Il Marocco deve essere monitorato molto attentamente. La Cina lo usa come testa di ponte per produrre batterie per le sue auto elettriche, mentre gli Stati Uniti cercano di proteggere gli interessi marocchini in termini di fornitura di litio. Il Paese, anche a prescindere dalla forte instabilità che può ripercuotersi a partire dal Mali fratturato tra nord e sud, si presenta comunque come il più stabile e incline al dialogo con l’Europa.

Hub per le batterie elettriche

Lo scenario è, come detto, complicato dagli attriti al confine con l’Algeria, storicamente associata al blocco sovietico. Con la produzione di batterie elettriche (la beata decarbonizzazione) il Marocco ha beneficiato in larga misura di sussidi con l’Inflation Reduction Act di Biden, in qualità di partner nel libero scambio con gli Stati Uniti. Questa situazione è terminata più di recente con gli ultimi sviluppi di USAID. Eppure si aprono scenari promettenti: il Paese possiede il 70% delle riserve mondiali di fosfati, impiegati per le batterie di fascia media e bassa, e può scalzare l’Indonesia in questo settore grazie alla sua vicinanza al mercato dell’UE.

Dopo il Covid, la cinese CNGR Advanced Material ha annunciato investimenti in Marocco per 2 miliardi di dollari per la costruzione di un impianto di catodi destinato a rifornire i mercati statunitensi ed europei delle batterie elettriche, salvo ulteriori sviluppi in uno scenario globale accelerato da conflitti in più continenti. Per il direttore di CNGR Europe, il Marocco è un “punto di forza” in quanto sono necessari meno permessi per la costruzione e i prodotti possono essere reindirizzati da lì verso Paesi terzi in caso di chiusura dei mercati europei e americani.

CNGR investe in sinergia con la dinastia alawita, da non confondere con l’omonima etnia siriana, e punta a produrre 1 milione di veicoli elettrici all’anno suddivisi tra Tesla, CATL (anch’essa cinese) e LG Chem. Le attività in relazione alla Cina sono borderline, come si può capire leggendo il rapporto di Chatham House su Marocco e Tunisia.

E nel settembre 2023, LG Chem (Corea del Sud) e Huayou Cobalt (Cina) hanno annunciato la costruzione di un impianto di catodo e raffinazione del litio in Marocco: il contesto competitivo è simile a quello del quadrante sudamericano, dove puntano all’esclusiva del litio argentino.

Altri settori economici rilevanti

I settori bancario, farmaceutico, dei fertilizzanti e dei prodotti agricoli sono ben consolidati e presentano un notevole potenziale di crescita nell’Africa subsahariana. Il settore bancario marocchino ha attraversato una serie di riforme negli anni ’90 ed è sempre più professionale e trasparente. Tre banche sono tra le prime dieci in Africa, con oltre 90 miliardi di dollari di attivi. E sono presenti in 22 Paesi africani.

L’espansione in Africa è stata spesso guidata da acquisizioni, anche da parte di istituzioni finanziarie europee che hanno venduto partecipazioni in banche africane durante la crisi finanziaria del 2008-2009. Il potenziale di crescita è notevole perché quattro africani su cinque non hanno un conto corrente.

Infine, c’è stato il riavvicinamento con la Francia grazie al viaggio del ministro degli Esteri e di Le Maire nell’aprile 2024, per non parlare dello sforzo di intelligence culturale all’ultimo Salone del Libro di Rabat, anticipato a Parigi dalla controparte francese appena un mese fa. La stampa marocchina ha riferito di progetti privati francesi nelle province meridionali da parte di Proparco e Bpifrance. La notizia è stata confermata dal ministro del Commercio Estero Franck Riester che “ha annunciato che Proparco, una filiale dell’Agenzia francese per lo sviluppo, potrebbe contribuire al finanziamento della linea ad alta tensione tra Dakhla, il più grande centro del Sahara occidentale, e Casablanca, nonché alla costruzione dell’oleodotto Marocco-Europa”, come si legge in un report di Caspar Yannis per MCC Budapest.

Questioni securitarie

In questo momento la UE sta riducendo la sua presenza diplomatica in luoghi considerati meno rilevanti, in base a qualche criterio panglossiano ottimistico da PIL in crescita (che non c’è). Discorso analogo per il nostro Paese come ampiamente descritto da Guglielmo Picchi.

Qui si nota una profonda ignoranza strategica, oltre allo spostamento del baricentro dovuto alla transizione Borrell-Kallas: da dove proviene la maggior parte dei flussi migratori in Europa? Dalla Bielorussia viaggiando in bicicletta? Non è così, perché anche se molti migranti arrivano dalla Siria, la maggior parte di essi giunge comunque dall’Africa. Come pensa l’UE di gestire un’ondata di migranti di età compresa tra i 15 e i 30 anni (l’“età della lotta” ben nota ai socioilogi) con un background eterogeneo, che a volte vengono indottrinati da ideologi estremisti islamici mentre attraversano i deserti?

Quante sette e ordini (tariqa) potrebbero diffondere un messaggio diverso da quello degli estremisti islamici? Se guardiamo la mappa di un Paese come il Mali, noto solo banalmente per aver cacciato la Francia, ci rendiamo conto che rispetto a 10 anni fa c’è ancora molto lavoro da fare.

In sostanza, per uno che attraversa il deserto e cade preda di messaggi di odio estremista, ce ne sono altri dieci sani. Ora come si fa a fermare il fenomeno che colpisce esclusivamente quel singolo? Ci sono da coinvolgere le residenze dei sufi (zawiyas), quelle che si riuniscono all’interno degli ordini sufi, ognuno di fondazione più o meno moderna ma comunque risalente alla fine dell’Antico Regime europeo. Si tratta di ordini come Nasiriya, Tijaniyya, Shadhiliyah and Darqawiyya con i quali qualcuno, forse non ancora diplomatico, dovrà dialogare.

In conclusione perché dovremmo preoccuparci del Maghreb e della sua sicurezza? Sia il documento strategico della NATO del 2020 che una nota sui flussi di merci del 2018 ci dicono con parole dirette, ma dure, perché è proprio così. Il Maghreb interessa da vicino l’UE, e l’Italia in particolare per la fornitura di gas attraverso l’Algeria. È un peccato che il flusso dall’Algeria alla Spagna attraverso il Marocco sia interrotto dal 2021, rendendo il bilancio dei flussi poco equilibrato.

Il Piano Mattei nella nuova veste va benissimo, ma se il Paese non collabora con la Spagna, diventerà dipendente dall’Algeria al 101%, ripetendo errori già commessi in passato. E l’Italia si mette con l’Algeria in un momento in cui la cessione del Sahara al Marocco è facilitata sia dagli Stati Uniti che dalla Francia, facendo arrabbiare chi ad Algeri, ai tempi della Guerra Fredda, si appoggiava a Mosca.

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

Foto: Gary Leavens cc 3.0 sa by

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Andrea Bianchi è Education Officer al think tank MCC Brussels. Ha tradotto una serie di opere politiche di Angelo M. Codevilla, curato testi strategici di Marco Giaconi, scritto una monografia storica su Delio Cantimori. Laureato all'università di Pisa in storia e civiltà. Diploma presso Scuola Normale Superiore, 2016.