Mancano dieci giorni alle elezioni parlamentari in Repubblica Ceca, la seconda del cruciale treno di consultazioni nel Gruppo di Visegrád, dopo le presidenziali polacche, vinte dal candidato del PiS Karol Nawrocki e prima delle generali ungheresi della prossima primavera. Elezioni importanti per un piccolo ma strategico Paese al centro dell’Europa, nel bel mezzo di un’area mai come oggi critica, a metà tra l’Europa occidentale e le turbolenze geopolitiche di quella orientale. Poco più di otto milioni di cittadini cechi saranno chiamati alle urne per rinnovare i due rami del Parlamento (Camera dei Deputati e Senato), che dovranno successivamente accordare o rifiutare la fiducia al primo ministro in pectore, che sarà indicato dal presidente della Repubblica nella persona del candidato premier del primo partito per numero di consensi.
Un intermezzo liberal-centrista in un paese conservatore
Come già ricordato, la Repubblica Ceca fa parte del Gruppo di Visegrád, ovvero il tandem a quattro mitteleuropeo composto da Polonia, Slovacchia e Ungheria, oltre alla Cechia stessa. Tutti insieme, questi paesi avevano, pur in modo altalenante, influenzato profondamente l’Unione Europea operando all’interno di essa come un vero e proprio sottogruppo, spesso coordinandosi per difendere posizioni conservatrici; una tendenza venuta meno con il tempo, a causa dell’affermazione di governi liberali prima in Repubblica Ceca (governo Fiala, in carica dal 2021) e poi in Polonia (governo Tusk III, in carica dal 2023). Con le elezioni dell’Ottobre prossimo potrebbe essere proprio Praga a tornare sui suoi passi. Il Paese centroeuropeo, infatti, si è sempre contraddistinto per un certo euroscetticismo: l’attuale partito populista di stampo conservatore ANO (Akce Nespokojených Občanů, Azione dei Cittadini Insoddisfatti), formazione leader nell’opposizione all’attuale governo liberal-centrista di Petr Fiala, ha una lunga storia di permanenza al governo, prima come seconda forza della coalizione guidata dal socialdemocratico sovranista Bohuslav Sobotka (2014-2017), poi direttamente egemonizzando la carica di primo ministro con i premierati Babiš I e II (2018-2021).
Con la vittoria della coalizione liberal-centrista Spolu (“Insieme”) alleatasi con un cartello di sigle minori (tra cui il Partito Pirata e la lista Sindaci e Indipendenti) guidato da Ivan Bartoš, saliva al potere a Praga l’attuale primo ministro, portando quindi ad un allontanamento del Paese dagli altri governi conservatori di Visegrád. L’ordinamento bicamerale ceco, che prevede l’elezione diretta dei deputati alla Camera dei Deputati con un sistema proporzionale e quello della camera alta (Senat) con un sistema maggioritario uninominale a doppio turno, favorisce la frammentazione dell’arco parlamentare e la formazione di governi di coalizione, spesso poco stabili (si veda ad esempio la defezione, avvenuta lo scorso Ottobre, del Partito Pirata dall’attuale maggioranza di governo, che aveva portato il Paese a sfiorare le elezioni anticipate). Il prossimo governo, sarà dunque anch’esso una coalizione eterogenea, indipendentemente dal nome del premier.
Le forze in campo
In virtù della già citata frammentazione dell’arco parlamentare ceco, è già possibile ipotizzare che saranno numerosi i partiti che siederanno nel prossimo parlamento; secondo i più recenti disponibili dovrebbero essere una decina i partiti che riusciranno a superare la pur non bassa soglia di sbarramento del 5%. Il già citato partito ANO (appartenente al gruppo europeo Patriots for Europe), formazione conservatrice guidata dal veterano della politica ceca Andrej Babiš, sarà sicuramente l’elemento egemone, accanto al suo principale contendente, la coalizione Spolu guidata dall’attuale primo ministro Fiala, composta tre partiti liberal-centristi: ODS (Občanská Demokratická Strana, Partito Democratico Civico, affiliato a ECR), KDU-ČSL (Křesťanská a demokratická unie, Unione Cristiana Democratica, affiliata al PPE) e TOP90 (Tradice Odpovědnost Prosperita 09, Tradizione – Libertà – Prosperità 09, affiliato al PPE). Accanto a queste forze, che saranno senza ombra di dubbio le più importanti del nuovo emiciclo, vi saranno poi la già citata Lista dei Sindaci e degli Indipendenti (STAN, affiliata al PPE) guidata da Vít Rakušan, i nazional-conservatori del Partito della Libertà e della Democrazia Diretta (SPD, affiliato ad ESN) guidati dal politico ceco-giapponese Tomio Okamura, i Pirati (di orientamento ambientalista e liberale) di Zdeněk Hřib e la lista populista di estrema sinistra sovranista Stačilo! guidata da Kateřina Konečná, mentre balla attorno alla soglia di sbarramento il Partito degli Automobilisti (Motoristé sobě, affiliato ai PfE), sigla di destra populista guidata da Filip Turek.
I volti della contesa
Andrej Babiš, leader di ANO, due volte primo ministro, imprenditore nato a Bratislava e tra gli uomini più ricchi del Paese, sarà molto probabilmente il protagonista delle prossime elezioni ed è, come già accennato, un veterano della politica. Esperto conoscitore della macchina dello Stato ed al contempo molto vicino agli umori delle persone (specialmente i residenti delle zone periferiche e rurali), Babiš è stato spesso definito “il Berlusconi ceco”, tanto per elogiarlo quanto per screditarlo. Nato come imprenditore all’ingrosso nel settore agricolo, il leader della destra ceca ha poi espanso le sue attività nel settore degli autotrasporti e dei mass media, diventando proprietario di due tra i più importanti giornali cechi, Lidové noviny e iDnes, del canale televisivo Óčko e dell’emittente Rádio Impuls, la terza stazione radiofonica più ascoltata della Cechia.
Petr Fiala oppone invece un curriculum totalmente diverso. Figlio di Igor Fiala, un reduce dell’Olocausto a causa delle sue origini ebraiche (seppur convertito al cattolicesimo), Petr ha una formazione politica di impronta cattolica ed una biografia egemonizzata dall’ambito accademico: docente di scienze politiche all’Università di Brno dal 1996, è diventato rettore del medesimo ateneo nel 2004, carica poi abbandonata con la sua discesa in politica nel 2011.
Centrodestra o destra-destra? I temi della contesa
Profili e stili diversi contraddistinguono dunque i due principali candidati, che rappresentano bene le differenze di vedute in un Paese come la Repubblica Ceca, uscito da poco più di trent’anni dal totalitarismo socialista, dove la sinistra liberal è sostanzialmente assente. La contesa si presenta infatti come una lotta interna a quello che in Italia chiameremmo centrodestra: con Babiš e i suoi potenziali alleati conservatori e nazional-conservatori esponenti del populismo euroscettico di PfE ed ESN, e la coalizione Spolu egemonizzata da conservatori europeisti e forze cristianodemocratiche. La differenza di orientamenti ricade a cascata sui temi della campagna elettorale, con la politica estera a farla da padrona: se Fiala ha infatti sposato una linea indefessamente a favore dell’impegno occidentale nel rifornimento di armi e nel supporto diplomatico all’Ucraina, Babiš si attesta invece su posizioni neutraliste vicine a quelle del governo ungherese di Viktor Orbán, sottolineando anche i disastrosi effetti dell’accoglienza dei profughi di Kiev all’interno dei confini cechi (secondo l’Ufficio Statistico Ceco i residenti di etnia ucraina entro i confini del Paese sono aumentati dai 197.000 nel 2021 agli oltre 636.000 nel 2022, passando a rappresentare dal 1,8% a quasi il 6% della popolazione ceca).
Tematica spinosa, quella dell’accoglienza dei profughi ucraini, che grava, attraverso assegni sociali e dumping salariale, su di un sistema di assistenza sociale già in difficoltà a causa del decremento demografico e su di un’economia che incontra difficoltà crescenti, nonostante Praga non abbia mai aderito all’eurozona. Anche in virtù di tutto ciò, Babiš ha dichiarato che se vincerà le elezioni non perseguirà il raggiungimento della spesa del 5% del PIL per il riarmo, associandosi quindi alla posizione spagnola e contrapponendosi con vigore alla linea dell’attuale governo, che invece intende rispettare, seppur gradualmente, l’impegno preso con la NATO nel raggiungere la quota.
Per quanto riguarda l’economia, ANO ed il suo leader portano avanti una commistione tra un’agenda liberale vecchio modello, improntata al taglio delle tasse (seppur con un inasprimento della lotta all’evasione) e rifiuto del Green Deal europeo, e un programma di sapore statalista, improntato all’istituzione di tetti ai prezzi dell’energia e all’abbassamento dell’età pensionabile dai 67 ai 65 anni di età. Ricette, quelle di Babiš, respinte dall’attuale primo ministro, che le ha più volte bollate come populiste, irresponsabili e irrealizzabili, sostenendo invece la necessità di proseguire l’attuale linea di rigore nei conti pubblici (leggasi: austerità) e riduzione del deficit. Più vicine, invece, le posizioni dei candidati in merito all’immigrazione da paesi extraeuropei: ANO e Babiš (per non parlare di SPD e Automobilisti) chiedono una chiusura totale dei confini, adottando un sostanziale modello ungherese, mentre l’attuale governo persegue anch’esso una linea di contenimento, con nuove norme, appena approvate, che inaspriscono i requisiti necessari alla richiesta di asilo.
I numeri dei consensi
Secondo gli ultimi sondaggi Ipsos, quando le urne si chiuderanno, il partito di Babiš sarà indiscutibilmente il vincitore, accreditato al 32,2% dei consensi, con la coalizione liberal-centrista dell’attuale premier staccata al 21,5%, in forte calo rispetto alle precedenti consultazioni. Terzo partito dovrebbe risultare il partito di destra SPD con un buon 11,5%, tallonato dai popolari del partito STAN (guidato dall’attuale Ministro degli Interni) al 10,9%. I Pirati, usciti dal governo, sarebbero attorno al 7,6%, mentre la sinistra radicale sovranista di Stačilo! si attesterebbe al 7,1%. Ultimo tra i partiti oltre la soglia, il Partito degli Automobilisti, alleato di ANO, centrerebbe l’obbiettivo arrivando al 5,5%, mentre rimarrebbe fuori il partito Přísaha (Giuramento), a sua volta alleato di Babiš, fermo al 2,2%.
Numeri che, se confermati, stabilirebbero chiaramente un confine tra vincitori e vinti, con Babiš che potrebbe ottenere la fiducia dai due rami del Parlamento formando una coalizione con SPD (partito però fortemente esigente e poco incline a limare le sue battaglie più radicali) e Automobilisti (49,2% dei voti totali), mentre un eventuale cartello radunato attorno a Fiala si fermerebbe al 40%, data l’indisponibilità di Stačilo!, sigla fortemente euroscettica, a collaborare con l’attuale primo ministro. Se tali dati dovessero venire confermati, Babiš tornerebbe primo ministro per la terza volta, avviando però una difficile coabitazione con il presidente della repubblica, nonché ex capo di Stato Maggiore dell’Esercito Petr Pavel, indipendente ma vicino a Spolu, vincitore alle presidenziali del 2023 proprio contro l’uomo forte di ANO.
Un voto con una dimensione continentale
Come si può notare facilmente, nonostante i diversi gradi di integrazione europea dei vari paesi UE, le campagne elettorali cominciano ad assomigliarsi molto le une con le altre, con temi quali Ucraina, Green Deal, austerità fiscale e immigrazione a farla da padroni ovunque. Le prossime elezioni ceche saranno tuttavia di importanza cruciale per quanto riguarda la stabilità politica dell’Europa centrale e orientale proprio in virtù del ruolo da protagonista ritagliatosi da Fiala durante il suo quadriennio al potere. Leader nella produzione degli armamenti fin dai tempi dell’Impero Austro-Ungarico, il bacino industriale boemo costituisce uno dei primi fornitori di armi al governo ucraino, mentre Praga conduce da oltre due anni un’efficace opera di acquisto di armi di produzione sovietica presso numerosi paesi africani, indirizzandole poi verso Kiev: un attivismo che ha portato la Cechia a diventare uno dei principali (se non, forse, il più importante) fornitori di armi all’Ucraina tra i paesi dell’Unione Europea. Un’affermazione di Babiš sposterebbe quindi sensibilmente gli equilibri europei verso le posizioni di Budapest e Bratislava, rendendo l’Ucraina ancora più militarmente dipendente dall’amministrazione statunitense e dai partners extraeuropei (con la Corea del Sud a fare la parte del leone).
Altro capitolo dirimente saranno le relazioni con la Germania: Berlino è infatti nettamente il primo partner commerciale della Repubblica Ceca e l’influenza del paese teutonico su Praga è consistente; nonostante sia improbabile che il cancelliere Friedrich Merz, che pure si augura la vittoria di Fiala, intenda sacrificare sull’altare dell’ideologia i lucrosi rapporti economici con i vicini, è però altresì scontato che la Germania cercherà in ogni modo di ostacolare Babiš, probabile vincitore, dall’attuazione del suo programma. Pochi indizi, invece, per non dire nessuno, sugli auspici dell’amministrazione americana, anche se autorevoli esponenti di ANO si sono più volte dichiarati sostenitori dell’attuale inquilino della Casa Bianca.
Altissima, quindi, la posta in gioco, così come altissime saranno le responsabilità di colui che occuperà la poltrona di primo ministro sulle rive della Moldava. Berlino e Kiev (ma anche, per ragioni opposte tra loro, Varsavia e Budapest), saranno le cancellerie più interessate alle conseguenze delle consultazioni del prossimo ottobre, in una contingenza geopolitica dove la pace a Oriente sembra allontanarsi sempre di più, rispetto a quando, ancora pochi mesi fa, sembrava a portata di mano. Su tutti questi sviluppi, la Repubblica Ceca potrebbe influire molto, forse moltissimo, ma la parola spetterà ai suoi elettori.
Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.





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