La presenza di abbondanti risorse naturali è spesso considerata un fattore di sviluppo economico e prosperità. Tuttavia, in molti paesi del Sud del mondo, l’abbondanza di minerali strategici ha finito per alimentare instabilità, conflitti e sottosviluppo. Questo fenomeno, noto come “maledizione delle risorse” (resource curse), si manifesta quando la gestione di queste ricchezze porta più benefici a una ristretta élite o a gruppi armati piuttosto che alla popolazione.

Le risorse naturali rappresentano di per sé un veicolo di crescita economica; tuttavia, il fenomeno della maledizione delle risorse sottolinea il carattere estrattivista dell’economia capitalista, che tende a perpetrare situazioni di disuguaglianza e sottosviluppo. Gli studiosi evidenziano tre principali rischi per i Paesi in via di sviluppo: il rallentamento dello sviluppo economico, l’erosione delle istituzioni democratiche e l’esacerbazione dei conflitti armati, sia interni che esterni.

Un esempio emblematico di questo paradosso è rappresentato dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC), un Paese ricco di coltan, oro, cobalto, diamanti ed altri minerali, ma segnato da guerre, violenze e povertà diffusa.

La RDC possiede alcune delle più grandi riserve di minerali al mondo, tra cui quelli essenziali per l’industria tecnologica globale. Eppure, queste risorse sono spesso al centro di traffici illeciti e finanziamenti di gruppi armati, contribuendo alla cronica instabilità del Paese.

Negli ultimi anni, inchieste e rapporti hanno rivelato un possibile legame tra il traffico illecito di minerali provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e il finanziamento di gruppi armati in Medio Oriente. In particolare, alcuni network legati a Hezbollah avrebbero facilitato il contrabbando di risorse minerarie strategiche per finanziare operazioni militari.

Come è noto, Hezbollah è direttamente coinvolto nel conflitto che si sta consumando in questi mesi a Gaza. All’interno di questo scenario, è lecito chiedersi se il gruppo armato libanese non stia utilizzando le risorse minerarie del Congo, ottenute illegalmente, per finanziare le proprie operazioni militari. Dal momento che Hezbollah ha già finanziato le proprie attività attraverso lo sfruttamento di tali minerali strategici, potrebbe usare lo stesso metodo per sostenere la sua partecipazione al conflitto in corso.

Il conflitto congolese e il traffico illecito di minerali dell’M23

Attualmente la Repubblica Democratica del Congo è travolta da violenze ed instabilità. Nella regione orientale del Kivu si stanno scontrando decine di gruppi armati, più o meno attivi. Tra essi, però, crea particolare preoccupazione il gruppo M23, il quale lo scorso 26 gennaio ha guidato un’offensiva su Goma, capoluogo della regione, e ne ha preso il controllo.

L’M23, March 23 Movement, è un gruppo militare ribelle nato nel 2012 e costituito principalmente da tutsi etnici. I ribelli sostengono di favorire gli interessi delle comunità tutsi, ma sono spesso stati accusati di aver commesso gravi crimini contro i diritti umani, come omicidi e stupri di massa.

Inoltre, il gruppo armato è sostenuto dal vicino Ruanda, come ormai dimostrato da numerosi rapporti delle Nazioni Unite. Ciò conferisce una dimensione internazionale al conflitto. Il coinvolgimento diretto del Ruanda, che punta a destabilizzare il Congo, affonda le proprie radici nel genocidio del 1994, in cui persero la vita più di 800.000 tutsi per mano delle milizie hutu estremiste.

Dopo il massacro, con la complicità della Francia, circa un milione di hutu, tra cui anche ex miliziani responsabili delle violenze, fuggirono nella Repubblica Democratica del Congo (all’epoca Zaire). Qui, vari gruppi armati hutu cominciarono ad operare nei campi profughi, minacciando la sicurezza del nuovo governo ruandese.

Da quel momento il Ruanda ha ripetutamente interferito con gli affari interni congolesi per eliminare la minaccia Hutu e sostenere i Tutsi congolesi, favorendo guerriglie regionali e la nascita di gruppi armati come l’M23.

Un ulteriore elemento cruciale è la ricchezza del sottosuolo congolese, tra i più ricchi al mondo di minerali strategici tra cui oro, diamanti, coltan, rame e stagno. Anche se non rappresenta la causa principale del conflitto, la competizione per il controllo delle risorse e delle rotte commerciali è diventata un incentivo per le parti in guerra a continuare a combattere. La Repubblica Democratica del Congo accusa Kigali di star sostenendo direttamente l’M23, attraverso la fornitura di armi e l’addestramento delle truppe ribelli. Non solo, esso ritiene che il vicino Ruanda stia favorendo l’estrazione illecita ed il contrabbando dei minerali congolesi, da parte del gruppo armato, nei territori occupati ad est.

Già durante le due Guerre del Congo, il Ruanda ha approfittato dell’instabilità e della corruzione dello Stato congolese per instaurare un sistema indiretto di sfruttamento dei suoi minerali, attraverso vari metodi. Tra questi vi è il finanziamento a gruppi armati che garantiscano l’accesso alle risorse minerarie, come l’M23.

La razzia del coltan

Secondo un rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite lo scorso 27 dicembre 2024, i ribelli nell’est della Repubblica Democratica del Congo hanno esportato illecitamente almeno 150 tonnellate di coltan verso il Ruanda nel corso dell’anno precedente. Si tratterebbe della più grande contaminazione della catena di approvvigionamento dalla regione dei Grandi Laghi, sempre secondo gli esperti delle Nazioni Unite. Ciò sarebbe avvenuto dopo la conquista della città di Rubaya, dove si trova la più grande miniera di coltan della regione dei Grandi Laghi, per mano dell’M23.

Il coltan – o columbite-tantalite, minerali da cui si estraggono rispettivamente columbio e tantalio – è un minerale fondamentale per la produzione di dispositivi tecnologici di uso quotidiano come smartphone, computer e persino elettrodomestici.

Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, i ribelli dell’M23 hanno sequestrato l’area di Rubaya, costringendo i minatori congolesi a continuare a lavorare sotto il loro controllo. Il gruppo ha così instaurato un monopolio sul traffico di coltan verso il Ruanda. Una volta oltrepassato il confine, il coltan proveniente dal Congo viene mescolato con la produzione ruandese, rendendo difficile tracciarne l’origine.

Questo meccanismo viene perpetrato anche in altre città come Lumbishi e Numbi, nella provincia del Sud Kivu, ricche di altri minerali strategici come l’oro, i diamanti e lo stagno.

I minerali della RDC vengono esportati ufficialmente come provenienti da Uganda, Ruanda o Tanzania. Questi Paesi, che pur dispongono di miniere proprie, non vedono la presenza di giacimenti redditizi ed estesi al punto da giustificare le tonnellate di minerali esportate ogni anno. Di fatto, gran parte di questi traffici sono il frutto di una perfetta triangolazione che, oggi più che mai, alimenta conflitti internazionali apparentemente distanti.

Il traffico segue due principali modalità: nel primo caso, i minerali vengono trasportati oltre confine, soprattutto in Uganda e Ruanda, dove vengono raffinati e poi esportati come se fossero di origine locale. Nel secondo, voli clandestini trasportano direttamente l’oro negli Emirati Arabi, eludendo completamente i controlli.

Una volta raggiunti i Paesi di transito, i minerali entrano nel mercato globale attraverso hub strategici come Libano e Turchia, dove aziende specializzate fungono da intermediari per la vendita. Alcune di queste società sono sospettate di avere legami con reti finanziarie illecite e gruppi armati, tra cui Hezbollah, che utilizza il traffico di oro e diamanti per finanziare le proprie attività.

Nel 2023, gli Emirati Arabi Uniti hanno dichiarato importazioni di oro dal Ruanda per un valore di circa 885 milioni di dollari, Si tratterebbe di un aumento del 75% rispetto alla media degli ultimi cinque anni, secondo un’analisi di Reuters sui dati delle Nazioni Unite.

Ormai è opinione diffusa, tra gli analisti, che il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo non sia un conflitto etnico, ma un conflitto per le risorse. Questi gruppi armati, infatti, non hanno un piano o un obiettivo politico di lungo termine. Agiscono seguendo logiche irrazionali e predatorie, anche nei confronti delle stesse comunità a cui appartengono.  Spesso, i ribelli, per mantenere il dominio sulle risorse, creano dei ver e propri regimi paralleli, imponendo il pagamento di tasse illegali, violenze sistematiche e lavori forzati sulla popolazione.

L’assenza di un controllo governativo efficace e spesso corrotto facilita la penetrazione di queste bande armate all’interno del tessuto economico e sociale del Paese. Inoltre, la continua richiesta di minerali, soprattutto diamanti, da parte di mercati emergenti come la Cina e la Russia, alimenta il traffico illecito dall’Africa, con il coinvolgimento di numerose aziende e governi.

Il mercato illegale dei “blood minerals” e il possibile collegamento con il Medio Oriente

Il commercio illegale delle risorse minerarie, note come “blood minerals”, rappresenta una delle principali fonti di finanziamento di gruppi armati e organizzazioni criminali operanti in zone di conflitto, anche lontane dai luoghi di estrazione.

Sebbene questo fenomeno sia principalmente associato ai conflitti in Africa, numerose indagini dimostrano che i proventi derivanti da tali traffici raggiungano anche il Medio Oriente, contribuendo a finanziare guerre e attività terroristiche. In particolare, la capacità di queste risorse di sostenere gruppi come Hezbollah, coinvolta nella guerra israelo-palestinese, è stata oggetto di indagini condotte da organizzazioni investigative come The Sentry, Global Witness e lOffice of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.

Secondo un’inchiesta di The Sentry, le stesse banche che vengono utilizzate dai governi corrotti per sottrarre fondi pubblici possono diventare anche canali per finanziare attività terroristiche. Le indagini evidenziano come individui ed aziende legate ad Hezbollah, abbiano utilizzato una delle principali banche della Repubblica Democratica del Congo, la BGFIBank DRC, per spostare ingenti somme di denaro attraverso il sistema bancario internazionale. Non si tratterebbe di una banca qualsiasi, ma di quella guidata da Francis Selemani Mtwale, fratello dell’ex presidente Joseph Kabila, e già indagata per diversi scandali legati alla gestione illecita dei fondi pubblici.

Tra le società legate ad Hezbollah, che operano attraverso la BGFIBank, vi figurano filiali di Congo Futur, un conglomerato con sede a Kinshasa, già sanzionato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti. Congo Futur ha continuato a operare in Congo, nonostante le sanzioni statunitensi, grazie alla protezione politica e alla collaborazione bancaria fornita dal Paese. Congo Futur è coinvolta nel commercio di minerali, in particolare diamanti, estratti illegalmente dalle miniere congolesi sotto il controllo di milizie armate come l’M23. I proventi di queste attività vengono riciclati attraverso complesse transazioni bancarie, rendendo difficile tracciare la loro origine illecita. Una volta “ripuliti”, i fondi vengono trasferiti a società collegate al gruppo terroristico libanese Hezbollah, contribuendo così al suo finanziamento occulto.

Secondo i documenti analizzati da The Sentry, Congo Futur sarebbe di fatto controllata dalla famiglia Tajideen e utilizzata come copertura per finanziare le attività illecite di Hezbollah. Kassim Tajideen, uomo d’affari libanese, è stato sanzionato dagli Stati Uniti nel 2009 e nel 2010 per il suo ruolo di finanziatore del gruppo terroristico. Nonostante ciò, ha continuato a operare attraverso una vasta rete di società in Africa, Medio Oriente ed Europa, sfruttando il sistema bancario internazionale per eludere le sanzioni.

Questo è stato possibile grazie alla protezione politica offerta dal governo congolese e alla complicità di istituzioni finanziarie deboli e corrotte. Di fronte a queste evidenze, è inevitabile interrogarsi sulla reale volontà delle autorità congolesi di contrastare le attività illecite che avvengono sul proprio territorio.

Nel 2023, il Tesoro americano ha individuato numerose società di copertura in Sudafrica, Angola, Costa d’Avorio e Repubblica Democratica del Congo, coinvolte in un complesso schema di riciclaggio di denaro orchestrato dal collezionista e commerciante di diamanti libanese Nazem Said Ahmad. Ahmad è stato accusato di aver violato le sanzioni a lui imposte dagli Stati Uniti nel 2019, movimentando milioni di dollari in beni e servizi per finanziare Hezbollah.

Secondo gli Stati Uniti, dal 2019 è considerato “un terrorista” dato il suo supporto diretto al capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, tramite il traffico di diamanti, pietre preziose e opere d’arte. A quanto pare, grazie a queste attività, avrebbero guadagnato circa 440 milioni di dollari tra il 2020 e il 2022.

Storicamente sostenuto e finanziato dall’Iran, Hezbollah ottiene la maggior parte dei suoi introiti da attività illecite e i suoi network sono strettamente legati ai cartelli della droga sudamericani. Negli ultimi anni, però, Hezbollah ha ampliato e diversificato le proprie fonti di finanziamento, incluso il traffico di diamanti provenienti dall’Africa. Il gruppo sfrutta il settore minerario africano per ottenere diamanti a basso costo, estratti in condizioni di illegalità e sfruttamento. I diamanti africani vengono poi immessi nel mercato globale attraverso società e intermediari di copertura e parte di questi proventi viene destinata al finanziamento del gruppo stesso, attraverso meccanismi di riciclaggio sofisticati e istituzioni finanziarie compiacenti.

Con l’intensificarsi del conflitto a Gaza, i proventi del contrabbando di minerali potrebbero giocare un ruolo cruciale nelle capacità di prosecuzione del conflitto da parte di Hezbollah. Negli ultimi mesi, il gruppo libanese ha intensificato le operazioni al confine con Gaza, fornendo armi e supporto logistico ad Hamas e ad altre organizzazioni armate palestinesi. L’afflusso di fondi derivanti dal traffico di diamanti consentirebbe al gruppo di acquistare armamenti più avanzati, finanziare il reclutamento di nuovi combattenti e limitare la propria dipendenza dall’Iran. Tuttavia, ci si interroga se i recenti attacchi isrealiani in Libano ed il grave indebolimento di Hezbollah potrebbe temporaneamente colpire le sue reti in Africa.

Conclusions

Nonostante gli sforzi della comunità internazionale per arginare il traffico illecito di risorse naturali e il loro utilizzo per finanziare conflitti armati, i risultati sono stati limitati. Iniziative come il Processo di Kimberley, nato per impedire il commercio dei cosiddetti “blood diamonds“, o regolamenti europei sulla tracciabilità delle materie prime critiche, hanno cercato di garantire maggiore trasparenza. Tuttavia, la complessità dei flussi finanziari e delle reti di contrabbando, unita alla complicità di governi e istituzioni finanziarie ha ostacolato un controllo efficace. Il caso della Repubblica Democratica del Congo evidenzia come il saccheggio delle risorse, facilitato da governi corrotti, non solo mantenga instabili le regioni minerarie, ma finanzi guerre e violenza ben oltre i confini, come avviene per Hezbollah, anche a Gaza.

Foto: The International Institute for Environment and Development, CC 2.5 sa by

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

Antonella Bovino

Antonella Bovino è una studentessa Magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna. Si occupa di analisi geopolitiche con focus sull'Africa Subsahariana.