È l’anno 2006 quando Hamas raggiunge il potere politico vincendo le elezioni svolte nella Striscia di Gaza, in Cisgiordania e Gerusalemme est.
Dopo la morte di Yasser Arafat e il fallimento del piano di disimpegno israeliano proposto dal primo ministro israeliano Ariel Sharon nel 2005, la rabbia della popolazione palestinese si manifestò attraverso il voto. I politici della precedente amministrazione vennero accusati di essere sempre più distanti dai problemi dei palestinesi e sempre più inseriti negli ambienti dell’élite araba. La leadership di Hamas assunse nei suoi poteri ogni aspetto dell’amministrazione con l’elemento centrale dell’uso della forza, trasformandosi lentamente in regime e mutando la forma del consenso acquisito.
La costruzione della popolarità di Hamas era stata agevolata dalla perdita di fiducia verso Fatah, ma si era realizzata anche attraverso un’iniziale capillarizzazione nelle comunità palestinesi con servizi assistenziali e con la forte condivisione dei valori tradizionalisti islamici. Il consenso nella Striscia di Gaza, con il tempo, sembrava divenuto più labile a causa del disastro umanitario che colpisce l’area e di cui, parte della popolazione, ritiene i vertici responsabili.
Allo stesso tempo la sua connotazione radicale islamista esprime ancora oggi una rappresentanza per coloro che incolpano l’occidente e Israele di tutti i propri mali, identificandola come l’unica vera resistenza armata. La strategia del terrore, compiuta sia contro i nemici ufficialmente dichiarati che contro gli stessi abitanti dei territori controllati, ha condotto all’impossibilità di stabilire quanto sia realmente popolare l’organizzazione tra le pieghe delle comunità palestinesi.
La politica del terrore: il ruolo delle Brigate al Qassam
Il braccio armato di Hamas, noto come le Brigate al Qassam, controllano i territori di influenza e sono uno strumento di condizionamento anche delle scelte politiche. La prima cellula delle Brigate Qassam, fu fondata ufficialmente nel 1991, e prese il nome da Izz al-Dīn al-Qassām, considerato uno dei padri della resistenza contro le varie ondate di coloni e ucciso dalle forze britanniche nel periodo del loro mandato in terra palestinese.
Le Brigate Qassam, inizialmente orientate ad azioni di guerriglia, terrorismo, omicidi e rapimenti, dovettero assumere una linea più moderata dopo la trasformazione di Hamas in attore politico.
Lo strumento democratico aveva deluso la popolazione, condotto la Striscia di Gaza all’isolamento internazionale e verso un ulteriore impoverimento. Il gruppo prendendo le distanze dagli estremismi di altri gruppi salafiti, che proponevano una visione più radicale dell’Islam e della guerra santa, perdeva molti sostenitori. L’organizzazione attraverso azioni sul campo cercava di mantenere la sua popolarità e un importante spinta arrivò con il rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit.
Questo permise ad Hamas una forte legittimazione e una crescita di consensi in un momento di crisi. Il gruppo si era reso protagonista di lanci di missili verso Israele, l’episodio dell’incursione in territorio israeliano per colpire un avamposto delle forze di difesa provocò delle vittime tra i soldati israeliani e il rapimento di Shalit scatenò un’imponente risposta armata.
Prese il via l’Operazione piogge estive che vide l’impiego coordinato delle forze della Difesa israeliana, vennero catturati diversi leader by Hamas e l’organizzazione dopo un primo tentativo di reazione iniziale scelse di nascondersi per eludere la cattura.
Successivamente nel 2008 Hamas fu l’obiettivo di un’altra operazione denominata Operazione piombo fuso, lanciata da Israele in risposta all’invio di razzi sul territorio israeliano che sancivano la fine di una tregua concordata.
“Piombo fuso” doveva neutralizzare le fila di Hamas per impedire i continui attacchi di missili provenienti dalla Striscia di Gaza, ma le operazioni israeliane si trovarono a combattere un ambiente complesso.
L’arte del nemico di utilizzare l’informazione per minare la legittimità israeliana nei confronti della comunità internazionale, rappresentò, allora come oggi, uno scomodo onere per le operazioni militari nei territori abitati dai palestinesi.
Gli accordi per la liberazione dei prigionieri e la memoria del caso di Gilad Shalit
Nel 2011, per la liberazione del soldato Gilad Shalit, rapito nel 2006, Israele si trovò ad accettare un accordo molto criticato, la vita di un solo soldato in cambio della liberazione di ben 1.027 prigionieri palestinesi.
Il cedimento alle richieste dei terroristi venne visto come un segno di debolezza delle autorità israeliane sulle quali pesava l’accusa di non aver ottenuto la liberazione del soldato con altre modalità nel corso degli anni di detenzione.
Questa trattativa ha rappresentato una vittoria per Hamas, in termini di consenso, permettendole di affermare il suo potere politico e di delinearsi come organizzazione centrale nell’area stimolando l’interesse dell’Iran e di altri nemici di Israele.
Fino alla data del 7 ottobre 2023 la questione israelo-palestinese era uscita dai radar della comunità internazionale, il periodo del Covid-19 e successivamente l’inizio del conflitto russo-ucraino avevano spostato l’attenzione su altre dinamiche e la situazione nella Striscia di Gaza e nei territori di Cisgiordania e Gerusalemme Est non era tra le priorità delle agende dei grandi leader mondiali.
Il ruolo di Israele, sempre più attivo nelle relazioni internazionali, ha rappresentato un grande elemento di rischio per l’estremismo armato di Hamas, perché il raggiungimento di una stabilità del Medio Oriente che possa garantire condizioni favorevoli per gli investimenti danneggerebbe il potere di coloro che si sono formati con la finalità di distruggere lo Stato di Israele.
Il 7 ottobre 2023 per Hamas ha rappresentato un punto di non ritorno, ha delegittimato il suo ruolo politico e ha identificato l’organizzazione come gruppo armato terrorista. Dopo poco più di tredici anni dall’accordo che portò alla liberazione di Gilad Shalit, Hamas e Israele siglano un nuovo accordo per il rilascio degli ostaggi israeliani.
Hamas sfrutta la negoziazione e il rilascio per mostrarsi forte e compatta al mondo e ottenendo che un alto numero di prigionieri palestinesi lasci le carceri israeliane, riportando alla memoria il caso Shalit. Lo show messo in piazza per la consegna degli ostaggi israeliani è un messaggio diretto a tutto il mondo islamico e all’Occidente. Hamas vuole far vedere che, nonostante la lunga guerra combattuta e la decapitazione dei suoi vertici attuata da Israele nel corso del conflitto, non è stata debellata ma si propone come rappresentante dell’odio contro Israele e contro gli infedeli.
Dall’abbigliamento alle armi fino alla organizzazione delle modalità di rilascio, tutto lascia intravedere la volontà di apparire numerosi e organizzati. La sfilata di Hamas però ha esposto al mondo anche il carattere della folla, inferocita e violenta, che ha tentato di umiliare e aggredire fino alla fine gli ostaggi israeliani, alcuni visivamente terrorizzati e scossi, facendo vacillare la descrizione di un popolo composto da civili inermi che lottano per la sopravvivenza.
Come avvenuto nel 2011 con lo scambio per la liberazione del soldato Shalit, Israele riporta a casa i propri cittadini e Hamas guadagna una nuova ondata di consensi attraverso i 1.000 prigionieri palestinesi che saranno liberati.
Il rischio che il governo israeliano corre con il raggiungimento di questo accordo è una nuova riaffermazione di Hamas e una sua rigenerazione. Le polemiche per l’alto numero di prigionieri palestinesi che saranno liberati non tengono conto di quanto fosse fondamentale per Israele riportare a casa gli ostaggi ancora in vita. Una decisione delicata e complessa che ha permesso a molte famiglie israeliane di riabbracciare i propri familiari.
Israele dimostra che il governo farà tutto il possibile per recuperare gli ostaggi, utilizzando la diplomazia laddove le azioni militari potrebbero non essere la soluzione idonea per raggiungere la liberazione senza rischiarne l’incolumità.
Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.
A graduate in Political Science and International Relations from Niccolò Cusano University, she is currently attending the Master's Degree in Middle East Analyst at the same university. She has taken various in-depth courses on Sub-Saharan Africa and international terrorism.
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