di Bruno Hudelist
Dopo una pausa di qualche settimana, sembra essersi rimesso in moto lāiter parlamentare per la concessione della cittadinanza italiana al presunto dissidente egiziano Patrick Zaki, studente iscritto allāuniversitĆ Alma Mater Studiorum di Bologna in un master internazionale denominato āWomen’s andĀ Gender Studiesā.
Nonostante lāEgitto abbia, dal punto di vista della legalitĆ internazionale, ogni diritto di processare un suo cittadino quando esso abbia contravvenuto ad una legge egiziana, lāattuale contesto di tramonto del diritto westfaliano e del principio di non ingerenza sembra ormai non volerne tenere conto. In tal senso lāItalia, Paese che ha ospitato lo studente egiziano, sembra farsi carico della sua sorte in maniera estremamente più accorata di quanto non abbia fatto per altri italiani con problemi giudiziari allāestero, come ad esempio il quasi sconosciuto Christian Provvisionato, prigioniero per due anni del regime islamico della Mauritania, o come Fabio e Filippo Galassi, condannati a cinquantaquattro anni di carcere nella Guinea Equatoriale del dittatore Teodoro Obiang. Parliamo, va ribadito, di cittadini italiani, dotati di passaporto italiano, il quale però sembra meno pesante del badge di unāUniversitĆ caposaldo dellāarcipelago liberal come lāateneo allāombra delle due torri. Cosāha quindi di diverso Patrick Zaki?
Non ci dilungheremo sugli infiniti argomenti di dietrologia a tema geopolitico che sono stati consegnati ai mass media su questo aspetto, quanto piuttosto su quello della cittadinanza. La differenza che corre tra Zaki e numerosi italiani prigionieri allāestero ĆØ precisamente quella della cittadinanza. Che lo studente egiziano finito suo malgrado negli ingranaggi dellāapparato repressivo del regime di Al-Sisi sia diventato, non sappiamo con quanta sua approvazione, uno stendardo identitario del progressismo ĆØ noto; tuttavia sembrano poco approfondite le ragioni per cui ciò stia avvenendo.
Il Centrodestra e lāarea conservatrice italiana sembrano ancora non aver capito la portata di unāeventuale concessione della cittadinanza italiana allo studente egiziano, e anche le voci più radicali che si oppongono a questo atto lo fanno più in ossequio al principio di non ingerenza westfaliano che non per ragioni di pragmatismo politico. In pratica, non si riesce a vedere il cavallo di Troia che le forze progressiste avvicinano alle porte del Paese nascondendolo sotto le sembianze di un gioviale studente egiziano, lontanissimo dallo stereotipo del mediorientale barbuto prono al radicalismo jihadista. Un volto solare di uno studente completamente laicizzato, che ambisce solo ad integrarsi nellāOccidente dei diritti e delle libertĆ , ma dietro al quale potrebbe accodarsi ogni sorta di tipo umano.
Il piano inclinato ĆØ pericolosissimo: il passo successivo sarĆ il domandarsi āperchĆ© Zaki sƬ e gli altri no?ā. Gli altri sono, ovviamente, tutti gli stranieri che per un qualche motivo siano, o dicano di essere, perseguitati in patria per motivi politici. Sembra giĆ di sentire le sirene dei media: āQuanti Zaki potrebbero esserci su quel barcone?ā. Non serve dunque essere dei veggenti per rendersi conto che la cittadinanza concessa a Zaki rischia di essere il lasciapassare per garantire la cittadinanza a milioni di ādissidentiā e dribblare cosƬ il problematico saliente dello Ius soli, al quale lāopinione pubblica, nonostante anni di onnipervasiva propaganda, rimane radicalmente contraria.
Lāutilizzo di storie particolarmente cariche di pathos, non importa quanto artificiale o no, per giustificare cambi di legislazione altrimenti inaccettabili non ĆØ, del resto, strumento nuovo allāarsenale della propaganda. Dalla storia di Malika, ragazza lesbica cacciata di casa per giustificare lāimpellenza del ddl Zan, alle storie degli āangeli in corsiaā o dei nonni deceduti per giustificare imponenti restrizioni della libertĆ personale, il nostro sistema mediatico ĆØ un continuo profluvio di storie individuali, spesso non verificabili, utilizzate col fine di attualizzare, rendere familiari le presunte vittime delle discriminazioni agli spettatori. Senza lāidentificazione spettatore-vittima, tutto lāimpianto mediatico dietro alla vicenda Zaki non sarebbe possibile. Zaki, con la sua aria gioviale e spensierata di ragazzo occidentalizzato, ĆØ unāicona paradossalmente molto più potente di George Floyd che in Italia, Paese privo della frammentazione etnica tipica degli States, rimane qualcosa di archetipicamente lontano.
In questo scenario, la critica espressa dai conservatori più radicali si ferma allāaspetto più superficiale: āLa sinistra ā questa la tesi ā vuole salvare Zaki perchĆ© ĆØ uno dei suoiā. Unāaffermazione tanto approssimativa quanto non verificabile, avendo spesso molti dissidenti allāestero (tra i tanti ricordiamo lo xenofobo Aleksey Navalny e la nazionalista Aung San Suu Kyi) posizioni molto distanti dalle idee liberal occidentali. Ć chiaro, quindi, che in gioco ci sia qualcosāaltro, ovvero la cittadinanza a quelli che oggi rimangono, pur con mille tutele e benefici, semplici rifugiati e richiedenti asilo. Si tratta della seconda fase dove, fallito lāassedio al parlamento e minacciate da una popolaritĆ traballante, le Sinistre devono camuffare le loro battaglie politiche impopolari per piccole battaglie che siano al contempo tanto simboliche quanto di retroguardia, mentre la loro portata ĆØ invece immensa.
Dietro alla vicenda Zaki cāĆØ lāobbiettivo, ormai conosciuto, della permeabilitĆ dei confini, dei limiti di una comunitĆ estendibili a piacimento a seconda dei patimenti, veri o presunti, dichiarati da chi li subisce. Lo Stato come grande opera della misericordia, come grande centro di accoglienza con lāunico scopo di alleviare i patimenti dei sofferenti in maniera tanto gratuita quanto inutile (per ogni sofferente aiutato ne nascono altri dieci, nelle rispettive patrie). Dietro alla vicenda umana di Zaki, per quanto dolorosa, occorre dunque riconoscere le potenziali porte che possono aprirsi.
Nulla di più pericoloso della politica uterina che agisce di getto mossa dallāemozionalismo: le vicende dellāEuropa contemporanea dovrebbero avere giĆ sufficientemente chiarito che le strade insanguinate dellāEuropa di oggi, stretta tra terrorismo e totalitarismo pandemico, sono da tempo lastricate delle buone intenzioni delle dame di caritĆ progressiste.
Filosofo e commentatore di politica.
Ha un nome tutto ciò: Comunismo.
L’ articolo ha ben centrato l’ argomento. La evidenziazione in finale, dell’ apporto destrutturante, quasi nichilista direi, delle istanze emozional-uterine de revanche rosa, nella politica occidentale, sarebbe dovuta essere stata accompagnata dalla ulteriore evidenziazione della assoluta raritĆ nella controparte “azzurra” di un sostrato morale formatosi su di un decalogo appena un pò virile. La passerella degli ultimi primi e secondi ministri della politica italiana non sfigurerebbe su di un palcoscenico del varietĆ .
La proposta di cittadinanza italiana onoraria a Patrick Zaki ĆØ un esempio di doppiopesismo politico. Pensiamo al medico Ahmad Reza Jalali, con cittadinanza iraniana e svedese, arrestato in Iran nell’aprile 2016. Attualmente su di lui pende una condanna a morte per motivi pretestuosi. Jalali ha lavorato presso varie universitĆ europee, tra cui l’UniversitĆ del Piemonte Orientale. Nonostante ciò, nessuno ha proposto di assegnare a lui la cittadinanza onoraria italiana!