Il sito “Formiche” ha pubblicato un estratto da Trump vs. everyone. America (and the West) at the crossroads, opera di Stefano Graziosi e Daniele Scalea, ultima uscita della collana “Machiavellica”.
[…] Grazie a un mix di liberismo e protezionismo, abilmente gestito a livello centrale dall’onnipotente Partito Comunista, la Cina è divenuta la prima potenza esportatrice al mondo, davanti a Usa e Germania, e registra il maggiore avanzo commerciale (420 miliardi di dollari nel 2019, ma aveva sfiorato quota 600 nel 2015). Al contrario, gli Usa hanno il peggior disavanzo commerciale, che supera i 600 miliardi annui: la bilancia era più o meno in equilibrio fino agli anni ’90, quando, in concomitanza con la nuova ondata di globalizzazione commerciale, è entrata decisamente in terreno negativo, precipitando nel nuovo secolo dopo l’ingresso della Cina nel Wto.
Ciò è stato aiutato dalla strategia monetaria cinese, che prevede di fare costante incetta di dollari sul mercato valutario così da mantenere sottovalutata la propria moneta, lo yuan. Malgrado, dietro le insistenti pressioni estere, sia passato dal cambiarsi a 8,28 col dollaro nel 1994 a circa 7 oggigiorno, lo yuan rimane una moneta deprezzata, cosa che permette ai prodotti cinesi di essere ancora più competitivi sui mercati internazionali (lo svantaggio è un minore potere d’acquisto ed ergo qualità della vita per i cittadini cinesi, ma si tratta di un sacrificio che il regime comunista è evidentemente disposto a sopportare).
Con questo surplus di dollari derivante dall’avanzo commerciale e dall’acquisto di valuta Pechino si è premurata di finanziare il deficit americano facendo incetta di titoli di debito pubblico: oggi ne detiene per oltre 1000 miliardi.
Gli Usa possono perciò pagare interessi più bassi sul loro debito, e i propri consumatori trovano negli scaffali dei supermercati prodotti di fabbricazione cinese a costi particolarmente competitivi.
Le multinazionali americane sono le più felici, perché hanno potuto aprire succursali e spostare stabilimenti in Cina. Qui l’imposta sulle società è del 25%, ossia meno che in India, Brasile o Messico, e meno anche che negli Stati Uniti prima del taglio delle tasse varato da Trump e dal Congresso repubblicano nel 2017 (che l’ha portata dal 35% al 21%).
La manodopera cinese è numerosa, variegata (non mancano scienziati e tecnici di prima categoria) e poco protetta dalla legge: su salari e condizioni di lavoro le aziende possono spadroneggiare liberamente. I massicci investimenti statali degli ultimi decenni garantiscono la presenza di infrastrutture logistiche di prima qualità: porti di livello mondiale, treni ad alta velocità e via dicendo.
Quindi, dove sta il rovescio della medaglia? …CONTINUA A LEGGERE SU FORMICHE…
Researcher of Centro Studi Machiavelli. Graduated in Political Philosophy (Catholic University of Milan) with a thesis on Leo Strauss. He deals with international politics collaborating with "La Verità" and "Panorama". His last book is Trump contro tutti. L'America (e l'Occidente) al bivio (2020), written with Daniele Scalea.
Founder and President of Centro Studi Machiavelli. A graduate in History (University of Milan) and Ph.D. in Political Studies (Sapienza University), he teaches “History and Doctrine of Jihadism” at Marconi University and “Geopolitics of the Middle East” at Cusano University, where he has also taught on Islamic extremism in the past.
From 2018 to 2019, he served as Special Advisor on Immigration and Terrorism to Undersecretary for Foreign Affairs Guglielmo Picchi; he later served as head of the technical secretariat of the President of the Parliamentary Delegation to the Central European Initiative (CEI).
Author of several books, including Immigration: the reasons of populists, which has also been translated into Hungarian.
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