Manca ormai solo una manciata di giorni all’inizio del Conclave, previsto per il 7 maggio, quando 134 cardinali elettori saranno chiamati ad eleggere il 267° successore di Pietro in qualità, per i credenti, di vicario di Cristo e, per chi non crede, di mero sovrano dello Stato della Città del Vaticano.

Fin dalla notizia della morte di papa Francesco, e in realtà, più sommessamente, fin dai tempi del lungo ricovero che ha di poco preceduto la sua dipartita, speculazioni e indiscrezioni sul nome del possibile successore si sono affastellate più volte lungo le colonne dei mezzi d’informazione. Naturalmente la domanda chi sarà ne contiene implicitamente un’altra, ovvero quella che vorrebbe arrivare a capire come sarà il prossimo vescovo di Roma. La domanda che si pongono i media, fin dal 3 giugno 1963, data della morte di papa Giovanni XXIII, in pieno Concilio Vaticano II, è sempre la stessa: sarà progressista o conservatore? I due aggettivi meritano il corsivo poiché, come tutti i termini del lessico politico, essi non possono e non devono essere perfettamente esaustivi anche in ambito ecclesiastico. Generalmente, tuttavia, si ritiene che un papa progressista sia più in linea con un’applicazione rigorosa delle riforme del Concilio Vaticano II mentre un papa conservatore mantenga sempre un occhio di riguardo verso la tradizione cattolica precedente, pur senza tornare radicalmente indietro.

Progressisti o conservatori? Politici o spirituali?

Analizzando la situazione da questo punto di vista, potremmo dire che il ventunesimo secolo, che fino ad ora ha visto solo tre papi, annovera tra di essi un progressista (Francesco), un conservatore (Benedetto XVI) e una figura che ha cercato, a modo suo, di incarnare entrambe le correnti, il papa polacco Giovanni Paolo II, con il suo lungo pontificato di oltre ventisei anni. Come già detto, la distinzione tra progressisti e conservatori non è completamente esaustiva e, nel caso dei papi, ne andrebbe affiancata un’altra, ovvero quella tra politici e “spirituali”. Un papa politico sarebbe, come ovvio, più sensibile ai temi sociali e alla grande politica internazionale (in particolare per quanto riguarda la pace) mentre un papa spirituale, come certamente lo fu Benedetto XVI, accentuerebbe le sue prerogative più strettamente religiose e teologiche. Naturalmente anche questa definizione rischia di essere aleatoria: non è infatti detto che un papa politico non possa essere anche conservatore (si veda per esempio l’anticomunismo di Giovanni Paolo II) né che un papa maggiormente spirituale non possa essere anche progressista. Diversamente dai parlamenti degli Stati, il conclave è infatti un’assemblea di indipendenti, una somma di sfumature e identità personali che può certamente assorbire molto dal mondo e dalla cultura circostante, ma che risponde tuttavia a logiche diverse da quelle ideologiche.

L’eredità di Giovanni Paolo II

Nonostante quest’ultima specificazione, tuttavia, è possibile identificare delle tendenze generali, delle quali è importante essere a conoscenza per farsi un’idea del possibile pontefice eletto. Prima di fare questo è necessario però considerare un elemento molto importante e spesso, a giudizio di chi scrive, non considerato: la Chiesa Cattolica di oggi, conclave compreso, non si è mai del tutto staccata dall’eredità di Wojtyła. Anche se l’illustre Papa polacco, peraltro assurto agli onori degli altari, ha lasciato questa terra da ormai vent’anni, è innegabile come la Chiesa Cattolica sia immersa ancora nel clima creatosi nel mondo cattolico durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II.

In qualità di effettivo successore di Paolo VI, ovvero del Papa che aveva concluso il Concilio Vaticano II (il pontificato di Giovanni Paolo I durò, come è noto, solo 33 giorni), l’ex Arcivescovo di Cracovia si trovò, durante tutto il suo lungo pontificato, a dover formare nel vero senso della parola la nuova chiesa postconciliare, nella quale ancora oggi i cattolici si trovano. Alla morte di Giovani Paolo II vi era unanimità di vedute, tra i cardinali, sul fatto che occorresse un papa che agisse nella scia del defunto. Entrambi i principali papabili, sia il cardinale Ratzinger sia il cardinale Bergoglio, si proponevano di agire in continuità con il predecessore: il tedesco dal punto di vista spirituale e teologico, l’argentino da un punto di vista più sociale e progressista. Come è noto dalle molteplici indiscrezioni, l’ex Arcivescovo di Buenos Aires sfiorò l’elezione già nel 2005, quando, di fronte ad uno stallo che appariva insolubile tra conservatori (in lieve vantaggio) e progressisti, il porporato argentino preferì invitare i colleghi ad accettare Ratzinger come papa in modo da evitare una spaccatura nel conclave. La vicenda mantenne però “calda” la candidatura di Bergoglio, peraltro di nove anni più giovane rispetto all’anziano neoeletto. Nel 2013, con la poco trasparente abdicazione di Benedetto XVI dopo otto anni di pontificato certamente conservatore ma non reazionario, Bergoglio tornò in gara e fu eletto senza grossi rivali, complice anche il disorientamento dei ratzingeriani a causa dell’abdicazione del predecessore, fatto inedito da sei secoli.

Un papato di riconciliazione?

Per quanto ogni possibile battezzato di sesso maschile possa teoricamente diventare papa, la tradizione ha ormai cristallizzato la consuetudine per cui il nuovo papa viene sempre eletto tra i cardinali elettori presenti in conclave. Questo elemento, unito al limite di ottant’anni per partecipare alle votazioni, stabilito dalla costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, fa sì che molto difficilmente possa essere eletto un cardinale ultraottantenne, e dunque non presente al conclave. Scorrendo la lista dei conclavisti scopriamo che, dei 134 che saranno presenti a Roma per eleggere il nuovo papa, 108 sono stati creati da papa Francesco, 21 da Benedetto XVI e 5 da Giovanni Paolo II. Sono perciò solo cinque i cardinali creati dal Papa polacco, ma, come abbiamo visto, nessuno degli elettori è stato creato cardinale da un papa ostile o estraneo al giovannipaolismo. Questa precisazione è essenziale per capire come mai è probabile che i cardinali andranno, ancora una volta, alla ricerca di una figura simile all’Arcivescovo di Cracovia, e molte indiscrezioni sembrano confermarlo. Non è infatti certo, come molti si affrettano a sostenere, che il successore di Bergoglio sarà necessariamente un bergogliano. Gran parte di coloro che affermano questa ipotesi sostengono che ciò sarebbe vero in virtù del fatto che Francesco avrebbe nominato la maggior parte dei cardinali votanti, il che è certamente vero, così come lo è il fatto che questa eventualità è pressoché la norma nella storia della Chiesa, senza che ciò abbia impedito l’elezione di papi di orientamento diametralmente opposto rispetto ai propri predecessori (è il caso, ad esempio, del conclave del 1903, chiamato ad eleggere il successore del papa “sociale” Leone XIII, autore della celebre enciclica Rerum Novarum, e che elesse invece il fortemente conservatore Pio X, nonostante tutti i cardinali presenti, tranne uno, fossero stati creati tali proprio da Leone XIII).

Un’eredità divisiva

Indipendentemente da come lo si giudichi, il pontefice appena deceduto ha lasciato dietro di sé profonde divisioni. Malgrado Francesco non abbia effettivamente cambiato nulla, nel tradizionale magistero della Chiesa Cattolica, diverse sue prese di posizione sono risultate, per il popolo cattolico, divisive, talvolta quasi scandalose: posizioni che hanno portato quattro cardinali (Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner) ad esortare Francesco a districare i celebri dubia, perplessità di natura dottrinale in merito all’esortazione apostolica Amoris Laetitia, contenente vari passaggi ambigui su divorzio e famiglia. Un documento, quello dei dubia, senza precedenti, a cui si associarono oltre trenta tra vescovi e cardinali, in particolare nordamericani. Se però, dubia o non dubia, la dottrina è rimasta intatta, non si può dire lo stesso invece per la sensibilità di molti credenti, come riconosciuto anche da molti prelati considerati abitualmente in odor di progressismo. L’idea di papa Francesco di una chiesa vicina “alle periferie” e ai “lontani” (cioè ai fedeli delle altre religioni e agli atei) trova ancora molto spazio tra i cardinali e nella Chiesa, ma prevale la sensazione dell’urgenza di una riconciliazione, un’urgenza suffragata dal dato per cui la grande apertura di papa Francesco non si è tradotta in un arresto del declino della fede cattolica, quanto piuttosto nel suo contrario: l’America Latina, un tempo serbatoio di fedeli e vocazioni, sta passando in massa al protestantesimo evangelico, e l’Africa Australe sembra avviata sulla stessa strada (il Mozambico, tra i primi paesi africani ad essere evangelizzati dai missionari portoghesi, vede da pochi anni una maggioranza relativa di protestanti evangelici e pentecostali), mentre l’Asia continua a stentare; quanto all’Europa, la situazione è nota.

Piazze piene, chiese vuote

Se Wojtyła, con il suo profondo misticismo mariano, e Ratzinger, con la sua dotta cultura teologica di ispirazione renana, furono percepiti, a ben ragione, come papi dotati di un forte carisma spirituale, lo stesso non è stato per Bergoglio, che più che un papa è sempre sembrato (e ha sempre voluto sembrare) un semplice parroco di provincia, anzi, di periferia. Mai come negli ultimi tredici anni il papato è stato sommerso di applausi e contumelie da quello che nel gergo ecclesiastico è definito come mondo, eppure mai come oggi le chiese (cattoliche) sono state tanto vuote. Benché lo spirito di Bergoglio conti ancora diversi partigiani nel conclave, facilmente individuabili dallo slogan “indietro non si torna!”, che amano ripetere, la voglia di una pacificazione appare molto forte; un desiderio, quello di pace nella Chiesa, che sembrava aver colto anche lo stesso Francesco, che negli ultimi due anni sembrava molto aver stemperato le dichiarazioni esplosive dei primi anni del suo pontificato.

Una Chiesa sempre meno eurocentrica

Dal punto di vista geografico il conclave che sta per aprirsi sarà il più ecumenico mai convocato. Sono ormai lontani i tempi in cui l’elezione del vescovo di Roma era un affare tutto italiano (si pensi al conclave del 1846, dove dei 62 cardinali presenti ben 61 erano italiani, dei quali 31 cittadini dello Stato Pontificio). Il conclave del 2025 vedrà invece, su 134 partecipanti, solo 52 porporati europei (16 dei quali italiani). Proprio Bergoglio, nei suoi numerosi concistori, si è reso protagonista di un’ulteriore universalizzazione della Chiesa, con la creazione di numerosi cardinali extraeuropei, spesso originari di paesi di scarsa o nulla tradizione cattolica (si pensi, a titolo di esempio, che il Giappone porterà in conclave ben due cardinali, tanti quanti ne porterà un paese di forte tradizione cattolica come il Messico). Grandi diocesi italiane ed europee come Milano (la più grande d’Europa), Venezia, Vienna, Praga, Parigi e Malines-Bruxelles, non saranno rappresentate, lasciando il posto a vescovi ed arcivescovi di diocesi quali Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo), Bangui (Repubblica Centrafricana) e Les Cayes (Haiti). Una ventata di universalismo fortemente voluta da papa Francesco ma che non significherebbe necessariamente un conclave più progressista rispetto a quelli passati.

Detto ciò, è bene andare a vedere più in dettaglio i profili di coloro che potrebbero ricoprire la carica di 267° papa. Come già detto, tutti i cardinali presenti al prossimo conclave sono, in un modo o nell’altro, cresciuti all’ombra di papa Giovanni Paolo II. Difficile, per non dire impossibile, pensare ad un ritorno al cattolicesimo preconciliare, ma una sensibilità conservatrice, come ad esempio fu quella di Benedetto XVI, potrebbe lasciare più spazio a quelle fasce più tradizionaliste che, come già descritto in queste pagine, trovano sempre più spazio tra i giovani e in paesi come Stati Uniti e Francia, ma non solo.

Cominciamo quindi ad analizzare i vari profili dei papabili, a partire da quelli che, tra i progressisti, sono considerati i più vicini al pontificato appena conclusosi.

I progressisti
Matteo Maria Zuppi

Italiano, romano di nascita, il sessantanovenne cardinale Zuppi è attualmente arcivescovo di Bologna. Strettamente legato alla Comunità di Sant’Egidio, del quale è stato assistente ecclesiastico generale, e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Zuppi è stato a lungo considerato il candidato prediletto alla successione a Bergoglio. Uomo squisitamente di curia e fine conoscitore della Chiesa e dei suoi meccanismi, è considerato un ultra-progressista. Si è più volte detto a favore della benedizione delle coppie omosessuali, così come degli accordi tra Vaticano e Repubblica Popolare Cinese, e ha aperto all’opzionalità del celibato per i sacerdoti. Se eletto, il cardinale Zuppi sarebbe il primo papa italiano dopo il bellunese Giovanni Paolo I, eletto (e deceduto) nel 1978.

Luis Antonio Tagle

Filippino di madre cinese, sessantasettenne, dunque “giovane”, per gli standard di un papabile, l’arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle è considerato il più diretto erede, ideologicamente e spiritualmente, del defunto papa Francesco. Per molti aspetti, anzi, Tagle può essere considerato ancora più progressista del Papa predecessore, simbolo vivente di quello slogan che è proprio “indietro non si torna!”. In quanto pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, il cardinale Tagle è quello che, in gergo politico, potremmo definire il ministro responsabile dell’espansione della fede cattolica nel mondo. Attento, come Francesco, alle istanze del sud globale e dei poveri, ha mantenuto un atteggiamento ambiguo su molti dei temi chiave degli ultimi anni (come il celibato dei sacerdoti, a cui ha mostrato segni di apertura per combattere la crisi delle vocazioni). Ha più volte espresso, come già Francesco, tesi immigrazioniste e ha definito sprezzantemente come “nostalgici” i cultori della messa antica Vetus Ordo. Un’elezione di Luis Antonio Tagle, primo papa asiatico dopo il siriano Gregorio III (papa dal 731 al 741), sarebbe una pessima notizia per i conservatori cattolici e, data la giovane età del porporato filippino, aprirebbe ad un lungo papato di orientamento progressista. La sua candidatura sembra però meno forte rispetto a qualche anno fa, e un video del porporato, intento a cantare la canzone Imagine, considerata il manifesto dell’ateismo e tornato alla ribalta sui social negli ultimi giorni, rischia di giocargli un brutto tiro.

Pietro Parolin

Settantenne, nato a Schiavon (Vicenza), il segretario di Stato Pietro Parolin è un’altra candidatura forte dello schieramento progressista in seno al conclave. Considerato un pretoriano di Bergoglio, seppur con toni leggermente meno roboanti di Zuppi e Tagle, il cardinale Parolin sarebbe, secondo molti, il nome con più preferenze nei primi scrutini del conclave, e al momento, secondo molti, godrebbe di più chances di elezione rispetto all’arcivescovo di Bologna. Ex nunzio apostolico in Venezuela, il cardinale Parolin è considerato un fervente immigrazionista e ha più volte ricordato che “solo l’accoglienza è cristiana” e che prima di ogni considerazione di ordine politico è prioritario “salvare le persone”. Pur essendo annoverato tra i progressisti, il cardinale Parolin è considerato l’artefice e il promotore della celebre nota riservata, poi resa pubblica dai media, inviata dalla Santa Sede al governo Draghi in merito al controverso ddl Zan, e considerata da molti decisiva al suo affossamento.

I moderati
Pierbattista Pizzaballa

Sessantenne, bergamasco e frate francescano, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, sarebbe un candidato forte per tutti coloro che, in conclave, ambissero ad un candidato pacificatore tra conservatori e progressisti. Teologo, biblista e parlante correntemente la lingua ebraica moderna, Pizzaballa riunirebbe un forte afflato spirituale, spesso di sapore conservatore, con un abile talento diplomatico (suo è stato, nel giugno 2014, l’incarico di organizzare l’incontro di preghiera tra l’allora presidente israeliano Shimon Peres, il presidente dell’ANP Maḥmūd ‘Abbās, il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e papa Francesco). Da sempre vicino alle istanze dei cristiani, non solo cattolici, del Medio Oriente, il cardinale Pizzaballa potrebbe rappresentare un ponte per tutti i cristiani perseguitati in Medio Oriente e Africa, la lontananza dai quali è stata più volte rimproverata a Francesco, e potrebbe giocare un ruolo chiave in un’eventuale mediazione del lungo conflitto tra Israele e fazioni musulmane palestinesi. A sfavore del porporato francescano, almeno in questo conclave, gioca però la “giovane” età, che aprirebbe forse ad un papato considerato troppo lungo (si consideri, in merito, che Giovanni Paolo II morì all’età di 84 anni, Francesco a 88 e Benedetto XVI, pur non più pontefice, addirittura a 95).

Anders Arborelius

Settantacinquenne svedese, se eletto il cardinale Arborelius sarebbe il primo papa scandinavo della storia della Chiesa Cattolica. Ex protestante luterano, convertitosi al cattolicesimo all’età di vent’anni ed entrato due anni dopo nell’ordine dei Carmelitani scalzi, il cardinale Arborelius è considerato un equidistante tra gli schieramenti. Vescovo di Stoccolma dal 1998, è un candidato poco noto ai grandi media, elemento che potrebbe aumentare le sue possibilità di elezione al soglio. Dottrinalmente si è espresso più volte in difesa del celibato sacerdotale e contro le ordinazioni femminili e si è contraddistinto per una forte lotta contro l’aborto e in difesa del matrimonio, argomenti sui quali è spesso entrato in contrasto con la luterana Chiesa di Svezia. Allo stesso tempo, Arborelius ha mostrato un profilo apertamente a favore dell’accoglienza di nuovi immigrati in Svezia, nonostante la già problematica situazione nel paese scandinavo, mentre è risultato ambiguo l’atteggiamento del porporato in merito alle messe tradizionaliste: incoraggiate durante il papato di Benedetto XVI e osteggiate durante quello di Francesco.

Fridolin Ambongo Besungu

Sessantacinquenne, francescano, nato in Repubblica Democratica del Congo, il cardinale Ambongo Besungu potrebbe essere il primo pontefice africano dopo il berbero papa Gelasio I, vescovo di Roma dall’anno 492 al 496. Pur essendo considerato un moderato, il cardinale Besungu riflette un’impostazione conservatrice tipica di molte chiese africane. Arcivescovo di Kinshasa, Besungu rappresenta in conclave quello che, al momento, è il più popoloso paese cattolico del Continente Nero, con oltre 52 milioni di battezzati, in continua espansione. Testimone delle travagliate vicende politiche del suo paese, il cardinale congolese ha più volte scontato il suo impegno per una pacificazione nazionale, attività che gli è costata, tra le altre cose, anche un’incriminazione per sedizione presso la procura generale della Cassazione di Kinshasa. Ostile alle istanze LGBT, all’abolizione del celibato e radicalmente antiabortista, ha però dimostrato più volte apprezzamento all’impegno di papa Francesco in difesa dell’ambiente e delle foreste, oltre ad aver manifestato preoccupazione per i cambiamenti climatici. La scelta di Besungu da parte del conclave come successore di Pietro potrebbe appagare le sensibilità conservatrici, coniugandole però con la necessità di continuare l’opera di Bergoglio nell’avvicinamento del sud globale alla Chiesa Cattolica, mantenendo un occhio di riguardo verso i grandi temi della contemporaneità.

I conservatori
Robert Sarah

Guineano, dunque proveniente da un paese africano in gran parte di religione islamica, il cardinale ed ex arcivescovo di Conakry Robert Sarah rientra per il rotto della cuffia nell’elenco degli elettori in quanto avrebbe compiuto ottant’anni il 15 giugno prossimo, e sarà il secondo cardinale più anziano in conclave dopo lo spagnolo Carlos Osoro Sierra (che cesserà di essere elettore il prossimo 16 maggio). Considerato tra i più tradizionalisti tra i partecipanti al conclave, Sarah rappresenterà l’afflato conservatore delle chiese dell’Africa Nera e potrebbe fare il pieno di voti africani; profilo altamente spirituale e con una solida formazione teologica di impronta ratzingeriana, Robert Sarah si è più volte detto preoccupato per la scristianizzazione dell’Occidente ed ha fortemente criticato l’ideologia gender (messa sullo stesso piano dell’islamismo radicale), l’aborto e l’immigrazionismo a tutti costi, sostenendo altresì l’importanza di concetti identitari quali cultura, lingua e patria. Assieme ad un altro porporato africano, il nigeriano Francis Arinze, Robert Sarah è prefetto emerito del Dicastero per il Culto Divino e la disciplina dei Sacramenti, uno dei più importanti “ministeri” della Chiesa Cattolica. Contrastato da molti progressisti, secondo una recente rivelazione dell’importante portale cattolico transalpino Tribune Chrétienne, la candidatura di Sarah sarebbe apertamente osteggiata dal presidente francese Macron, che per scongiurarla avrebbe avvicinato i sei cardinali elettori francesi tramite il cardinale e arcivescovo di Marsiglia (considerato progressista moderato) Jean-Marc Aveline. Il profilo di Sarah sarebbe nettamente il più spirituale tra quelli dei vari papabili, ma anche quello di più aperta rottura con il precedente pontificato. A favore di Sarah potrebbero però giocare l’alto profilo teologico-dottrinario e l’età relativamente avanzata, che lascerebbe presagire un pontificato non troppo lungo, elemento che rassicurerebbe i progressisti.

Péter Erdő 

Settantaduenne a giugno, ungherese ed arcivescovo di Esztergom-Budapest, il cardinale Erdő è un altro nome forte dello schieramento conservatore. Considerato un candidato più “politico” di Sarah, il porporato magiaro è probabilmente il conservatore con più chance di elezione al soglio petrino. Apertamente ostile a contraccezione, aborto e divorzio, ha inoltre più volte paragonato l’immigrazione di massa ad una tratta di esseri umani. Considerato vicino al governo conservatore del suo paese, Erdő sarebbe il primo papa ungherese della storia e il terzo della Mitteleuropa ex asburgica dopo l’austriaco Gregorio V e l’ex arcivescovo di Cracovia Giovanni Paolo II. Un’elezione del porporato ungherese, oltre ad aumentare considerevolmente il soft power dell’Ungheria in Europa e nel mondo, sarebbe un’indubbia vittoria conservatrice e costituirebbe un riavvicinamento con gli Stati Uniti di Trump, dopo il pontificato di un Francesco giudicato, da molti americani, troppo vicino alle istanze dei Democratici, almeno nei primi anni di pontificato.

Willem Jacobus Eijk

Settantunenne, arcivescovo di Utrecht, se il cardinale Willem Jacobus Eijk fosse eletto sarebbe il secondo papa olandese dopo Adriano VI (pontefice per un anno dal 1522 al 1523). Considerato un conservatore, leggermente più moderato rispetto a Sarah e a Erdő, il cardinale Eijk darebbe comunque un’impronta molto chiara alla Chiesa Cattolica. Creato cardinale da Benedetto XVI nel 2012, Eijk si è più volte schierato contro l’aborto e le agende LGBT, esprimendo posizioni di contrarietà anche all’ordinazione delle donne e all’abolizione del celibato dei sacerdoti. La sua elezione rappresenterebbe una forte rottura con il pontificato precedente e sarebbe apprezzata anche da molti porporati africani e centroeuropei, ma costituirebbe un grosso sgarbo al fronte progressista, essendo il cardinale Eijk tra le principali voci critiche di Francesco.

Questa carrellata di nomi e profili, naturalmente, non può e non vuole essere completamente esaustiva. Dato l’arcinoto proverbio per cui “chi entra in conclave papa ne esce cardinale” (proverbio però smentito sia nel caso di Benedetto XVI che in quello di Francesco, oltre che nel conclave del 1939, che elesse il favoritissimo cardinale Pacelli alias Pio XII), è importante sapere che l’elezione di uno sfavorito, quando non di uno sconosciuto, è sempre dietro l’angolo. Così fu ad esempio nel secondo conclave del 1978, che elesse l’allora sconosciuto cardinale Wojtyła, esponente di quelle chiese silenziose di oltrecortina, e che sarà, nonostante ciò, destinato a lasciare un’impronta indelebile nella storia del cattolicesimo. Ancora pochi giorni, e un numero variabile di fumate nere (qualcuno dice poche, qualcuno molte) e le penne dei cardinali avranno parlato.

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

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Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.