by Roberto Siconolfi

Uno dei dibattiti più interessanti e importanti per le ricadute sulla realtà è quello relativo al progresso tecnologico. Da qui altre domande importanti, fondamentali, riguardano il fatto che l’uomo possa essere in grado o meno di manipolare alcune coordinate fondamentali della vita e della realtà, a cominciare dalla modificazione o dalla creazione della stessa vita umana.

Coniugare spiritualità e postmodernità: la vera sfida

Il punto di vista che si esporrà in questo breve articolo è quello di una via mediana, la ricerca di un equilibrio continuo tra forze della vita e quelle del progresso, forze della natura e tecnologia.

Inoltre, l’auspicio di questo modo di procedere è quello di calare certe posizioni generali, legate ad una visione del mondo incentrata su energie e principi spirituali e “permanenti”, nel particolare della nostra fase storica specificamente postmoderna.

Coniugare “essenze tradizionali” con il progresso dei tempi!

Un lavoro che può essere esteso in tutti i vari ambiti del dibattito culturale e dell’azione politica, e dunque anche su temi quali l’organizzazione politica statale, l’impresa e il mondo dell’economia, l’ecologia, il femminismo e tutto ciò che impone una rimodulazione dell’esistente alla luce della specifica fase in atto.

Un “adeguamento attivo” al mondo liquido e postmoderno, nel quale far penetrare le forze permanenti di una “metafisica solare”.

Primitivismo e transumanesimo: due posizioni squilibrate

Sul tema “progresso tecnologico” vi sono due posizioni antitetiche dalle quali guardarsi. L’una è legata a una specie di visione conservatrice “bucolica”, agreste, primitivista, secondo la quale dinnanzi alla disumanizzazione della tecnologia attuale bisogna chiudere definitivamente con tutto e praticamente “tornare nei campi”. La tecnica, la tecnologia, vengono viste come un male in sé, come portatrici di sfruttamento a oltranza delle risorse naturali, come spersonalizzanti rispetto alla natura umana, la quale finirebbe per esserne vittima e dipendente dai loro meccanismi d’azione.

L’altra posizione agli estremi è quella legata a tendenze culturali, le quali trovano sempre più applicazione concreta nel mondo attuale in una rincorsa al mito del progresso e alla formazione di un novello tipo umano “mezzo uomo e mezzo robot”. Si tratta del transumanesimo, e di tutte quelle tendenze come il postumanesimo, l’accelerazionismo e non ultimo il prometeismo, che seppur diversificate in varie correnti e matrici culturali, ritengono che l’uomo possa a proprio piacimento, per calcolo utilitaristico o per slancio superomistico, manipolare le forze base della natura e dell’esistente (dall’eugenetica ai processi storico-sociali, alla geoingegneria, all’intelligenza artificiale, alla fusione uomo/macchina).

In pratica in entrambi questi lati della medaglia vediamo che c’è un rapporto squilibrato con le forze del progresso materiale – e la tecnologia in effetti lo è. Il primitivismo tende a rifiutare il progresso, respingendolo, abbandonandolo, fuggendo da esso. Transumanesimo, postumanesimo et similia tendono invece a favorirlo, realizzarlo, produrlo, crearlo.

Tutta un’altra impostazione andrebbe utilizzata invece per affrontare la questione e questa realtà. Innanzitutto che un determinato sviluppo delle forze materiali è inevitabile, ossia è nell’essenza stessa del procedere ciclico della storia. Recuperando una visione circolare del tempo, la nostra fase (quella del Kali Yuga indiano, o dell’età del ferro come da Esiodo) mette in atto una lento decadere delle forze stesse della materia, oltre che dello spirito. E se la modernità si era consacrata come l’età del materialismo, da vari punti di vista, con la postmodernità siamo dinnanzi a un vero e proprio postmaterialismo, dove si perde la costituzione della realtà in senso solido e avanza invece il “polverizzato”, il “discontinuo”.

È Réne Guénon a parlare di tali “modificazioni dell’ambiente”, e per ambiente non si intende semplicemente l’ambiente esterno e tangibile all’uomo, bensì l’ambiente psichico, l’ambiente interno stesso dell’uomo. Bene: l’avanzare del progresso tecnologico rientra dal nostro punto di vista, proprio in tali modificazioni dell’ambiente, dove la materia, la “sostanza”, perde la sua classica connotazione da noi conosciuta e si rimodula intorno a una nuova forma fatta di chip, connessioni, sistemi hardware and software, media e sistemi di comunicazione. Ed è in questa nuova realtà particolare, in questa nuova realtà trasformata, che lo spirito, l’elemento “permanente” e “trascendente” deve discendere e portare la sua azione.

Per farlo è necessario un elevato grado di presenza mentale, un “governo interiore” del proprio mondo emozionale, in quanto – e veniamo alla tecnologia mediatica – essa agisce prevalentemente sull’aspetto subconscio dell’individuo (M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, 2015). E lo fa impattando su di esso, più che sulla sfera concettuale, suscitando emozioni, e riverberando tali emozioni “dal singolo alla folla” (de Kerckhove, L’impatto di internet sul sistema limbico sociale, Franco Angeli, 2014), amplificando gli aspetti subconsci e inconsci dell’individuo, rendendo l’individuo “servomeccanismo” della sua “immagine riflessa” prodotta attraverso i media (vedi effetti dei media sull’Ego in McLuhan, 2015).

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Marshall McLuhan è stato sicuramente il più grande ricercatore della scena dei mezzi di comunicazione. Figlio del pensiero di Harold Innis, egli è “iniziatore” della categoria di saperi della cosiddetta “mediologia”, ossia la concezione secondo la quale i media non sono più lo strumento atto al raggiungimento di un fine, ma sono proprio il “fine”, perché ristrutturano il corso degli eventi e l’essere umano stesso. Essi sono l’agente principale dei processi storici. “Medium is the message”: il mezzo non è più strumento di un contenuto, ma è il mezzo stesso il contenuto!

I media dell’era elettrica – McLuhan analizzava la TV ma discorso simile vale per internet e social network – sono totalizzanti, avvolgenti, riportano l’uomo allo stato tribale, al dominio della sfera orale, al recupero del pensiero associativo, magico, e ancora alla diversificazione, al decentramento, alla contrazione e all’implosione, all’istantaneità, collegando tutto il mondo in un nuovo mitico Villaggio Globale. Diversamente dalla parola, dalla lettera stampata, che invece aveva separato gli uomini in individualismi, nazionalismi, in un mondo di pensare sequenziale, concatenato, frammentato e in processi di centralizzazione ed esplosione.

È dunque all’interno di questa scena, nella quale l’uomo è già immerso, che tale uomo deve agire. Immerso in una planetaria “infosfera” nella quale egli è sempre connesso, “On Life” e non più semplicemente “On line” o “Off line”, come direbbe il filosofo dell’informazione Luciano Floridi. Un collegamento sottile, “invisibile”, che l’uomo ha giù costruito con i media, in particolare con i suoi immediatamente prossimi (TV, social network, smartphone, PC).

A maggior ragione, dunque, dal nostro punto di vista è fondamentale generare un altro tipo d’umano, rispetto a quello vigente. Un uomo che sia integrato nella sua dimensione spirituale, in quanto solo un uomo sovrano di sé e del suo mondo interiore è in grado di fronteggiare tale avanzata di mezzi, o meglio di “forze” che Ernst Jünger non esiterebbe a definire “titaniche”, proprio come il suo Operaio affrontava con spirito guerriero le forze tecnologiche della fabbrica.

È quest’uomo il vero Superuomo, la vera svolta per vivere il presente e il futuro; non è l’uomo in grado di “autocreare la vita” in una prospettiva storico-materialistica (trasumanesimo et similia, correnti di sinistra) o l’uomo potenziato ma limitato nella sfera tecnico-biologica in uno slancio faustiano, “nietzschiano” di tipo materialistico-spirituale (transumanesimo et similia, correnti di destra). È quest’uomo che sarà in grado di padroneggiare anche le apparecchiature più spregiudicate della tecnologia, e non l’uomo privo di dimensione spirituale e che si azzarda in campi che non sono di sua competenza, sostituendosi a Dio per così dire, e finendo miseramente travolto da forze che sono più grandi di lui – e gli esempi storici si perdono nella notte dei tempi! In questa ottica possiamo dire che se per Heidegger “solo un Dio ci può salvare!”, questo Dio non è Prometeo ma è l’Uomo stesso che si fa Dio riscoprendo e sviluppando il divino che è dentro di sé: “Tutti gli esseri senzienti hanno la natura del Buddha” (Sutra del Grande Passaggio al di là della Sofferenza).

La figura di Marshall McLuhan va sottratta dalle mani della solita casta “sinistrata” che domina i campi accademici e che ne ha fatto un novello Carlo Marx o comunque un pensatore da edulcorare con tesi para-marxiste e derivate dal movimento Hippie. Il pensiero di Marshall McLuhan è figlio di figure come il pensatore cristiano G. K. Chesterton. Il pensiero di McLuhan si muove su ben altre direttive della semplice analisi materialista dei processi storici, ma si fonda sulla potenza dell’uomo e della sua capacità di rinnovamento antropologico – la conoscenza dei media come porta d’accesso alla conoscenza umana più profonda nel ritorno ad una dimensione magica, sovrannaturale della realtà.

Man mano che cominciamo a reagire in profondità alla vita sociale e ai problemi del nostro villaggio globale, diventiamo reazionari. La partecipazione, accompagnata alle nostre tecnologie istantanee, trasforma le persone socialmente più avanzate in conservatori (McLuhan, 2015, p. 52).

Laureato in Sociologia, collabora con diversi giornali, riviste, centri di ricerca, blog. È autore del saggio Il nuovo totalitarismo e la rivoluzione della coscienza (Milano, AGA Editrice, 2019). Già compositore amatoriale di musica elettronica, oggi pratica discipline orientali.