Nel nuovo scacchiere globale segnato dalla crisi energetica, dalla competizione tecnologica e dal riarmo strategico, l’Italia si muove lungo una traiettoria sempre più interconnessa con gli Stati Uniti. Il recente accordo bilaterale sul gas naturale liquefatto (GNL), sostenuto da Giorgia Meloni e Donald Trump, si inserisce in una dinamica più ampia che travalica il piano energetico per toccare anche i settori della difesa, del commercio e dell’innovazione tecnologica. Ma questa intesa, che da un lato rafforza la sicurezza dell’approvvigionamento e l’asse atlantico, solleva interrogativi sulla capacità dell’Italia di preservare una reale autonomia strategica all’interno dell’Unione Europea. L’Europa, impegnata a definire una propria traiettoria verso la sovranità energetica e industriale, rischia infatti di assistere alla crescita di una diplomazia bilaterale che indebolisce la coesione interna. Tra vincoli strutturali e nuove alleanze, Roma appare orientata verso un’adesione pragmatica agli interessi statunitensi, nella speranza di ottenere vantaggi negoziali sul piano dei dazi e degli investimenti. Ma a quale prezzo? La scelta italiana, lungi dall’essere solo economica, è profondamente geopolitica: implica una ridefinizione degli equilibri con Bruxelles, un ripensamento della transizione ecologica e un’esposizione crescente alle logiche variabili della politica americana.

Si consolida l’asse Roma-Washington

L’intesa energetica tra Roma e Washington, rilanciata da Giorgia Meloni e Donald Trump, segna un punto di svolta per l’Italia. A fronte dell’instabilità globale e della necessità di diversificare le fonti, l’Italia ha rafforzato i legami con gli Stati Uniti attraverso un aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (GNL). Una mossa che, secondo alcuni, garantisce sicurezza; secondo altri, espone il Paese a una nuova forma di dipendenza. Nel 2024, l’Italia ha importato 5 miliardi di metri cubi di GNL statunitense, pari al 34,5% del totale, collocando gli USA al secondo posto tra i fornitori dopo il Qatar. Con l’apertura del rigassificatore di Ravenna, prevista per aprile 2025, la capacità nazionale salirà a 28 miliardi di metri cubi annui. «Senza il GNL americano, l’Europa non avrebbe potuto abbandonare il gas russo», ha dichiarato Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione ecologica. Tuttavia, il prezzo medio del GNL statunitense risulta più alto del 15-20% rispetto a quello russo e soggetto a forte volatilità. In questo contesto, la Meloni ha proposto di aumentare gli acquisti dagli USA in cambio di sgravi tariffari su acciaio e auto, come leva per ridurre i dazi imposti da Trump.

Il GNL come leva geopolitica e il freno alla transizione verde

Gli Stati Uniti hanno trasformato il GNL in una leva geopolitica strategica. Grazie allo sviluppo dello shale gas, controllano oggi circa il 40% del mercato mondiale e puntano a esportare oltre 117 miliardi di metri cubi annui entro il 2026. Per l’Italia, questa dipendenza da Washington garantisce una riduzione del rischio russo, ma espone a nuove vulnerabilità legate alle logiche commerciali e politiche statunitensi. Questa dinamica rischia di avere effetti collaterali sulla transizione ecologica. Secondo Legambiente, nel 2024 solo il 19% dell’energia prodotta in Italia proviene da fonti rinnovabili, un dato lontano dagli obiettivi europei. L’aumento delle importazioni di GNL potrebbe rallentare gli investimenti in solare, eolico e idrogeno verde. In parallelo, l’Italia ha annunciato investimenti per 10 miliardi di dollari negli USA nei settori dell’energia e della tecnologia, alimentando il sospetto di un allontanamento dagli obiettivi del Green Deal europeo. L’Unione Europea appare divisa: alcuni Paesi, come Italia e Polonia, vedono nel gas americano una soluzione temporanea, mentre Francia e Germania puntano su nucleare e idrogeno. Bruxelles ha tentato di coordinare la linea italiana prima del vertice con Trump, ma l’accordo bilaterale rischia di indebolire la posizione comune. «Gli USA vogliono rallentare la transizione verde», denuncia l’organizzazione EccoClimate, che teme una perdita di leadership ambientale da parte dell’Europa.

Difesa, dazi e tecnologia: un equilibrio complesso

L’accordo tra Italia e USA non si ferma all’energia. Sul fronte militare, Trump ha chiesto ai Paesi della NATO di portare la spesa al 3% del PIL. L’Italia, attualmente al di sotto del 2%, dovrebbe incrementare il budget di circa 20 miliardi di euro annui. Un impegno significativo che, pur rafforzando il ruolo italiano nel Mediterraneo, rischia di entrare in conflitto con il progetto europeo di difesa comune, sostenuto dalla Francia. L’Italia ospita già 34 basi militari statunitensi, tra cui quelle strategiche di Aviano e Sigonella. Anche sul piano commerciale si registrano tensioni. Trump ha confermato i dazi del 20% sull’acciaio e del 25% sulle auto, colpendo soprattutto le PMI italiane. Secondo Confindustria, oltre 30.000 aziende hanno subito aumenti dei costi tra il 15% e il 30%, con impatti diretti su occupazione e competitività. La Meloni ha cercato di ottenere esenzioni doganali proponendo un aumento delle importazioni di GNL, ma la Commissione Europea ricorda che le politiche commerciali sono di sua competenza esclusiva.

Infine, c’è il nodo tecnologico. L’Italia, in linea con le direttive USA, sta cercando di ridurre la dipendenza dalla Cina in settori chiave come intelligenza artificiale e semiconduttori. Sono in corso accordi con aziende come Intel e Microsoft per attrarre investimenti, ma il Censis segnala che circa il 30% delle PMI manifatturiere italiane dipende ancora da componenti cinesi. Il decoupling tecnologico, se non gestito con cautela, potrebbe mettere a rischio la resilienza delle catene di approvvigionamento.

Per concludere, l’accordo sul gas con gli Stati Uniti colloca l’Italia in una posizione chiave tra Europa e America, ma impone nuove sfide strategiche. Da un lato, garantisce forniture energetiche sicure; dall’altro, apre scenari di dipendenza e disallineamento dagli obiettivi europei. Roma dovrà dimostrare di saper navigare tra due poli in tensione, senza compromettere la propria autonomia né mettere a rischio la competitività del tessuto produttivo nazionale.

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

Foto: La Casa Bianca, pubblico dominio

diego marenaci
+ post

Articolista freelance laureato in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali e laureando in Studi Geopolitici e Internazionali (Università del Salento).