Vulnerabilità delle infrastrutture sottomarine: la situazione nel Mediterraneo a inizio 2025

La nave russa Project 22010 Yantar ha operato nel Mediterraneo per più di due mesi, dopo esservi entrata seguendo il movimento della portaerei USS Harry S. Truman al termine di una crociera durante la quale aveva inoltre monitorato, nel mar d’Irlanda, tratti di fondale caratterizzati dalla presenza di cavi sottomarini. La Truman è stata successivamente dispiegata nella campagna contro il movimento Ansar Allah (Houthi) nello Yemen, dove ha registrato la perdita di un suo F/A-18F Super Hornet a seguito di un incidente di “fuoco amico”. Il tracciamento open source della Yantar è complicato dal mancato utilizzo del sistema AIS per l’identificazione automatica, ma di certo è stata individuata nei pressi di Algeri e Alessandria d’Egitto. La 22010 ha infine riattraversato lo Stretto di Gibilterra il 17 gennaio, avendo messo in allarme con le proprie attività i sistemi di sorveglianza euro-atlantici.

La specificità di questa nave ne fa una minaccia estremamente credibile alle infrastrutture sottomarine, con riguardo sia al comparto delle telecomunicazioni sia per le forniture energetiche. Volendo considerare solo le reti con un diretto interesse italiano, si possono elencare le seguenti Infrastrutture sottomarine critiche (Critical Underwater Infrastructures, CUI).

  • 3 cavi collegati a Genova (EMC West-1, 2Africa, Blue)
  • 1 cavo collegato a Savona (India Europe Xpress)
  • 2 cavi collegati a Bari (Asia Africa Europe-1, Jonah)
  • 1 cavo collegato a San Foca, Puglia (Eagle)
  • 3 cavi collegati a Catania (MedNautilus Submarine System, IMEWE, SeaMeWe-5)
  • 3 cavi collegati a Mazara del Vallo (Medusa Submarine Cable System, MENA Cable System, Italy-Libya)

Questi cavi (mappati sul sito telegeography.com) attraversano tratti di mare ripetutamente battuti dalla Yantar, o sono comunque di interesse e immediata vulnerabilità politica come nel caso di Italy-Libya, stante il riorientamento in atto nel Mediterraneo a seguito del crollo del regime siriano, sostituito dalla Cirenaica come testa di ponte meridionale del Cremlino. Nell’immediato futuro è poi previsto il completamento del SEA-ME-WE 6 tra Sud Est asiatico e Europa occidentale oltre ai progetti collegati all’India-Middle East-Europe Corridor lanciato nel 2023. Tutte queste realtà sono soggette a una vulnerabilità che non è solo teorica, basti considerare che a febbraio 2024 il cavo Asia Africa Europe-1 è stato danneggiato nel mar Rosso a causa di un attacco degli Houthi.

Caratteristiche tecniche-operative

L’attività di navi come la Yantar pone un pericolo che è ancora più evidente considerati i ripetuti sabotaggi alla rete infrastrutturale sottomarina posata sui fondali del mar Baltico. Prima di procedere è necessario spiegare brevemente di che tipo di nave si tratti e quali sono le sue capacità.

Ufficialmente classificata come “nave per ricerca oceanografica” in forza alla Flotta del Nord con porto di assegnazione Severomorsk, risulta essere in effetti una nave specializzata nella raccolta di informazioni e nelle operazioni a elevate profondità grazie a due minisommergibili Project 16810 (il Rus’ e il Consul) in grado di operare per 10 ore a meno 6.000 metri, più che sufficienti per i fondali mediterranei. Dalla sua entrata in servizio nel 2015, è stata individuata anche nei pressi di Cuba e Cipro, sempre in zone caratterizzate dalla presenza di numerosi impianti sottomarini. Una tendenza che non deve essere sottovalutata soprattutto da quando il solo monitoraggio è passato all’azione diretta di danneggiamento, come avvenuto di recente tra Estonia e Svezia, Finlandia e Germania.

La Yantar è assegnata al Direttorato Principale per la Ricerca a Grande Profondità, unità a altissima specializzazione che è autonoma dalla Marina e risponde direttamente al Ministero della Difesa. Di questa agenzia fanno parte anche altri mezzi con capacità significative o che hanno comunque destato interesse mediatico nel recente passato. In particolare, il sottomarino a propulsione nucleare K-329 Belgorod, che quando verrà dotato del sistema d’arma UUV-Status 6 Poseidon (di fatto un “siluro nucleare” la cui effettiva realizzazione è ancora lontana) andrà a integrarsi nella componente di rappresaglia atomica a disposizione di Mosca. Il Direttorato (GUGI nell’acronimo russo, Unità Militare 40056) si occupa anche dello studio sull’impiego militare di determinati animali come il famoso beluga che nel 2019 fu individuato a nord della Norvegia con indosso materiale per la sorveglianza elettronica. La sede del Direttorato è a Olenya Guba (la Baia dei Cervi) all’estremità della penisola di Kola oltre il Circolo Polare Artico, dove sempre nel 2019 un incendio a bordo dell’AS-12 Losharik costò la vita a quattordici marinai russi impegnati in una operazione che il portavoce Dimitri Peskov chiuse dietro alla definizione di segreto di Stato.

Un’altra nave per la ricerca oceanografica di grande interesse è la Project 865 Sibiryakov, assegnata alla Flotta del Baltico con base a Kaliningrad e che è stata osservata seguire particolari rotte a ridosso di infrastrutture successivamente danneggiate, come il gasdotto Baltic Connector a fine 2023. A giugno 2024, invece, sempre la Sibiryakov avrebbe monitorato le prove in mare del sottomarino israeliano INS Drakon al largo di Kiel. Questo rilevamento, in apparenza scollegato con il tema della ricerca, crea tuttavia una correlazione tra le attività russe e quelli che sono gli evidenti interessi iraniani nella competizione contro Israele in atto da ottobre 2023. In parallelo alla collaborazione sul campo in atto in Ucraina, questo allineamento Mosca-Teheran ha ottime possibilità di essere replicato più ancora nel Mediterraneo che nel Baltico, e quindi in acque di diretto interesse italiano. Il cavo Jonah, tra quelli sopra elencati, connette direttamente Italia e Israele.

Ultima delle navi di cui è necessario parlare, la Project 861M Kildin specializzata nella sorveglianza elettronica e assegnata alla Flotta del mar Nero risulta aver lasciato Tartus dopo la caduta del regime siriano l’8 dicembre. Parte di una commessa di 29 navi costruite in Polonia a inizio anni Settanta, la Kildin sembra senz’altro meno performante rispetto a quanto descritto fino adesso ma, ciò nonostante, la sua uscita in mare ha messo in allerta gli assetti aeronavali della NATO lungo il fianco meridionale dell’Alleanza.

Risposte operative e opportunità strategiche

Rileggendo come lessons learned i più recenti fatti di cronaca, che hanno dimostrato la assoluta vulnerabilità materiale delle infrastrutture dalle quali dipende la sicurezza energetica del territorio europeo, è possibile formulare delle valutazioni sul più efficace tipo di risposta da implementare, per debellare questa forma di minaccia così particolare. Il risultato finale a cui tendere in un futuro ideale sarebbe quello di una strutturazione globale della subacquea, che racchiuda capacità industriali, accademiche e militari in grado di prevedere – quindi prevenire – le minacce prima ancora che si verifichino. In parte le basi per una simile cooperazione sono state già poste, con la realizzazione del Polo Nazionale della Subacquea a La Spezia e con il disegno di legge che istituisce l’Agenzia per la sicurezza delle attività subacquee, che introduce anche il fondamentale tema della normazione del settore.

Due condizioni di vantaggio che dovrebbero indurre l’Italia a premere per avere un ruolo di guida sia politico che industriale nella difesa dei fondali del Mediterraneo, così importanti per lo sviluppo del Paese e non cedere a altri l’iniziativa.

Su un piano temporale più immediato, le forme di protezione che possono essere applicate alle infrastrutture sottomarine (che per la loro stessa natura non possono raggiungere il 100 percento) sono almeno due.

Dopo la segnalata partenza della Yantar da Alessandria, avvenuta il 3 gennaio, sono stati individuati numerosi e inconsueti voli di ricognizione da parte di velivoli statunitensi Boeing P-8A e italiani ATR P-72A nel tratto di mare tra la Sicilia, la Grecia meridionale e Creta, zona dove corrono i cavi elencati in precedenza (oltre al gasdotto EastMed, collegato allo sfruttamento del bacino Leviathan al largo delle coste israeliane). Il continuo monitoraggio, aereo ma anche subacqueo, delle attività di queste imbarcazioni può essere la più banale ma efficace soluzione per prevenire il ripetersi di operazioni più o meno negabili da parte russa, magari condotte da naviglio battente bandiere di comodo come la Eagle S che ha tranciato il cavo Eastlink 2 il 25 dicembre al largo della Finlandia, un’area in precedenza mappata dalla Sibiryakov come ricostruito da un’inchiesta della tedesca “Deutsche Welle“. Il problema della “flotta ombra” di Mosca, costituita da navi registrate in Paesi terzi, si riflette sia nella continua evasione delle sanzioni internazionali sia, ancora più grave, nella capacità di realizzare danneggiamenti che sia tecnicamente impossibile ricondurre al governo russo. La ricostruzione e segnalazione di questa rete di navi, peraltro particolarmente pericolose anche sul piano ambientale in quanto non rispettano alcuna normativa o obbligo di assicurazione, è un primo passo per procedere alla rimozione di questa fonte di pericolo. Dopo quasi tre anni dall’inizio della guerra, le istituzioni europee hanno varato un pacchetto di sanzioni che racchiude 79 di queste navi.

Una ininterrotta sorveglianza delle cosiddette navi per impieghi speciali, da un lato, e dall’altro la ricostruzione e il boicottaggio di quegli assetti navali con cui Vladimir Putin elude – e più recentemente attacca – i propri avversari sono una delle soluzioni.

A gennaio 2025, la NATO ha avviato l’operazione Baltic Sentry,

a multi-domain vigilance activity aimed at increasing maritime situational awareness in the Baltic Sea to deter and defend against attacks on CUI.

L’operazione, incentrata su una decina di navi dello Standing NATO Maritime Group 1 e Standing NATO Mine Countermeasures Group 1, fungerà anche da banco di prova per le replicabilità del modello in altri scenari similari, dove il primo nome sull’elenco è ovviamente il Mediterraneo, al cui interno l’Italia ha le risorse tecniche necessarie a operare come elemento di cardine di una simile impostazione. Anche richiamando ai citati esempi che ne fanno già un primato su scala europea.

Una chiara dimostrazione di come la sfida posta dalla Russia e dai suoi alleati possa essere affrontata in modo proattivo, non solamente reagendo dopo che il danno è stato compiuto. Ancora, una soluzione che, se accolta con il necessario spirito di iniziativa assumendo un ruolo leader nel teatro mediterraneo, può offrire all’Italia l’occasione per dimostrarsi una risorsa particolarmente spendibile in ambito euro-atlantico, molto più di quanto sia possibile fare nel nord del continente, tutelando i nostri interessi senza demandarne a altri la difesa.

Le opinioni espresse negli articoli del Belfablog sono quelle dei rispettivi autori e potrebbero non rispecchiare le posizioni del Centro Studi Machiavelli.

Lorenzo Lena

Classe 1995, laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche e Scienze Strategiche. Da sempre appassionato di storia militare, relazioni internazionali e geopolitica. È specializzato nell’analisi di scenari di crisi politica e di sicurezza.