Arrivato in sala (e subito svanito) Albatross il film ispirato alla vita del reporter di guerra Almerigo Grilz caduto, cinepresa in mano, mentre era impegnato a raccontare la guerra civile mozambicana nel 1987.

Il film su Grilz, esponente di primo piano del Fronte della Gioventù prima e del Movimento Sociale poi, rappresenta uno dei tasselli di quella operazione di offensiva culturale portato avanti dal governo guidato da Fratelli d’Italia, come testimonia la “prima” alla presenza del ministro Giuli.

Dopo le mostre (Tolkien e il Futurismo) e i francobolli (Sergio Ramelli e Marilena Grilli), arriva anche il momento del cinema con Albatross. Un’offensiva sul fronte cinematografico che al momento pare isolata.

Il film diretto e sceneggiato da Giulio Base pone quindi una duplice riflessione. Innanzitutto quella sul piano strettamente tecnico. Poi quella sul piano politico, ovvero se l’auspicata “controegemonia” possa effettivamente nascere da iniziative come queste.

Un bicchiere mezzo pieno, considerando che come pellicola il film Albatross è abbastanza riuscito. Un bicchiere mezzo vuoto, dal punto di vista dell’offensiva culturale, forse per mancanza di coraggio e di coordinamento. O forse perché semplicemente ci si è accontentati di arrivare in sala.

Albatross di per sé è un’opera venuta bene, nel complesso, in linea con quei biopic all’italiana che da un lato tentano da distaccarsi dal consueto binomio commedia all’italiana contemporanea/dramma di periferia & denuncia sociale ormai da decenni largamente maggioritari fra i prodotti cinematografici nostrani. Ma che allo stesso tempo non riescono ad abbandonare alcune tendenze ormai interiorizzate dal nostro cinema.

Biopic all’italiana

Tecnicamente Albatross ricade nelle operazioni alla Race for the glory: Audi vs. Lancia, 2024, sul Mondiale di Rally del 1983, o Il Nibbio, sulla liberazione della giornalista Sgrena in Iraq e la conseguente uccisione dell’agente dei servizi Nicola Calipari. Operazioni che tentano di darsi un taglio internazionale, senza mai riuscirvi del tutto. Non tanto per limiti tecnici o cinematografici di per sé, ma per aspetti legati alla sceneggiatura, quasi che il cinema italiano non possa mai distaccarsi da certi cliché.

Lo stesso Albatross promette bene con un incipit ben costruito: il buio dei titoli di testa e i cori fuori campo degli slogan delle opposte fazioni in una manifestazione universitaria del 1977: “Fascisti carogne tornate nelle fogne” VS. “Boia chi molla è il grido di battaglia”.

Un semplicistico ma efficace “rossi & neri” all’università di Trieste, in uno scontro che per Giulio Base è posto in una chiave tra il cavalleresco e la bonaria scazzottata alla Bud Spencer e Terence Hill. Taglio pacificatorio più che realistico, nell’ideale favore che fa Almerigo Grilz, giovane capo del Fronte della Gioventù nei confronti del rivale Vito Ferrari esponente di punta della FGCI locale. Almerigo aiuta Vito a fuggire, ma messo in salvo il rivale finisce poi arrestato dai celerini.

Se gli scontri sono raccontati da una prospettiva pacificatrice e irenistica, Base non fa sconti all’immaginario dell’epoca. Il look di Grilz e dei giovani del Fronte della Gioventù è filologico e cinematograficamente ricalca quello dei sanbabilini come codificato in San Babila ore 20:00: Un delitto inutile. Film di denuncia del 1976 di taglio para-neorealista, probabilmente tra le opere meno riuscite di Carlo Lizzani.

Un Vito Ferrari ormai anziano, interpretato da Giancarlo Giannini, ricambierà il favore onorando il ricordo di Grilz in un’infuocata riunione dell’ordine dei giornalisti a Trieste ai giorni nostri. Il personaggio di Ferrari è inventato, ma c’è qualche punto di contatto con la figura di Tony Capuozzo.

Albatross: un film su due linee temporali

Fin da subito in Albatross si alternano quindi i due piani temporali: la vita di Grilz e la nascita dell’agenzia di stampa che dà il titolo al film, e il ritorno a Trieste di Vito, i ricordi di gioventù, e la riunione dell’ordine dei giornalisti.

Il piano temporale contemporaneo risente di un certo sentimentalismo da fiction all’italiana. Perché non c’è solo il rispetto professionale tra i due rivali, ma anche la vicenda di Monica, fidanzata di Grilz che finirà in sposa al rivale Vito. Elemento di sceneggiatura totalmente fantasioso, che darà spazio alle sequenze più scontate e meno riuscite. Insomma, pletorico, inutile e fastidioso.

Là dove Albatross funziona è nel racconto di Grilz come un sognatore che viaggia per essere al centro della notizia. Giulio Base costruisce una lunga serie di carrellate sui viaggi di Grilz per l’Europa prima e sui fronti di guerra poi. Tutto (a parte un paio di esterne) girato in Puglia, che diventa una sorta di immaginifico set dove ricostruire Afghanistan, Cambogia, Iran, Etiopia, Birmania, Mozambico, e, persino, il circolo polare artico!

La Puglia e la “magia del cinema”

Incredibilmente la trovata di raccontare il mondo attraverso scorci pugliesi funziona. Almeno fintanto che non si vedono muretti a secco, dei quali non si ha notizia di una qualche variante locale mozambicana. Ma il fronte della guerra Iran-Iraq e le guerre dimenticate dell’Indocina trovano uno scenario credibile nelle ambientazioni pugliesi, anche se sicuramente si poteva osare di più con la fotografia che rimane su un costante “apri tutto” alla Boris. Luminosa, ma uniforme.

Si compensa con la regia, pur senza virtuosismi. I segmenti sulle guerre dimenticate sono ben differenziati tra loro e non mancano movimenti di macchina per rendere meno didascaliche le scene di dialogo.

Resta un limite la “coreografia” delle scene di guerra. Se i costumi sono in generale più che accettabili, il problema è che tutti gli scontri si risolvono con gruppi di miliziani che armati dell’AK-47 d’ordinanza si sparano in piedi con postura da tiro a segno a distanza ravvicinata. Più simile al fronteggiarsi in una partita di calcetto che a un vero scontro a fuoco. Le sequenze legate al conflitto Iran-Iraq e alla morte in Mozambico di Grilz potevano tentare qualcosa di più.

Dettagli che comunque non influenzano l’effetto “magia del cinema”. E persino il Circolo Polare Artico in Norvegia girato in Puglia non stona. A esser sinceri, semmai, è che c’è troppa neve!

Limiti narrativi

Il limite del film è un altro. Se gli inizi e i viaggi di Grilz funzionano (al netto dei momenti sentimentali che ingranano solo quando si prende la piega della commedia) il problema è che troppo della vicenda da reporter di Grilz è demandata all’arringa di Giannini in memoria dell’amico e rivale all’ordine dei giornalisti.

Arringa che, per quanto ben intervallata dalle scene di Grilz nelle varie guerre dimenticate, rischia diventare uno “spiegone” fine a sé stesso. Non si prova a raccontare come negli anni’ 80 un gruppo di reporter italiani arrivasse a vender servizi a network francesi, inglesi e statunitensi.

Il fatto che l’Albatross Press Agency fondata da Grilz con Gian Micalessin e Fausto Biloslavo fosse una realtà con contatti internazionali si limita a una festa a Londra dove non si sa bene chi stacca un assegno a Grilz e soci. E un breve segmento dove si mostra un’intervista a Grilz negli studi di Rai Due.

Il problema è dunque che in Albatross si racconta molto ma si mostra poco, venendo meno alla prima regola di una narrazione efficace.

Certo l’arringa di Giannini conduce a un’altra delle belle trovate del film. Quella che ha destato maggiore irritazione tra i benpensanti. Una irritazione mediatica che non si vedeva dai tempi de La Grande bellezza di Sorrentino dove il personaggio di Jep Gambardella interpretato Servillo rispondeva per le rime alla “scrittrice di partito”.

Il giornalista militante

In Albatross il tentativo di pacificazione cercato da Giannini vede la risposta del “giornalista militante”, così presentato nei titoli di coda. Figura interpretata dallo stesso Giulio Base, che snocciola con fare offeso il dossieraggio contro Grilz assemblato negli anni dagli esponenti della sinistra triestina. Che riducono la sua attività di reporter al mero fiancheggiatore e narratore  delle fazioni antisovietiche (ma senza citare la CIA).

Sequenza divertente e ben costruita, dove Giulio Base idealmente chiude il cerchio con un altro delle sue interpretazione da “cattivissimo maestro”, ovvero il capo delle Teste rasate, il film di Claudio Fragasso del 1993. Film di denuncia e panico morale interpretato da Gianmarco Tognazzi, e ricordato solo per l’interpretazione fuori dalle righe dello stesso Base e la colonna sonora di Bennato e Cammariere.

Trovata che funziona, ma che alleggerita nel monologo di Giannini avrebbe potuto raccontare anche altro e offrire una lettura più sfaccettata del lavoro di Grilz come reporter. La stessa Wikipedia riporta infatti che Almerigo Grilz coprì anche la lotta del New People’s Army il fronte insurrezionale del Partito comunista filippino, veri guerriglieri comunisti che nel 1989 assassinarono anche il colonnello dell’esercito USA James N. Rowe.

Grilz su Soldier of Fortune

A commissionargli il servizio fu l’NBC e il suo reportage dalle Filippine finì anche nel gennaio 1987 su Soldier of Fortune, periodico statunitense di successo tra gli anni ’70 e ’80. Periodico che inizialmente fu coinvolto nel reclutamento dei mercenari per la Rhodesia, e poi nei Contras controrivoluzionari nel Nicaragua sandinista.

Dettagli che avrebbero permesso di dare un taglio più internazionale e più complesso alla figura di Grilz. Sottolineando anche come la tragica conclusione della sua carriera di reporter accanto ai guerriglieri mozambicani anticomunisti della RENAMO (inizialmente nati come proxy rhodesiano, poi sovvenzionati dal Sud Africa dell’Apartheid) fosse stato più un caso che un’affinità ideologica.

Pure, al netto di sentimentalismi e “spiegoni”, risulta sicuramente più riuscito e cinematografico rispetto a quei film che sul Manifesto vengono spregiativamente ascritti al genere del Foibe Movie. Film che peccano di costruzioni enfatiche e troppe ingenuità.

Il bicchiere mezzo vuoto

Se il film Albatross è un bicchiere mezzo pieno, certamente così non è per la “controegemonia”. Il film è arrivato in sala a luglio, non proprio il periodo ottimale per gli incassi di film italiani.

Forse non si poteva osare di chiedere sale durante la stagione autunnale, ma se si fosse voluto sfidare l’egemonia culturale, quello sarebbe stato il momento propizio. La stagione perfetta per i campioni d’incassi italiani, complice la possibilità di portare scolaresche in sala. Studenti che al netto della bontà cinematografica dell’opera, spesso diventano perfette “truppe cammellate” per gonfiare un botteghino.

Probabilmente pochissimi docenti delle superiori avrebbero osato l’inosabile, ovvero mettersi contro colleghe e colleghi per portare una scolaresca a vedere Albatross, ma sarebbe stato molto divertente assistere (e magari cavalcare) alle polemiche attorno ai casi che fossero ascesi agli onori delle cronache.

Certo è che l’incasso della prima settimana è stato impietoso (prendendo i dati da Box Office Mojo all’opening Albatross ha realizzato 21.423 €, mentre i due biopic prima citati usciti rispettivamente a marzo 2024 e marzo 2025 Race for the Glory e Il nibbio hanno totalizzato all’apertura rispettivamente 611.588 € e 356.247 €).

Anche tenendo conto del biglietto a metà prezzo a 3,50 € cambia poco. Nei fatti, al di là della prima con le autorità per Albatross è mancata anche la promozione. Sia la buona che la cattiva pubblicità. Anche perché, come ha nuovamente dimostrato la Mostra del Futurismo, campione d’incassi nonostante le decine di articoli su quanto la mostra fosse “non all’altezza e/o politicizzata”, non esiste cattiva pubblicità. “Bene o male purché se ne parli”. E invece nel caso di Albatross la cattiva pubblicità è arrivata, ma troppo tardi, quando il film veniva già tolto dalle sale.

Forse sarebbe bastato un dietro le quinte di Albatross, un “making of” dove si racconta come la Puglia abbia interpretato l’Indocina, l’Afghanistan e il circolo polare artico per diventare virali e far parlare del film: promozione del territorio e delle capacità delle maestranze cineteatrali italiane per spingere la pellicola. Invece niente.

Troppo poco, troppo tardi e troppo in ordine sparso

Ultimo elemento sul piano culturale dell’operazione: Almerigo Grilz è una figura da recuperare solo in quanto santino? O c’è un interesse in prospettiva dietro al reporter delle guerre dimenticate? Il tema è sicuramente interessante sia nel contesto delle guerre attuali e del loro racconto mediatico.

Ne dà inevitabilmente atto anche chi contesta l’opportunità del film sul piano politico e morale. Come fa il podcaster che nel criticare l’operazione di “santificazione di un fascista triestino” contesta le “macchinazioni culturali di questa maggioranza, sul tentativo assurdo di far digerire al pubblico un personaggio e un film che non ha nessun senso”, ma poi poco prima precisa nel riassumere la vita di Almerigo Grilz “copre conflitti in giro per il mondo spesso legati alla decolonizzazione, visti gli anni, muore durante uno di questi conflitti in Mozambico. Chissenefrega. Direi io.

Eppure in anni in cui la decolonizzazione è diventato un tema centrale della sinistra liberal, cosa ci sarebbe più interessante di un “fascista” che la raccontava?

Se, come suggerisce lo stesso film, Almerigo Grilz è da riscoprire come testimone di quella fase dei conflitti mondiali (e di cui anche la sinistra che contesta il film e la sua opportunità ne deve dar conto nella sinossi) allora era d’obbligo accompagnare l’operazione cinematografica con un bel cartonato con foto e fotogrammi dei suoi reportage. I libri sono strumenti fondamentali, checché ne dica qualche ex-sovranista dalle pagine dell’HuffPost nel contestare la doverosa presa di posizione governativa contro i manuali scolastici faziosi.

Oggi, a parte il fumetto con la prefazione di Tony Capuozzo non c’è nulla di immediatamente disponibile. Né il volume Gli occhi della guerra curato da Fausto Biloslavo nel 2007, né La marcia dei ribelli raccolti dei diari e dei disegni dell’ultimo anno di vita di Grilz pubblicato nel 2023. Unica eccezione un nuovo documentario dedicato alla figura del giornalista presentato a Palazzo Madama lo scorso giugno.

Un’operazione culturale, oggi più che mai, o è a 360° gradi o non lo è. Se certamente questo è il primo governo di Centro-Destra dai tempi della discesa in campo di Berlusconi ad arrivare a Palazzo Chigi con un’idea sul piano culturale, finora sul piano operativo si è visto ancora troppo poco. Proprio per questo Albatross rimane un’operazione e un’occasione mancata.

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano(Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia(Eclettica, 2020).