L’origine sovietica dell’attuale conservatorismo russo
Attualmente una delle tesi meno sostenute circa la natura della Russia è quella della sua europeità. A livello interno, l’opposizione all’“Occidente collettivo” ha rinforzato nella società, nelle politica e tra gli intellettuali interpretazioni che possono essere definite “neosovietiche” (si pensi all’eurasiatismo dughiniano). L’analisi di queste teorie permette di descrivere l’odierno e assai variegato panorama conservatore russo che comprende nostalgici sovietici, monarchici, filoimperiali, ortodossi “atomici” (fondamentalisti), eurasiatisti e rossobruni.
La tematica conservatrice accomuna quindi molte formazioni e partiti di destra e sinistra. Nella relazione tenuta presso la IfS-Winterakademie di Schnellroda nel febbraio 2024 intitolata Il panorama spirituale e intellettuale del conservatorismo russo (Rußlands geistige Landschaft — fünf Typen, qui si è fatto riferimento alla versione russa dello scritto Duchovno-intellektual‘nyj landšaft rossijskogo konservatizma: pjat‘ tipov pubblicata in italiano su “Il Borghese” nell’ottobre 2024) il ricercatore russo Filipp Fomičёv distingue e descrive i gruppi di sinistra-conservatrice o «sinistra patriottica» (conservatori sovietici, stalinisti ortodossi, «nacboly», ossia nazional-bolscevichi), i monarchici filoimperiali sostenitori dell’origine divina del potere degli zar («čarebožcy»), i tradizionalisti eurasiatisti (come Aleksandr Gel‘evič Dugin), il movimento nazional-democratico dei cosiddetti «europei russi» e, infine, i «conservatori illuminati».
A ciò si aggiunga che insieme alla società civile tutte queste formazioni, ad eccezione dell’ultima, sono accomunate da un forte risentimento antioccidentale che si spiega con il complesso di inferiorità autocreatosi nel tardo periodo sovietico che ha condotto all’esterofilia degli anni ‘90 e, appunto, con la fine dell’URSS e l’effettiva “catastrofe geopolitica” per la Russia. Esse non fanno altro che riapplicare gli argomenti, le logiche e gli approcci sovietici sostituendo il marxismo leninista con, rispettivamente, il mito di Džugašvili (Stalin) come padre della patria e del popolo russo, un fondamentalismo ortodosso dai tratti fortemente internazionalistici, la versione eurasiatizzata del concetto di katechon abbinato a un tradizionalismo mistico-messianico antioccidentale e, infine, un’idea piuttosto statica e novecentesca di comunità e popolo.
L’URSS era uno Stato nazionale russo?
Il denominatore comune a tutti questi giudizi e sentimenti, l’“inconscio collettivo” del paese, è espresso dall’interpretazione dello stato sovietico come stato nazionale (russo). In questo modo, l’effettivo carattere antirusso del bolscevismo non solo è negato, ma è addirittura “nazionalizzato”. L’ideologia socialista viene presentata come un elemento distintivo ora dei popoli slavi ora dei popoli ortodossi (come se le due cose coincidessero) e ricondotta piuttosto arbitrariamente alla tradizione del pensiero slavofilo e delle controversie teologiche tra ortodossia e cattolicesimo per mezzo dell’applicazione di teorie eurasiatiche novecentesche e contemporanee. L’internazionalismo sovietico è “russificato”, essendo addotto come argomento a favore dell’unicità mistica e messianica del popolo russo e della sua missione nel mondo.
La rilevanza e la complessità dell’attuale tentativo di spiegare in maniera forzatamente unitaria e omogenea periodi storici e sistemi politico-giuridici in realtà incompatibili è dimostrata dal fatto che, da un lato, il presidente della Federazione russa Vladimir Putin non perde occasione per ribadire che l’Ucraina come stato indipendente nei confini attuali è stata creata dalla prima generazione di bolscevichi mentre, dall’altro, nel paese sono in aumento le installazioni di statue raffiguranti Ul‘janov (Lenin) e, nella maggior parte dei casi, Džugašvili. Inoltre, l’antisovietismo e l’anticomunismo sono intesi da tutti, non solo in Russia, come manifestazioni di “russofobia”, ossia di un atteggiamento negativo che non si limita solo al rispettivo giudizio dell’operato politico della Federazione russa. L’idea che l’URSS abbia finito per costituire uno Stato nazionale è alla base di un particolare tipo di sentimento nazionale molto attuale, il “patriottismo sovietico” o, nelle sue forme più estreme, il cosiddetto “nazionalismo rosso”. Al netto dei tentativi delle formazioni conservatrici sopraelencate, queste idee costituiscono delle contraddizioni in termini dato che intendono come filonazionale (ovverosia patriottico) ciò che in realtà è internazionalista.
La problematicità di queste stratificazioni culturali a suo tempo fu denunciata dal filosofo religioso russo Ivan Aleksandrovič Il‘in nel suo articolo del 1947 L’URSS non è la Russia (SSSR — ne Rossija): «Il patriota sovietico è fedele al potere, non alla patria, al regime, non al popolo, al partito, non alla nazione» (p. 54, è citata l’edizione pubblicata dalla casa editrice “Šipovnik” nel 2024, il testo in generale è disponibile solo nell’ortografia classica della lingua russa), infatti «il “patriottismo sovietico” è qualcosa di distorto e ridicolo. È un patriottismo della forma statuale. Il “patriota sovietico” non è fedele alla sua vera Patria (la Russia) né al suo popolo (il popolo russo). (…) Chiediamoci ancora: cosa significa l’espressione “sono un patriota monarchico”? Non significa nulla; è un balbettio politicamente insignificante. Ha senso dire: sono un patriota francese e, al contempo, sono repubblicano» (p. 53, tutte le traduzioni dal russo sono dell’autore dell’articolo).
Essendo stato il primo teorico della differenza sostanziale tra URSS e Russia, si comprende perché oggi la figura di Il‘in sia spesso al centro del dibattito pubblico russo e, più raramente, occidentale. Da un lato, le semplificazioni mediatiche russe ribadiscono l’accusa sovietica di nazifascismo (che riduce a “neri” tutti i “bianchi”, ossia coloro i quali anche dopo essere emigrati continuarono a criticare la nuova direttiva del paese) mentre, dall’altro, alcuni intellettuali come Dugin ripropongono la sua filosofia in modo apparentemente alternativo e innovativo dopo averla eurasiatizzata (la stessa cosa vale per il cristianesimo ortodosso e l’eredità bizantina): Il‘in quindi non sarebbe né fascista né nazista, essendo un pensatore dell’identità russo-eurasiatica antioccidentalmente intesa. Infine, i media occidentali lo chiamano il «filosofo di Putin», spesso adducendo a ragione di tale affermazione appunto il primo giudizio circa la sua figura. In ogni caso, le osservazioni il‘iniane sul “patriottismo sovietico” sono assai rilevanti, soprattutto se si considera l’importanza che la tesi della continuità e dell’affinità esistente non solo tra URSS e Federazione Russa, ma anche tra queste due e l’Impero russo riveste per l’autocoscienza nazionale.
L’europeità della Russia, l’«indifferenza della civiltà» e il «Grande Nord»
In modo più o meno esplicito e coerente tutti gli approcci conservatori sopramenzionati intendono la Russia come uno Stato-Civiltà (Gosudarstvo-Civilizacija) e interpretano la storia come un susseguirsi di civiltà (sulla base delle teorie slavofile di N. Ja. Danilevskij e di quelle di Oswald Spengler). A questo proposito, merita di essere presentata al lettore italiano una posizione minoritaria del dibattito interno russo espressa dalle teorie dell’«indifferenza della civiltà» (civilizacionnое ravnodušie ) e dell’«Illuminismo conservatore» (Konservativnoe Prosveščenie) del noto filosofo e politologo Boris Vadimovič Mežuev. Egli sostiene che vincolare costantemente lo Stato (la «civiltà») al concetto di «cultura» spesso complica la gestione delle principali sfide geopolitiche del paese. Proprio per questo, la civiltà dovrebbe essere distinta dalla cultura: in altre parole, la consapevolezza della natura della cultura russa (europea, occidentale, eurasiatica o asiatica che sia) non dovrebbe influire sui processi decisionali e sulle modalità di intrattenere relazioni strategiche con i diversi partner geopolitici. Il fatto che la cultura russa faccia parte di quella europea non comporterebbe il senso di risentimento sopraccennato ed oggi tragicamente attuale. Inoltre, questa distinzione permette di disgiungere europeità ed eurocentrismo e quindi di rifiutare tutti quegli argomenti che riducono la prima al secondo: eccedendo l’eurocentrismo, l’europeità della Russia (o della sua cultura) sopravvive alla fine dell’altro, riconfigurandosi.
Dato che questo approccio pone come valore e principio primario la facilitazione del perseguimento degli obiettivi geopoliticamente strategici, la questione della validità della separazione della «civiltà» dalla «cultura» non è indagata. Nonostante le posizioni sostenute da Mežuev in ambito “culturale”, questa operazione in realtà è effettuata anche da alcuni autori eurasiatisti che in questo modo possono accettare (parzialmente) la tesi dell’europeità della cultura russa distinguendola però dallo Stato, storicamente e geograficamente eurasiatico. Rifacendosi al concetto statunitense di paleoconservatorismo, Mežuev sostiene che non sia conveniente impegnarsi più di tanto nel riavvicinamento all’Europa perché le conseguenze del conflitto ucraino e la presa del liberalismo di sinistra, ossia del progressismo, nel Vecchio Continente rendono tale compito estremamente complesso. Tuttavia, queste teorie non tengono sufficientemente conto del fatto che la Federazione russa, al di là dell’attenzione rivolta alla tematica dei valori tradizionali, è in realtà molto più “progressista” dei principali paesi europei occidentali (la maternità surrogata è legale, per esempio) e che il progressismo odierno è un prodotto culturale statunitense. Ad ogni modo, è bene sottolineare che sulla base dei comuni valori classico-cristiani USA, Europa e Russia sono intese come uno spazio culturale omogeneo. L’impostazione mežueviana costituisce una delle formulazioni più chiare di un atteggiamento culturale condiviso in realtà da molti intellettuali e politici russi: basti menzionare l’idea del “Grande Nord” (Velikij Sever) proposta il 23 settembre 2023 da Vladislav Surkov sul portale del politologo Aleksej Česnakov “Aktual‘nye Kommentarii”.
Ci sarà il Grande Nord: Russia, Stati Uniti ed Europa formeranno uno spazio socioculturale comune. Un unico cluster geopolitico settentrionale tripartito. L’esistenza di un “Nord globale” è già motivata dall’uso sempre più frequente del termine “Sud globale”. Ma non può esserci sud senza nord (…). Il Grande Nord non è né un’utopia né una distopia, non sarà né un idillio né un luogo cupo. Sarà pieno di contraddizioni e, allo stesso tempo, animato dall’idea unificante di una leadership collettiva. Le tre più grandi civiltà del Nord – quella russa, quella europea e quella americana – nel loro sviluppo politico traggono ispirazione dalla Pax Romana.
Anche in questo caso, la questione non è affrontata tanto dal punto di vista della formazione di strutture politiche sovranazionali unitarie nel prossimo futuro, quanto da quello culturale sul lungo termine. Gli intellettuali e le personalità pubbliche che condividono tale impostazione costituiscono una minoranza poiché essa implica una visione critica e un ridimensionamento delle letture sovietiche che insistono su concettualità novecentesche profondamente ideologizzate e anacronisticamente applicate alla storia e alla cultura del paese. Uno studioso molto attento a questo tipo di meccanismi è lo storico Sergej Vladimirovič Volkov che nella sua opera Perché la Federazione russa non è la Russia (Počemu RF — ne Rossija) dimostra l’infondatezza e la parzialità di questa operazione teorica dato il suo carattere fortemente antioccidentale o, più precisamente, antieuropeo. Secondo la vulgata comune, lo scontro in atto tra Russia e coalizione occidentale esprimerebbe una costante della storia del paese, eternamente minacciato e/o in lotta contro i diversi “Occidenti” susseguitisi nel corso dei secoli (cattolico-latino, illuminista-positivista, nazionalista-corporativista, liberale-capitalista e, oggi, progressista-mondialista). Così, la Federazione russa corrisponderebbe a quella che nel dibattito russo si è soliti definire la «Russia nazionale» (nacional‘naja Rossija) o «Russia storica» (istoričeskaja Rossija), vale a dire alla realtà politica e culturale prerivoluzionaria: essendo la prima l’erede de iure e de facto dell’URSS, tale argomento dimostrerebbe la continuità tra i tre periodi storici appena richiamati e le rispettive compagini statali. Volkov critica questa lettura, notando che nel corso della sua storia prerivoluzionaria la Russia non si è mai trovata da sola contro una coalizione composta esclusivamente da paesi europei: «l’unico caso in cui la Russia ha combattuto contro paesi europei senza alleati europei è stata la “guerra d’Oriente” (di Crimea) la quale non era una guerra europea, trattandosi dell’ennesimo conflitto russo-turco in cui si sono intromessi gli inglesi e i francesi» (p. 31, è citata l’edizione pubblicata dalla casa editrice moscovita “Izdatel‘stvo Fonda «OSIJANNAJA RUS‘»” nel 2018).
Gli esponenti di questo filone di pensiero dai contorni molto labili pongono l’accento sulla comunanza delle sfide interne che caratterizzano USA, Europa e Russia indipendentemente dalla guerra in corso e che a loro parere sono risolvibili attraverso l’applicazione di un riformismo conservatore (si pensi alla tematica migratoria). Nella relazione già citata Fomičёv precisa che i sostenitori della prospettiva mežueviana e, più in generale, di quella del “conservatorismo illuminato” (o della “modernità conservatrice”) «hanno il maggiore accesso alle risorse amministrative e materiali dello Stato e contatti non indifferenti nell’ambiente politico, nonostante non siano rappresentati in organizzazioni politiche e la loro attività nello spazio pubblico sia minima (a causa di fattori esterni)» (pag. 13).
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Sacha Cepparulo è nato nel 1996 a Magenta (MI). Ha studiato Filosofia e Letteratura russa a Milano e San Pietroburgo, dove risiede tuttora. Da anni collabora con diverse testate giornalistiche e riviste sia italiane sia russe tra cui Limes, Studi Evoliani, Il Borghese, Dimensione Cosmica, STOL. Ha tradotto dal russo il romanzo Ul‘tranornal‘nost‘ e ha pubblicato un libro, La Russia allo specchio.
Non sono un filosofo e ne uno storico, ma un tecnologo attento alle attuali problematiche politiche irrisolte e che invece potrebbero avere un impatto positivo sull’economia mondiale.
a)L’europeità della Russia, l’«indifferenza della civiltà». Sono convinto che la guerra ucraina-russa è irragionevole nata da irragionevoli reciproci estremismi.
b)L’ininfluenza della CO2 sul cambiamento mondiale del clima.
Su questi due punti importanti il centro culturale Machiavelli deve aprire stimolanti ed importanti dibattici