Con oltre la metà dei seggi scrutinati, il caucus del Nevada sembra aver già prodotto dei risultati sostanzialmente definitivi. Il senatore del Vermont, Bernie Sanders, si è aggiudicato la vittoria con oltre il 46% dei consensi. Segue, al secondo posto, l’ex vicepresidente americano, Joe Biden, intorno al 19%. La terza posizione va invece all’ex sindaco di South Bend, Pete Buttigieg. Quarta, non poco distanziata, la senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren. Nonostante non garantisca un numero eccessivo di delegati, questo caucus offre degli aspetti di primario rilievo.

In primo luogo, Sanders si rafforza decisamente nella corsa verso la nomination democratica. Questa netta vittoria in Nevada sfata infatti un tabù per il senatore: quello di non essere in grado di conquistarsi il voto delle minoranze etniche. Un elemento che aveva caratterizzato la sua candidatura ai tempi delle primarie del 2016, quando – non a caso – in Nevada era stato sconfitto da Hillary Clinton. Secondo i primi dati diffusi da “Politico”, pare che – sabato notte – il senatore sia riuscito ad aggiudicarsi il 53% degli elettori ispanici e il 27% di quelli afroamericani. Dati importanti che, adesso, gli consentono di proiettarsi realmente verso la nomination, ribattendo alle accuse di chi ha sempre sostenuto che il suo elettorato fosse pressoché esclusivamente costituito da bianchi. Dati ancora più significativi se si pensa che Biden è arrivato secondo con oltre venti punti di distanza: quel Biden che, ad oggi, risulta (almeno sulla carta) il candidato maggiormente attrattivo per le minoranze etniche. Sanders si gode quindi adesso la vittoria e spera che il Nevada possa consentirgli di incrementare le possibilità di conquistare un buon risultato anche in South Carolina il 29 febbraio: uno Stato dove sarà proprio Biden a giocarsi il tutto per tutto.

Ciò detto, bisogna comunque fare attenzione. Se la vittoria di Sanders costituisce un indubbio successo, non va trascurato che il risultato sia numericamente in linea con quello ottenuto nel 2016, quando conquistò il 47% dei consensi, contro il 53% conseguito da Hillary Clinton. Il dato conferma un trend già chiaro dagli scorsi appuntamenti elettorali: e cioè che il senatore del Vermont non stia significativamente incrementando la propria base, dal punto di vista numerico, rispetto a quattro anni fa. La differenza con allora risiede semmai nella maggior frammentazione (e complessiva debolezza) del campo centrista: se infatti sommiamo i risultati conseguiti in Nevada sabato sera dai candidati di quell’area (Biden, Buttigieg ed Amy Klobuchar) si arriva a un totale di circa il 40%. Risultato basso in termini assoluti e reso ancor più traballante dal fatto che a ben vedere tra questi tre candidati – nonostante un comune centrismo di massima – non si riscontri piena sovrapponibilità. Inoltre, non bisogna trascurare che – in termini di voto popolare – Sanders abbia quest’anno inanellato per tre volte di seguito il primo posto: in Iowa, New Hampshire e – per l’appunto – in Nevada.

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Brutte notizie invece si riscontrano per Buttigieg, che aveva suscitato qualche speranza dopo i buoni risultati ottenuti negli appuntamenti elettorali precedenti. Con il suo magro terzo posto, l’ex sindaco di South Bend si dimostra incapace di sfondare tra le minoranze etniche, evidenziando come la sua base fatichi ad espandersi significativamente oltre l’elettorato bianco. Un fattore, questo, che potrebbe mettere seriamente a rischio il successo della sua corsa elettorale. Prosegue poi la scia negativa di Elizabeth Warren che, sostanzialmente in linea con gli scarsi risultati di Iowa e New Hampshire, non riesce a trovare una collocazione in queste primarie e rischia sempre più di finire in un vicolo cieco. Il punto è che, al di là delle singole candidature, l’ascesa di Sanders tenderà adesso a polarizzare ulteriormente il già bellicoso clima di queste primarie. Prova ne è il duro discorso, pronunciato da Buttigieg, contro il senatore del Vermont domenica scorsa. E, sotto questo aspetto, la situazione tenderà a peggiorare con il Super Martedì del 3 marzo, quando Mike Bloomberg si confronterà per la prima volta con le urne. 


Stefano Graziosi è Ricercatore del Centro Studi Machiavelli.