerrafondaio”, se è proprio L’Europa ad aver fondato la propria storia sulle guerre di conquista, laddove Israele si è sempre e solo difeso da nemici esterni; perché parlare di discriminazioni se antisemitismo e islamofobia sono “disturbi” della cultura europea anche al giorno d’oggi.

È un libro che merita una riflessione ampia, che analizza un fenomeno, quello della perdita dell’identità europea, rivolgendosi alle nuove generazioni e chiedendo alle stesse di ritrovare il sentimento di affezione nei confronti delle radici europee anche attraverso una visione più equilibrata del conflitto arabo israeliano. 


Rebecca Mieli è analista di questioni di intelligence e sicurezza.