di Alessandro Previdi

Nelle ore trascorse dopo la spaventosa mattanza di Nizza ne abbiamo sentite di tutti i colori dai soliti noti. Abbiamo ascoltato il solito tepore insopportabile e prevedibilissimo di Papa Francesco; le banalità del Presidente Mattarella, con quel rimando al “contrastare il fanatismo di qualsivoglia matrice”, formula inerte e impotente, buona solo per non chiamare le cose con il loro nome; per poi concludere con il Ministro Lamorgese, della quale ci eravamo quasi dimenticati, che dichiara che il ventenne tagliagole era “sconosciuto”. Peccato che fosse invece noto alle autorità tunisine per un’aggressione lama in pugno nemmeno quattro anni addietro. Insomma, una placida ammissione da parte di fonti ministeriali che in Italia sbarca chi vuole senza alcun tipo di controllo; ma questo era già chiaro ai più attenti. Per concludere questo siparietto, va annotato il delirio del sindaco di Nizza, Estrosi, diventato rapidamente popolare sui social e che è riuscito nell’impresa di spiccare fra tutti.

Peraltro, per tornare a parlare per un istante di linguaggio e dell’importanza che ricopre, ci si ricordi che il termine “islamofascismo”, usato dal primo inquilino della Mairie di Nizza e che tanto ha fatto – giustamente – arrabbiare, è purtroppo qualcosa di già visto nel dibattito politico-giornalistico italiano. Non solo: piace (piaceva?) parecchio anche in certi ambienti conservatori “bellicosi”, forse perché sembrava poter dare un colpo al cerchio e uno alla botte, e magari accattivarsi le simpatie di qualche elettore di sinistra insofferente verso l’immigrazione dai paesi islamici. Quando, chi si ritiene avverso al fronte unico ultraprogressista, smetterà finalmente di parlare e ragionare come i suoi nemici, sarà forse l’inizio di una nuova alba.

Ma non è questo il punto: abbiamo visto l’ennesima, stancante, sfilata di autorità e opinionisti vari. Vale però la pena rivolgere uno sguardo, e riservare una preghiera, a chi ha pagato suo malgrado il prezzo più alto per le scelleratezze di altri. Ne vale la pena non soltanto per questioni di pietà, ma anche per osservare quanto sardonico sia stato il destino. Perché anche in questo caso, come spesso accade, a versare il proprio sangue sono stati i più deboli. Quelli per i quali una certa sinistra, una certa Chiesa Cattolica, un certo mondo culturale, vorrebbero parlare. Vorrebbero anche difenderli, a parole. Poi la realtà è un’altra.

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Vincent Loqués, neutralizzato per primo, un mite sacrestano innamorato della chiesa dove lavorava da dieci anni e che lascia due figlie già adulte; una donna sulla sessantina, la cui identità non è ancora stata rivelata, quasi decapitata mentre era all’interno in preghiera; e Simone Barreto Silva, madre di tre bambini, immigrata dal Brasile venticinque anni addietro, di purissima estrazione proletaria, badante con la passione per la pasticceria. È lei, per il momento, la vittima della quale si conoscono più dettagli. Ferita, è riuscita a fuggire fino ad un bar vicino: l’ultimo pensiero lo ha riservato, ovviamente, ai figli, riferiscono le fonti.

Con quale coraggio Roberto Saviano osa parlare di “frutto dell’inferno del ghetto”? Si tratta di una menzogna spudorata e vile; Brahim Aoussaoui il ghetto non l’ha mai vissuto, e se basta qualche mese in Europa da immigrato per trasformare qualcuno in un pluriomicida, non resta che iniziare a tremare. No, Aoussaoui non ha agito perché era emarginato, escluso, depresso. I motivi li sa Saviano e li sappiamo anche noi.

Queste sono le vittime, solo le ultime in ordine di tempo. Di nuovo una chiesa francese si lorda di sangue umano, dopo l’omicidio di Padre Hamel. Tre cattolici, diventati vittime perché erano lì, in chiesa, nel momento in cui un macellaio di uomini ha deciso di colpire. Se non si tratta di morte “in odium fidei” poco ci manca. Tre cattolici; un uomo, verosimilmente colpito a sorpresa e forse alle spalle e poi sgozzato; una donna anziana semidecapitata in mezzo alle candele del Duomo e una colf immigrata.

Che i potenti del mondo si guardino nel cuore, se gliene rimane la capacità.

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Giurista schmittiano e studioso di geopolitica