L’esperienza italiana nella cornice del secondo conflitto mondiale
Una vera e propria scuola geopolitica italiana si affermò con la fondazione, nel 1939, della rivista ‟Geopolitica”, diretta da Giorgio Roletto, professore di geografia economica all’Università di Trieste, e dal suo allievo Ernesto Massi, docente di geografia politica ed economica all’Università di Pavia e all’Università Cattolica.
Pur influenzata dalle dottrine geopolitiche di altri paesi europei, e in particolare dalla Germania e dal contributo di Haushofer, l’esperienza della rivista rappresentò anche lo sforzo per delineare una autonoma via italiana alla disciplina. La rivista, nei suoi circa quattro anni di attività, pur spaziando in molteplici argomenti e attenzionando diversi contesti e scenari anche remoti, mantenne il focus principale sulle aree nelle quali si individuava la primaria influenza che l’Italia avrebbe dovuto avere, e in particolare l’intero Mare Nostrum (Mediterraneo) e l’Africa.
Il secondo dopoguerra
La conclusione del secondo conflitto mondiale vide una reazione di avversione alla geopolitica classica, spesso stigmatizzata perché considerata strumento ideologico impiegato dai totalitarismi europei per giustificare le politiche di espansionismo territoriale. Il riferimento era in particolare alla Geopolitik tedesca e ad autori come il richiamato Haushofer, il cui contributo intellettuale e la stessa biografia rendono peraltro evidente un rapporto alquanto complesso con il nazionalsocialismo, comunque non riducibile ad una prona subalternità al regime. L’avversione alla geopolitica è valsa anche nella specifica esperienza italiana, dove un certo legame ideologico con il regime fascista compromise nei decenni a seguire la valorizzazione della disciplina.
Comunque, anche al di là di stigmi legati al passato storico, nei decenni postbellici si sono sviluppati diversi approcci critici nei confronti delle impostazioni fondamentali della geopolitica classica. Ad esempio la geopolitica critica, diffusa a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, tende a decostruire gli assunti della geopolitica classica anche con un capovolgimento di prospettiva, sottolineando come sia spesso la concezione politica a plasmare l’interpretazione dello spazio geografico più che il dato geografico a determinare l’azione politica. In tale ottica, ad esempio, la geopolitica britannica si spiegherebbe non tanto a partire dal nudo elemento geografico della sua insularità, quanto dall’autopercepirsi come realtà separata dal continente.
In generale, approcci critici alla geopolitica tendono a proporre analisi basate sulla decostruzione di un certo determinismo geografico ritenuto ascrivibile agli autori classici.
Eppure non è esagerato affermare che, se anche la geopolitica ha incontrato dal secondo dopoguerra una certa ostilità culturale per le ragioni riferite, i suoi assunti fondamentali hanno trovato importante, ancorché spesso non esplicito, riconoscimento nella prassi, con lo sviluppo della competizione strategica fra potenze; ciò anzitutto nella contrapposizione della Guerra Fredda, ma anche nella successiva fase unipolare (all’esito del prevalere degli USA sull’URSS).
Si è ad esempio associata al pensiero di Spykman la politica USA del containment (volta a creare un “cordone sanitario” che facesse particolare perno sulle aree del Rimland attorno al blocco sovietico) e sono emersi in ogni caso chiari approcci legati alla geopolitica classica presso i più noti strateghi statunitensi. Invero, anche a Guerra Fredda ultimata, Henry Kissinger poneva attenzione al fatto che la Russia insisteva spazialmente sull’Heartland mackinderiano e dovesse essere controbilanciata dagli USA, i quali non potevano permettersi di restare un’“isola” confinata al di fuori dell’Eurasia; inoltre, esprimeva preoccupazione per l’emersione della Germania, e così volgeva attenzione anche alla seconda delle due realtà dello spazio eurasiatico la cui integrazione era paventata da Mackinder. Pure un altro grande stratega statunitense, Zbigniew Brzezinski, ha mostrato un approccio attento alle risultanze della geopolitica classica, sia durante che dopo la Guerra Fredda, valorizzando strategie tese a un sostanziale accerchiamento dell’Eurasia da parte degli USA.
Geopolitica classica e scenari attuali
Viene da chiedersi se e in che misura gli approcci e le intuizioni della geopolitica classica siano di aiuto nella comprensione del mondo attuale.
Nel presente contesto di crescente complessità si assiste sempre più a fenomeni e tendenze di grande portata che parrebbero atti a ridurre l’importanza del fattore geografico, se si pensa alle vertiginose innovazioni tecnologiche, alla digitalizzazione, allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e di soluzioni (e prima ancora minacce) nel mondo della cybersicurezza. Per rispondere a simili sollecitazioni della contemporaneità, senz’altro s’impone una riflessione sui nuovi spazi non (strettamente) territoriali – ad esempio le reti virtuali legate allo sviluppo tecnologico – e in certa misura anche in generale un ripensamento dello spazio tradizionalmente inteso.
Eppure, gli stessi grandi sommovimenti globali in corso non cessano di essere ancorati ai grandi spazi fisici. Se questo vale già per la competizione globale legata proprio ai fattori di innovazione tecnologica (si pensi appunto alla competizione sull’IA fra grandi potenze), ciò risulta tanto più confermato laddove lo scontro si traduce tragicamente nei conflitti armati tradizionali, avendo ad esempio a mente la guerra russo-ucraina e le conflittualità del Vicino Oriente. Il conflitto militare si lega inevitabilmente al fattore geografico e a scontri di potere che hanno, quali più immediati attori, organizzazioni statuali o movimenti politico-militari ben radicati sul territorio. Pertanto, anche al di là di valutazioni di più stretta rilevanza strategico-militare, spesso è proprio in simili scenari che emerge con forza l’attenzione a dinamiche di potere saldamente ancorate al dato geografico-territoriale, portando a più immediata attualità certe intuizioni e attenzioni riconducibili anche indirettamente ai lasciti della geopolitica classica.
Inoltre, anche prescindendo dai più noti e immediati scenari di crisi, ampia parte delle riflessioni sul futuro degli assetti internazionali ha profonde – spesso anche inconsapevoli – implicazioni legate alla geopolitica classica. Il riferimento va in particolare a quella che spesso, esemplificando al massimo, può apparire come una dialettica anche ideologica fra una difesa della posizione e dei valori occidentali da un lato e, dall’altro, la valorizzazione di un multipolarismo che cerca perno su plurimi poli emergenti, attorno ai quali possano sorgere cluster geopolitici sviluppati su grandi spazi, come base per un riequilibrio dei poteri internazionali.
Su questo, vale la pena rammentare che i più attenti osservatori avevano ridato linfa a riflessioni – mai del tutto sopite – basate su una simile dialettica soprattutto a partire dall’ufficializzazione dell’aggregato BRIC nel 2009 (acronimo per Brasile, Russia, India e Cina), presto diventato BRICS con l’aggiunta del Sudafrica nel 2011. Nel 2024 i BRICS si sono ulteriormente ampliati con l’ingresso di Iran, Egitto, Etiopia ed Emirati Arabi Uniti. Si può riscontrare anche presso l’opinione pubblica occidentale una crescente attenzione sull’impatto attuale e potenziale negli equilibri globali di questa e di altre realtà internazionali svincolate dalla tutela del blocco occidentale. Si tratta di elementi da dover effettivamente considerare attentamente, pur dovendo al contempo tenersi conto di alcuni fattori di complessità fra i quali i seguenti:
- certi fenomeni di più profonda trasformazione spesso agiscono nel medio-lungo periodo, anche a dispetto di singoli accadimenti seppur d’impatto (e ad alta copertura mediatica) che possano indurre a pensare a cambi di assetto repentini (quantomeno nella più ampia prospettiva del ‘gioco’ fra grandi potenze negli equilibri globali);
- per quanto non vada ignorato, rischia di risultare facilmente semplicistico il calcolo aritmetico di risorse, popolazioni e valori (come il PIL) delle diverse potenze emergenti, come se si trattasse di un unico blocco federato capace di mettere agevolmente a sistema la sommatoria dei propri fattori di forza;
- per quanto vadano attentamente considerati i fattori di crisi dell’intero blocco occidentale, rischia di risultare specularmente semplicistico ignorarne gli elementi di forza ancora attuali o potenziali, decretando un declinismo occidentale già scritto e con un sapore di predestinazione in un certo senso uguale e contrario a quello di una “fine della storia” come prospettata da Fukuyama. D’altro canto si deve pure osservare che in seno allo stesso cuore strategico dell’attuale blocco occidentale, gli USA, paiono emergere alcune possibili tendenze a una riproiezione strategica nel continente americano (con una visione quindi in apparenza più attenta agli spazi continentali di propria stretta ‘afferenza’, volta anche a mitigare i rischi di un imperial overstretch globale).
Ancora, in un contesto più vicino al nostro, emerge spesso l’esigenza di considerare una prospettiva geografica ampia, nella consapevolezza che una più profonda comprensione di problematiche e scenari internazionali necessiti di una visione dilatata. Viene in mente la recente rivalorizzazione dell’idea di “Mediterraneo allargato”, dai confini ben più ampi rispetto al Mediterraneo ‘tradizionale’ e le cui implicazioni paiono appunto di particolare rilievo per il nostro Paese. Una possibile delimitazione del Mediterraneo allargato, utile anche per la ‘proiezione’ del nostro Paese, dovrebbe vedere come confini di massima:
- a Ovest non più la delimitazione naturale di Gibilterra, bensì l’estensione fino al meridiano delle Isole Canarie e alla costa occidentale dell’Africa settentrionale;
- a Nord-Est il confine sino alla Crimea con il Mar Nero quale parte integrante;
- a Sud la delimitazione data dall’area del Sahel;
- a Est e Sud-Est la penetrazione in Medio Oriente, con inclusione di Mar Rosso, Canale di Suez, Corno d’Africa, Golfo di Aden e (quantomeno) Golfo Persico.
In generale si è visto difatti come nella geopolitica classica l’attenzione allo spazio non perdeva di vista una prospettiva di ampio respiro – globale o quantomeno continentale – entro la quale coerentemente collocare fattori e accadimenti di rilievo. Questa sensibilità sembra invece oggi poco diffusa e si tendono a leggere in maniera alquanto frammentaria e circostanziata – spesso limitata nell’informazione generalista a un livello di gossip di politica internazionale – i grandi eventi che caratterizzano il globo, rischiando di perdere la portata di profondi mutamenti in corso rispetto a fatti di più immediata e superficiale evidenza.
Il caso italiano. Spunti e possibili linee direttrici
Vi è da chiedersi infine come collocare il nostro Paese in questo contesto. Si è accennato all’attenzione che la dottrina geopolitica italiana aveva dato alla proiezione dell’Italia nel Mediterraneo nel suo complesso; inoltre, pure l’Africa continentale rappresentava importante area da tenersi in considerazione.
Se da un lato è indubbio che un certo sviluppo teorico risultava allora funzionale alle ambizioni del regime fascista, dall’altro si deve riconoscere che diversi assunti e intuizioni rappresentano elementi di utile considerazione prescindenti dallo stretto contesto storico-ideologico in cui vennero partoriti.
In ogni caso, partendo anche da alcuni assunti di base della geopolitica classica internazionale, si ritiene che l’Italia – seppur considerata nel contesto europeo e in quello dell’alleanza atlantica – dovrebbe prestare attenzione quantomeno ai seguenti primari elementi:
- l’immediata proiezione geografica nello spazio mediterraneo, essendo la nostra penisola distesa su questo mare nevralgico per la storia dell’uomo;
- l’attenzione alle aree di prossimità dello stesso Mar Mediterraneo, che complessivamente vanno a costituire il cosiddetto “Mediterraneo allargato” di cui si è fatto cenno;
- la proiezione, a Sud, anche oltre le sponde del Mediterraneo allargato, in una prospettiva di integrazione e sviluppo eurafricani;
- l’attenzione alle prospettive di integrazione eurasiatica e quindi nell’ambito dei corridoi di sviluppo e delle relazioni con le potenze che insistono su questa grande massa continentale.
Guardando – sulla base di questi presupposti – alle più strette contingenze dell’agire politico, si può evidenziare quanto segue:
A) l’attenzione alle diverse sponde del Mediterraneo può e deve essere coltivata anche e in particolare al presentarsi di ampi fenomeni di crisi e destabilizzazione come quelli cui si assiste attualmente, pure per attenuarne il più possibile i contraccolpi sulla nostra nazione, maggiormente esposta rispetto ad altri paesi europei già solo per questioni geografiche; ciò al momento vale primariamente per le aree di crisi del Vicino e Medio Oriente.
È inoltre importante tenere alta l’attenzione sulle prospettive nella vicinissima sponda oltreadriatica, cioè i Balcani.
È difficile dare un giudizio sereno e completo sulla politica mediterranea da parte delle attuali forze governative (senza peraltro cadere nel fuoco della polemica politica contingente), tuttavia si possono osservare al riguardo alcuni elementi di attenzione e novità che il tempo potrà dire se daranno frutti positivi. In particolare nell’attuale frangente si osserva per l’Italia:
- un impegno crescente delle relazioni con i paesi della sponda nordafricana;
- posizioni che paiono di maggior mediazione sulla crisi in Terra Santa (rispetto ad un approccio più graniticamente occidentalista tradizionalmente assunto dall’area politica di centro-destra);
- tentativi volti a contribuire attivamente alla stabilizzazione di aree del Vicino Oriente (ad esempio nelle relazioni con la Siria, peraltro prima che lo scenario venisse giocoforza del tutto capovolto dalla caduta di Assad);
- impegno nelle relazioni coi paesi balcanici (che sarebbe riduttivo ridurre alla “questione albanese” sui centri per immigrati);
- attenzione e valorizzazione di aree del Meridione italiano nella prospettiva di consolidamento di una funzione italiana quale hub strategico nell’area mediterranea.
B) La proiezione strategica dell’Italia deve volgersi anche alle ulteriori aree nell’ambito del riferito Mediterraneo allargato.
A titolo meramente esemplificativo, pare interessante richiamare l’attenzione sulle prospettazioni – pubblicamente valorizzate anche dal Presidente del Consiglio in carica – circa l’attenzione alla connessione fra Mediterraneo e Indo-Pacifico; ciò ad indicare una proiezione strategica di ampio respiro, non confinata al tradizionale bacino mediterraneo e invece spinta a catalizzare al massimo le potenzialità connettive del Mediterraneo allargato.
C) Riguardo allo sviluppo di una prospettiva eurafricana, l’immediata associazione con le contingenze politiche porterebbe a riflettere sulla progettualità del Piano Mattei per l’Africa.
Volendo anche qui rifuggire dalla più stretta polemica politica e pur tenendo in debita considerazione alcuni rilievi critici al Piano (se non altro quelli meno ideologici e strumentali), si può osservare come tale progettualità abbia avuto una certa rilevante attenzione, supportata anche autorevolmente a livello internazionale. Se ancora è prematura la valutazione dei frutti del Piano, non può non ritenersi meritorio il tentativo di considerare in una prospettiva organica, strategica e di lungo periodo l’approccio dell’Italia al grande continente africano, secondo un’ottica che risulti win-win con i paesi coinvolti.
D) Quanto infine alle prospettive nel macro-continente eurasiatico, l’Italia non può non fare i conti, oltre che con le medie potenze di aree strategiche quali il Mediterraneo allargato (v. ad esempio la Turchia), anche con i grandi attori continentali, avendo a mente India, Cina e Russia. Si è positivamente notata nell’operato del governo una particolare attenzione alla partnership strategica con l’India; appaiono poi da non sottovalutare alcuni recenti sviluppi nelle relazioni italo-cinesi e si possono presentare rinnovate prospettive con la Russia, laddove le attuali premesse per una (al momento meramente ipotetica) de-escalation con l’Ucraina andassero a consolidarsi.
Si ribadisce che quanto appena sopra tratteggiato parte dal presupposto che l’Italia resti al momento inserita nel contesto essenziale di relazioni e accordi europei e transatlantici di cui è parte. Ciò non (solo) per considerazioni d’ordine assiologico, quanto per la constatazione che non appare al momento realistica né opportuna – nell’ambito dei rapporti di forza vigenti, di valutazioni di rischio nonché di immediate considerazioni costi-benefici – una repentina rimessa in discussione radicale della collocazione italiana negli assetti in cui è collocata; con la consapevolezza, peraltro, che non siamo giunti alla fine della storia e tutto in futuro è rimesso al campo del possibile.
In conclusione, pur alla luce dei vorticosi sviluppi che hanno attraversato i decenni trascorsi e che segnano con crescente incertezza gli anni presenti, si ribadisce – anche con specifico riguardo all’Italia – l’opportunità di valutarne la collocazione e le prospettive su un piano geopolitico anche alla luce del lascito degli studi di geopolitica classica, opportunamente riconsiderati e attualizzati.
Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.
A lawyer, graduate in Law ( Third University of Rome) and PhD in Roman Law, Theory of Systems and Private Market Law (Sapienza University of Rome), he is the author of several papers on international law and politics.
Scrivi un commento