Da italiani ci dovremmo ormai essere abituati, purtroppo, alla cattiva informazione per quanto riguarda i partiti e le fazioni politiche non strettamente allineati e coperti alla vulgata di Bruxelles e di una certa global left. Se poi questi partiti e fazioni politiche hanno addirittura l’ardire di governare (o di rischiare di farlo) spesso la disinformazione o il silenzio tombale intessuti attorno a loro si fanno ancora più implacabili.
Polonia e Ungheria, i “cattivi” d’Europa
L’atteggiamento tenuto dai media italiani in rapporto alla Polonia è, da questo punto di vista, esemplificativo. Durante i lunghi anni di governo del partito conservatore PiS (Prawo i Sprawiedliwość, ossia “Diritto e Giustizia”) l’informazione italiana, ma non soltanto, ha dedicato ampio spazio alla Polonia, prevalentemente per denunciare i presunti abusi del suo governo nei confronti delle più svariate minoranze o per sottolinearne l’atteggiamento intransigente verso i piani europei di redistribuzione degli immigrati provenienti dalla rotta balcanica e da quella mediterranea. Molte parole furono spese, inoltre, per quanto riguarda le presunte “violazioni dello stato di diritto” commesse dai governi conservatori che, secondo le diverse commissioni europee succedutesi nel tempo, avrebbero trasformato la Polonia in una “autocrazia”.
Democrazia o autocrazia? Dipende…
Tuttavia, caso strano per un’autocrazia, in Polonia hanno continuato a tenersi regolarmente libere elezioni multipartitiche e campagne elettorali democratiche e pluraliste, esattamente come è sempre accaduto ed accade in Ungheria, altro paese la cui stabilità politica (Viktor Orbán è stabilmente al governo con un’ampia maggioranza dal 2010) scatena probabilmente le invidie di paesi retti ormai da decenni da improbabili “grandi coalizioni” ad excludendum, governi tecnici e/o di minoranza. Come in ogni libera democrazia contemporanea, anche in Polonia il governo in carica può essere sconfitto alle elezioni, cosa che è avvenuta nell’ottobre del 2023 quando Mateusz Morawiecki, sconfitto di misura alle elezioni da una coalizione liberal-progressista guidata da Donald Tusk, ha lasciato a quest’ultimo la poltrona di presidente del Consiglio dei Ministri. Basterebbe già questo fatto per comprendere che la Polonia a trazione conservatrice che abbiamo conosciuto tra il 2015 e il 2023 non è mai stata né una democratura né tantomeno un’autocrazia. Ma il pubblico, si sa, ha la memoria corta, soprattutto quando è male informato.
Il silenzio sulla Polonia
Da quando Tusk è salito al potere, invece, di Polonia non si parla quasi più. Fatte salve le dichiarazioni ed i provvedimenti dello stesso Tusk riguardanti il conflitto ancora perdurante nella confinante Ucraina, di Varsavia si parla pochissimo; così, i reportage sulle presunte discriminazioni conservatrici contro donne, omosessuali e immigrati hanno lasciato posto solo ad un ingombrante silenzio. Nonostante ciò, la vita politica polacca non si è fatta certo meno interessante, al contrario, mai come oggi essa andrebbe approfondita e, per quanto possibile, raccontata anche a chi polacco non è.
Guai ai vinti
Se si dovesse sintetizzare, in due parole, l’atteggiamento dell’attuale governo polacco nei confronti dei conservatori vicini ai precedenti governi conservatori, basterebbe il latino vae victis: guai ai vinti. La coalizione di governo di Tusk, denominata Coalizione Civica (Koalicja Obywatelska) e composta da una coalizione di quattro partiti di orientamento rispettivamente centrista, liberale, socialdemocratico e ambientalista, ha infatti cominciato un’opera di furiosa destrutturazione di quella che era l’agibilità democratica e la reputazione dei conservatori polacchi. Appena insediatosi, il nuovo governo, forte anche di un appoggio incondizionato dall’allora in carica amministrazione americana a guida Biden-Harris, ha infatti proceduto ad un controverso repulisti dell’intera dirigenza e di gran parte del personale della televisione pubblica polacca, accusato di essere troppo vicino al precedente governo.
Una democrazia militante
Questa opera di “de-destrizzazione” che, come vedremo, si è poi spostata a colpire anche i singoli esponenti conservatori, fa parte di una più generale restaurazione postdemocratica che Tusk ha definito, in un capolavoro di bispensiero, “democrazia militante”. Ma che cosa si intende per democrazia militante? Per scoprirlo è sufficiente leggere le dichiarazioni di Tusk, il quale senza troppi patemi d’animo afferma che è lecito, se la democrazia è minacciata, travalicare i confini e le regole di quella stessa democrazia. Nel nuovo corso polacco sembra non esserci più posto per i farraginosi meccanismi dello stato di diritto (che però, secondo l’Unione Europea, erano i conservatori a minacciare), in quanto essi sarebbero ormai troppo compromessi con il precedente apparato di governo del PiS. Si palesa dunque la necessità di una svolta decisionista, in grado cioè di agire per via emergenziale per salvare la democrazia, che, da mera applicazione di norme, deve farsi, appunto, militante.
Di questo nuovo approccio si è avuta subito prova quando il ministro della Giustizia Adam Bodnar ha dichiarato su X che non avrebbe riconosciuto la decisione della Corte Suprema Polacca di invalidare la rimozione dal suo ufficio del procuratore nazionale Dariusz Barski, giudicato troppo vicino al governo precedente. Il provvedimento di rimozione non è mai stato attuato in quanto per entrare in vigore avrebbe necessitato della controfirma del presidente della Repubblica Andrzej Duda, membro del PiS; controfirma che non è mai arrivata. Di fronte a questo stallo Bodnar ha ritenuto di non ritenere vincolante la decisione della Corte Suprema di Varsavia, privando Barski di ogni effettivo potere, e conferendone le potestà al procuratore nazionale “facente funzione” Jacek Bilewicz.
L’assalto allo stato di diritto
A chiunque abbia i più basilari rudimenti di cultura politica è evidente che anche solo questa vicenda rappresenti una palese violazione dello stato di diritto che, inteso come governo delle leggi e non degli uomini, è precisamente l’opposto di quella che Tusk definisce democrazia militante. A titolo di paragone, basti pensare a cosa sarebbe accaduto se simili fatti, anziché nella Varsavia di Tusk, si fossero verificati in Ungheria o in Italia, o in paesi extra-UE come la Serbia.
L’era delle “decisioni rischiose”
L’allergia dei governi alle decisioni delle corti supreme è, da sempre, uno dei principali sintomi di malessere per una democrazia basata sullo stato di diritto, eppure le varie sirene che durante i precedenti governi polacchi gridavano all’autocrazia sembrano non vedere alcunché di ciò che sta succedendo a Varsavia. Che non si tratti di casi isolati ma di una prassi ben precisa e studiata lo dimostrano, ancora una volta, le parole dello scorso settembre del presidente del Consiglio Tusk, per il quale “[…] questo è ciò per cui siamo pagati: correre rischi e prendere decisioni che a volte tutti voi metterete in discussione. Io, in ogni caso, continuerò a prendere tali decisioni con la piena consapevolezza del rischio che non tutte soddisferanno i criteri del pieno stato di diritto”.
L’allarme degli avvocati
Una situazione d’emergenza che ha fatto scattare l’allarme anche nell’associazione polacca degli avvocati che in merito ha stilato, in lingua inglese, un lungo dossier dall’eloquente titolo “Lo stato di diritto in rovina: La Polonia sotto la coalizione del 13 Dicembre”, problematica ripresa anche dagli statunitensi dell’Hudson Institute. Nonostante tutto ciò, in maniera sempre più apertamente partigiana, non solo l’Unione Europea ha scelto di non fare nulla, ma ha chiuso ogni pratica contro le possibili violazioni dello stato di diritto compiute proprio dalla Polonia, e questo nonostante un’aperta dichiarazione di guerra contro quello stesso stato di diritto proprio da parte del presidente in carica. Una conferma del vecchio proverbio italiano secondo il quale le leggi per i nemici si applicano ma per gli amici si interpretano.
L’attacco ai politici
La repressione, sempre nella cornice della militant democracy a guida Tusk, non ha risparmiato nemmeno i singoli esponenti della politica conservatrice. I casi sono innumerevoli, a cominciare da quelli che hanno riguardato l’ex ministro dell’interno Mariusz Kamiński e il suo ex vice Maciej Wąsik, entrambi appartenenti al PiS e accusati di abuso d’ufficio, e fatti arrestare dalla magistratura polacca con una clamorosa irruzione nel palazzo presidenziale all’inizio del gennaio 2024, nonostante la grazia presidenziale ricevuta da Duda.
Il caso Romanowski
Caso ancora più grave è quello di Marcin Romanowski, ex viceministro della Giustizia negli ultimi due governi di Morawiecki, accusato, in maniera evidentemente pretestuosa e lacunosa, di essersi appropriato di fondi pubblici per drenarli verso il proprio partito.
Romanowski, privato indebitamente della propria immunità parlamentare e ricercato da un mandato di cattura europeo, ha trovato rifugio e asilo politico in Ungheria, dove le autorità magiare hanno ritenuto di non dover procedere all’attuazione del mandato d’arresto in quanto, secondo il capo dello staff del Primo Ministro ungherese, Gergely Gulyás, la magistratura della Polonia starebbe perseguitando gli avversari politici del suo governo; dichiarazioni che hanno scatenato l’ira di Varsavia ed il ritiro per consultazioni dell’ambasciatore polacco a Budapest.
In prigione per un like
Simili atteggiamenti intimidatori sono stati tenuti anche per capi d’imputazioni ben più leggeri; ha avuto modo di accorgersene l’europarlamentare e vicepresidente del PiS Patryk Jaki, che rischia tre anni di carcere per quelli che oggi si chiamano “crimini d’odio”. La sua colpa, imperdonabile per la nuova democrazia militante polacca, è un like ad un post su X che mostrava, in forma video, le violenze commesse da immigrati in alcuni paesi europei. Un’intimidazione giudiziaria abnorme, denunciata come “folle” dal capo dipartimento per l’efficienza governativa degli USA e patron di X Elon Musk e che rende perfettamente giustizia alle parole pronunciate a Monaco dal vicepresidente statunitense James David Vance, il quale ha parlato molto chiaramente di libertà di parola in ritirata sulla sponda orientale dell’Atlantico.
Colpo di Stato?
La situazione, però, desta preoccupazioni anche nella stessa Polonia, e non soltanto gli avvocati ma la stessa magistratura, o almeno una parte di essa, comincia a volerci vedere chiaro sul comportamento a dir poco sopra le righe (e sopra le norme) dell’attuale governo a trazione “liberale”. Dietro segnalazione del presidente della Corte Costituzionale polacca Bogdan Święczkowski, i magistrati di Varsavia hanno infatti aperto un’indagine contro il governo paventando nientemeno che un colpo di Stato. Sotto indagine vi sarebbero tutti i più importanti membri del governo, a cominciare da Donald Tusk, dai presidenti di Camera (Sejm) e Senato e da tutti i ministri in carica. Un’indagine i cui capi d’imputazione sono gravissimi se, come si legge nelle carte,
queste persone operano in un gruppo criminale organizzato e in brevi periodi di tempo […] con l’obiettivo di modificare l’ordinamento costituzionale della Repubblica di Polonia e di agire per realizzare o cessare l’attività del Tribunale costituzionale e di altri organi costituzionali, tra cui il Consiglio nazionale della magistratura e la Corte suprema.
Una vicenda grave che, come già detto, se verificatasi in altro paese, magari politicamente meno allineato a Bruxelles, avrebbe trovato ben altre reazioni e conseguenze, soprattutto se concernenti il presidente di turno dell’Unione in carica, che in questo caso è proprio Donald Tusk.
Un’Italia chiamata a vigilare
L’ormai sempre più manifesta ipocrisia delle istituzioni europee (e di quelle nazionali ad esse allineate) suffraga, ancora una volta, le parole del vicepresidente Vance: esiste un problema di libertà di espressione in Europa, e probabilmente esiste anche, aggiungiamo noi, un problema di stato di diritto, che vede quest’ultimo afflosciarsi come un vuoto incartamento privo di anima laddove lo stato viene colonizzato dal gramscismo decisionista tipico di certe culture politiche, che però non sono quelle conservatrici. Ben evidente è altresì che tali problemi sussistono non dove essi vengono continuamente denunciati e additati (Ungheria, Polonia conservatrice ecc.) ma proprio laddove la tolleranza e il supposto liberalismo vengono sbandierati come valori fondamentali e non negoziabili; ironico, sotto questo aspetto, che uno dei protagonisti di questa vicenda, l’attuale ministro polacco della Giustizia Adam Bodnar sia stato insignito del premio LGBT Tolerantia Awards, a ulteriore conferma del bispensiero ormai imperante in quasi tutto il vecchio continente. L’Italia, paese tradizionalmente amico della Polonia, deve guardare a Varsavia con preoccupazione, e ciò non soltanto per una genuina e giusta apprensione per la libertà del popolo polacco e dei suoi esponenti politici (conservatori e non), ma anche per il possibile esempio negativo che l’attuale governo di quel paese potrebbe fornire ad un deep state, il nostro, nel quale una certa parte di magistratura ha sempre avuto idee molto affini a quelle di chi oggi parla di democrazia militante.
Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.
Research fellow at the Machiavelli Center. A philosophy scholar, he has been working for years on the topic of the revaluation of nihilism and the great German Romantic philosophy.
Apprezzo l’articolo, trovandolo veritiero, obiettivo e finanche coraggioso nella sua partigianeria, che condivido e come potete vedere supporto; questo a differenza di altri articoli che mi è capitato di leggere presso di Voi, debitori di una ideologia europeista che personalmente trovo falsa, ipocrita e lesiva dei Diritti Umani. Complimenti all’Autore ed al Centro Machiavelli per la pluralità delle vedute offerte.