Infine, l’attesa per i risultati delle elezioni federali più tormentate della Germania postbellica è terminata. Le analisi del voto, come sempre, vedono già interpretazioni contrapposte a seconda delle simpatie o antipatie di chi le produce, tuttavia non è possibile, almeno questa volta, negare che in questa tornata elettorale vi siano, senza alcun dubbio, dei vincitori e dei vinti. Occorre, innanzitutto, cominciare dai numeri: la coalizione dell’Union (CDU+CSU bavarese) si è imposta come prima forza con il 28,5% dei voti, seguita da Alternative für Deutschland (AfD) al 20,8%. Magra terza posizione per la SPD, che con il 16,4% ottiene il risultato peggiore dal 1887 (e nettamente il peggiore della Germania postbellica); male anche i Verdi al 11,6% che hanno, loro malgrado, perso voti verso l’estrema sinistra della Linke (8,7%) dopo una logorante esperienza di governo in coabitazione con SPD e Liberali della FDP, questi ultimi a loro volta bocciati con un pessimo 4,3% che li condanna ad uscire dal Bundestag, dove non entrerà nemmeno il BSW di Sahra Wagenknecht, fuori di un soffio con il 4,9% e che ha patito la rimonta della Linke.

Percentuali ottenute dai partiti nelle elezioni tedesche del 2025, con guadagni e perdite.

I vincitori

Da questi numeri si può già capire chi, in linea di massima, può oggi cantare vittoria e chi, invece, dovrà riconoscere la sconfitta. Partiamo dai vincitori: coloro che oggi possono dirsi realmente vincitori sono le ali “estreme” dell’arco parlamentare, AfD e Die Linke. Il partito della destra populista di Alice Weidel, infatti, raddoppia i suoi voti (era al 10,4% nel 2021), dimostrando di saper vincere e convincere sia per le proposte dei leader nazionali sia grazie ai candidati espressi sul territorio; la linea fortemente euroscettica, la richiesta della chiusura delle frontiere e di uno sganciamento dalla palude dell’ormai triennale conflitto russo-ucraino convincono ormai più di un cittadino tedesco su cinque. L’estrema sinistra Die Linke, invece, data per morta fino a pochi mesi fa, ha trovato un’energica guida nella trentaseienne Heidi Reichinnek la quale, puntando tutto su proposte iper-assistenzialiste ed antiliberali ha trovato una forte risposta positiva tra studenti e giovani, mettendo fuorigioco la più esperta Wagenknecht, che con il suo BSW aveva puntato tutto su di un ritorno alle ricette più tradizionalmente socialdemocratiche, trascurate da una SPD ormai indistinguibile dal centro liberale. L’Union del cancelliere in pectore Friedrich Merz, invece, prima lista nazionale, pur essendo indiscutibilmente vincitrice della tenzone, può cantare vittoria soltanto a metà: l’atteso boom preannunciato dai sondaggi, che davano ai centristi oltre il 30% dei voti, non si è realizzato e la soglia psicologica corrispondente non è stata superata. Una linea, quella di Merz, che guardando fortemente all’Unione Europea e al rafforzamento della posizione di Kiev nel confronto militare con la Russia, ha sì convinto molti ex elettori socialdemocratici, Verdi e Liberali a virare verso il centro, ma ha comportato un abbondante travaso di voti di destra verso AfD.

I vinti

Bocciatura su tutta la linea, invece, per i socialdemocratici. Lo ha detto, senza mezzi termini, il ministro della Difesa socialdemocratico Boris Pistorius, parlando di “risultato devastante e catastrofico”, che vede la SPD perdere quasi dieci punti, relegata per la prima volta a terza forza nazionale.

Anche i Verdi non possono certo indorare la pillola, ma il loro calo di soli 3,1 punti si può quasi definire una mezza vittoria, considerando le catastrofiche ricadute economiche e sociali delle politiche imposte da questa forza politica all’esecutivo uscente. L’appello allo “sbarramento antifascista”, con accalorate e reiterate chiamate alle urne per fermare “la marea blu” ha evidentemente convinto più elettori del previsto a recarsi, ancorché delusi, alle urne.

Per Sahra Wagenknecht, invece, potrebbe essere già arrivato il capolinea: il suo BSW, nato per appropriarsi dei voti dei socialdemocratici delusi, vivrà tempi molto duri durante i prossimi quattro anni di extraparlamentarismo: un digiuno, di notorietà e di fondi, che potrebbe anche sancire la morte di una lista, quella della “rossobruna” Wagenknecht, che non è riuscita ad andare né “oltre la destra e la sinistra” né oltre la mera persona fisica della sua leader, fallendo sia nel suo tentativo di portare via voti ad una SPD sempre più in crisi, sia in quello di sottrarre ad AfD il voto della working class e dei pensionati della ex DDR.

Le elezioni segnano una sconfitta cocente anche per la FDP, che dopo uno dei migliori risultati della sua storia (nel 2021 ottenne 11,4%) si ritrova ampiamente sotto la soglia di sbarramento, fuori dal Bundestag dopo undici anni di permanenza. I liberali di Christian Lindner sono riusciti a scontentare tutto il loro elettorato (tendenzialmente di centrodestra europeista): supportata da una platea abbiente e urbana, attenta all’economia e alla tassazione, la FDP ha visto l’economia tedesca entrare in recessione nonostante proprio i liberali controllassero il dicastero più pesante, quello delle Finanze, e al contempo una generale discesa della qualità della vita, specialmente nelle città. Tra gli elettori più europeisti della FDP molti hanno trovato più convincente, in questo ambito, l’energico Friedrich Merz, mentre i più attenti a sicurezza e qualità della vita hanno virato verso AfD, col risultato di una bocciatura su tutta la linea, prova provata dei rischi che comportano le coalizioni di governo troppo eterogenee.

Flussi e riflussi

Per capire meglio queste tendenze occorre però analizzare i flussi e le migrazioni elettorali da una lista all’altra, un tema attorno al quale gli analisti della politica interna tedesca hanno cominciato a lavorare fin dai primi exit poll. Cominciando dall’Union, i cui flussi, in entrata e in uscita sono nettamente i più interessanti. Friedrich Merz, rappresentante dell’ala destra del partito e acerrimo nemico della ex cancelliera Angela Merkel (quest’ultima protagonista di un irrituale attacco nei suoi confronti a pochi giorni dal voto), ambiva ad un ritorno della CDU alle sue origini più spiccatamente conservatrici (e atlantiche), il cui scopo, tra gli altri, consisteva nel fare da diga all’avanzata dei populisti di AfD. Se si considera questo elemento è evidente che il futuro cancelliere non possa dormire sonni tranquilli. L’analisi dei flussi elettorali mostra, infatti, che la sua coalizione è stata massicciamente premiata con oltre due milioni e mezzo di voti ricevuti dagli ex elettori socialdemocratici, verdi e liberali perdendone però oltre un milione verso AfD. Merz ha quindi certamente vinto le elezioni ma ha clamorosamente mancato l’obbiettivo di fare da argine ad AfD, che continua da anni a rosicchiare percentuali alla CDU, con elettori che dimostrano di preferire l’originale alla brutta copia.

AfD, seconda forza del Bundestag ottiene una doppia vittoria: da un lato non perde nulla verso Union e BSW, ovvero quei partiti che, in modo diverso, avevano provato a copiarne il programma, dall’altro beneficia direttamente dell’appello al voto delle sinistre. L’astensionismo era, infatti, l’incubo delle forze del centro e della sinistra, convinte che invece un’alta affluenza nel nome del Brandmauer antifascista avrebbe premiato le forze di dell’establishment; una scommessa rivelatasi errata, con AfD che si dimostra di gran lunga la forza più premiata dagli ex astensionisti, tra i quali pesca quasi due milioni di voti e ricevendone, come già detto un altro milione dai delusi dell’Union. L’AfD fa il pieno anche di voti liberali (+890.000) e, addirittura, di voti delle liste di sinistra (SPD, Verdi e Linke), con 930.000 voti in entrata da queste formazioni. Le proposte del duo Weidel-Chrupalla sembrano quindi convincere non più solo i delusi dell’Union ma anche moltissimi tedeschi di diversa provenienza ideologica.

Un esodo, quello da sinistra verso destra, ben visibile anche nell’analisi dei flussi che coinvolgono la SPD, che vede come primi destinatari dei suoi voti in uscita non altri partiti di sinistra bensì proprio l’Union più a destra di sempre (-1.760.000) e AfD (-720.000). I Verdi, al contrario, si dimostrano un partito con un elettorato più integralista, che vede il suo maggiore spostamento verso Die Linke (-700.000) dimostrando chiaramente che la sconfitta degli ambientalisti non è stata dovuta ad un’agenda eccessivamente “estremista” quanto piuttosto ad un rilassamento su posizioni ritenute, dall’elettorato verde, troppo moderate. Die Linke si conferma, non a sorpresa ma certamente in percentuali superiori alle aspettative, il rifugio della sinistra più intransigente su immigrazione, antifascismo e agenda verde, ricevendo principalmente ex elettori verdi (+700.000) e socialdemocratici (+560.000), ma perdendo comunque 350.000 suffragi verso la BSW e 100.000 verso AfD.

Un elettorato sempre più fluido

L’analisi di questi flussi dimostra quindi come ormai anche in Germania gli elettorati siano diventati estremamente mobili, con una polarizzazione che si fa sempre meno novecentesca (destra vs sinistra) e sempre più postmoderna (comunitari vs liberal, città vs campagna) similmente ad altre realtà occidentali come ad esempio gli Stati Uniti. Vale la pena, in questa chiave, analizzare i risultati del voto tedesco anche dal punto di vista della distribuzione geografica dei consensi.

Un Muro di Berlino sempre più basso

Ad un’analisi superficiale, la Germania appare ancora divisa dalla cortina di ferro. Molti analisti italiani, decisamente troppo frettolosi, parlano di due paesi diversi: un Ovest che vota Union e SPD (la cosiddetta Bonner Deutschland, la vecchia Germania Ovest con capitale Bonn) e una ex DDR che vota in massima parte AfD e, in misura minore, Linke. La questione, in realtà, poteva essere riassunta così soltanto fino a ieri, poiché la mappa elettorale di oggi ci mostra il primo sgretolamento anche di questa barriera. AfD, partito che ha da sempre la sua roccaforte nell’est del paese, un tempo parte del Patto di Varsavia, ormai si è rafforzata anche ad Ovest, con risultati localmente anche molto importanti. Colpiscono, tra questi, le affermazioni di AfD come primo partito in importanti centri industriali dell’ovest come Gelsenkirchen (Nordreno-Westfalia), Pforzheim (Baden-Württemberg), Kaiserslautern (Renania-Palatinato) e Völklingen (Saarland), luoghi accomunati da una gloriosa tradizione industriale ed operaia che però soffre la recessione e le sanzioni economiche contro la Russia, oltre che l’immigrazione di massa. L’aumento di consensi di AfD appare uniforme, e con le stesse percentuali sia ad Ovest (dove al momento rimane ancora, a stento, dietro a Union e SPD) sia ad est, segno che il partito di Alice Weidel ha ancora ampi margini di miglioramento, pur avendo già registrato ottime percentuali in Renania (dove AfD ha vinto in quasi il 50% dei comuni) che in Baviera e Baden-Württemberg. Il consolidamento di AfD ha riguardato anche gli altri grandi centri industriali e portuali della Germania Occidentale con risultati ragguardevoli come quelli dei collegi di Duisburg 2 (24,6%), Essen 2 (22%), Wolfsburg (22%), Ingolstadt (21,4%), Hagen (20,9%), Brema 2 (19,2%) e Wuppertal 1 (17,9%), un segno inequivocabile che anche in Germania si sta progressivamente formando una “rust belt” operaia che, come negli Stati Uniti, guarda verso destra.

Distribuzione del voto (per collegio) e dei seggi (per Stato). Appare evidente la divisione fra Germania est e Ovest. Carta realizzata da Erinthecute CC 4.0 sa by, da Wikipedia.

L’Union, a sua volta, ha recuperato terreno nei suoi bastioni tradizionali nei Länder ricchi dell’ovest, ma non ha tolto nulla ad AfD nell’est, andando, anzi, a perdere ancora più consensi a suo favore, mentre è evidente l’avanzamento della Linke nelle aree urbane. La stessa capitale, Berlino, non appare più divisa, come qualche anno fa, dalla direttrice est-ovest del vecchio muro, quanto piuttosto evidenzia una struttura a cerchi concentrici, con i più interni saldamente nelle mani dei Verdi, quelli mediani principalmente controllati dalla Linke, e le periferie che invece guardano ad AfD. Se nel 2021 AfD era il secondo partito nella Germania dell’Est ed il quinto in quella dell’Ovest, oggi è il primo partito dell’Est ed il secondo nell’Ovest. Si tratta di un cambio di paradigma, inedito nella Germania postbellica, che armonizza sempre più il paese teutonico agli altri paesi occidentali come gli Stati Uniti e la Francia, e che rappresenta per i populisti di destra un’ottima opportunità, trasformandoli da forza “locale” dell’Est a vero e proprio partito nazionale.

Uomini e donne

Le semplificazioni perdono terreno anche per quanto riguarda la distribuzione dei voti nelle diverse fasce di età, condizione economica, educazione e sessi. Partendo, però, dalle conferme si può notare una tendenza già evidenziatasi nelle scorse tornate elettorali, non soltanto tedesche, ovvero il differente orientamento politico tra uomini e donne. I primi si dimostrano tendenzialmente più vicini alla destra conservatrice, con un voto maschile che premia innanzitutto l’Union (30%) e AfD (24%, ben quattro punti sopra la media) con, ampiamente staccate, SPD (15%) Verdi (11%) e Linke (7%). Tra le donne l’Union si ferma al 27% mentre al secondo posto stanno, a pari merito al 18%, AfD e SPD, con la prima che però è sotto la media mentre la seconda è quasi due punti sopra. Verdi e Linke vanno molto bene nel voto femminile con un rispettivo 13% e 11%, bene anche la Wagenknecht al 6%. La tendenza dimostra quindi quanto già osservato negli Stati Uniti e nel resto dell’Occidente, pur con un ottimo risultato di AfD anche tra le donne, probabilmente stanche di vivere in città non sicure.

Giovani radicali e anziani moderati

Dal punto di vista demografico invece vi sono diverse sorprese: in Germania, infatti, le generazioni più anziane dimostrano un forte attaccamento perso i partiti del cosiddetto “establishment”. Il 64% dei pensionati continua a scegliere un partito tra Union e SPD, mentre solo il 13% sceglie AfD, il 9% i Verdi e il 4% la Linke. Più ideologicamente connotato è invece il voto degli under 24: tra i quali il 25% vota Linke e il 20% vota AfD, con quest’ultima che fa ancora meglio nelle fasce 25-34 (22%), 35-44 (25%) e 45-59 (21%), una suddivisione che dimostra come il partito di Alice Weidel sia preferito tra i lavoratori (38% tra gli operai, 20% tra gli autonomi) rispetto alle fasce più giovani (studenti) e anziane (pensionati), con i primi che guardano a estrema sinistra e ambientalisti ed i secondi che preferiscono i partiti più squisitamente novecenteschi. AfD si conferma inoltre, nonostante ricette economiche squisitamente liberali, come interlocutore principale di chi si trova economicamente in difficoltà, vincendo a mani basse sia tra i disoccupati che tra coloro che definiscono “cattiva” la propria situazione finanziaria (tra questi AfD sfiora il 40%). Nessuna sorpresa anche per quanto riguarda le scelte elettorali in base all’educazione: le fasce a bassa scolarizzazione premiano ampiamente l’Union (32%) e AfD (29%) mentre i laureati preferiscono Union (27%), Verdi (18%) e SPD (16%), con AfD che si ferma al quarto posto con il 13%, segno che, nonostante un avanzamento anche tra i laureati, le università si confermano come centri nevralgici della formazione della propaganda antipopulista.

Quale coalizione per la Germania?

Sarà proprio la propaganda antipopulista, del resto, a contraddistinguere le prossime fasi post-elettorali, ovvero la lunga trattativa per formare un governo stabile per il prossimo quadriennio. Diversamente dal 2021, le possibili coalizioni nel 2025 sono sensibilmente meno, sia perché Union e SPD hanno ottenuto sufficienti deputati per governare da soli (senza terzi incomodi Verdi o di estrema sinistra) sia perché i liberali non saranno più della partita. Si va, quindi, verso un cancellierato Merz che vedrà ancora una volta la SPD far parte dell’esecutivo, nonostante la più cocente bocciatura della sua lunghissima storia. Benché una maggioranza Union+AfD sia tecnicamente possibile, la chiusura di Merz e di Markus Söder (CSU) a questa ipotesi è totale.

La distribuzione dei seggi nel Bundestag con guadagni e perdite per ciascun partito rappresentato.
Da Wikipedia

La maggioranza non sarà affatto solida, superando la soglia della maggioranza assoluta di soli 12 eletti: Merz dovrà quindi camminare sulle uova, tentando di non scontentare nessuno, né alla sua destra né alla sua sinistra, una sinistra che però avrà nelle sue mani le chiavi dell’esecutivo, con un peso enorme sul nuovo governo, che andrà a limitare fortemente i propositi di Merz in merito alla chiusura delle frontiere (peraltro già rinnegati), aprendo praterie per un ulteriore esodo di voti dal centro verso la destra. Anche le pressioni dall’estero si faranno sentire: Merz, da sempre legato agli Stati Uniti d’America e membro del think tank Atlantik-Brücke, ha voltato le spalle a Donald Trump e all’amministrazione americana, definendo la vicinanza di Elon Musk, del vicepresidente Vance e del presidente Trump ad AfD come “intromissioni non meno gravi di quelle russe”, parole molto pesanti che collocano fin da ora la nuova Germania nero-rossa in un critico isolamento internazionale che rischia di trascinare con sé tutta l’Unione Europea, essendone la Germania il partner più pesante. L’idea è che la partita per la Germania, che sarà il vero campo di battaglia per la sopravvivenza dell’UE, sia appena cominciata; una partita nelle quali i rapporti tra AfD e la Casa Bianca decideranno molto, se non tutto.

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

Marco Malaguti
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Research fellow at the Machiavelli Center. A philosophy scholar, he has been working for years on the topic of the revaluation of nihilism and the great German Romantic philosophy.