di Emanuele Mastrangelo e Francesco Erario

La vicenda di Puff Daddy si intreccia con la vera natura del genere musicale “rap” e della sua filiazione trap. Da molto tempo infatti esiste il sospetto che il rap, nato negli anni Settanta all’interno della blacksploitation sia stato cavalcato dai servizi segreti statunitensi per smorzare le frange più radicali e consapevoli del movimento per i diritti civili afroamericano, usando come veicolo di diffusione di messaggi nichilisti, antipolitici e di disimpegno qualunquista caratteristici questo nuovo genere musicale, che rapidamente ha sostituito i ben più profondi e colti soul, acid jazz e funk come “colonna sonora” della gioventù afroamericana.

Negli anni Novanta, la nascita del cosiddetto “gangsta rap”, ovvero l’ulteriore degradazione del genere verso stilemi da malavita (esaltazione della violenza, sessismo, droga etc.) come psyop dei servizi USA è stata denunciata di recente dal rapper Ice Cube, secondo il quale lo scopo dei federali sarebbe stato di “riempire di giovani afroamericani i carceri” e “seminare discordia”. Più netta la giornalista Candace Owens secondo la quale il gangsta rap:

è stato creato dai federali, che hanno offerto accordi agli uomini neri omosessuali in prigione e poi li hanno trasformati in celebrità artificiali. L’obiettivo era creare falsi idoli per distruggere i valori dei neri americani. Non cambierò mai idea su questo.

È interessante che dopo l’uscita della Owens il rapper Ice Cube abbia preso le distanze da lei, affermando che “nessun federale avesse mai scritto un suo testo”.

Rivelazioni sconvolgenti

In realtà l’impiego di particolari subculture come strumento di ingegneria sociale è noto da tempo. Basti pensare all’uso della droga, inventato dagli inglesi durante l’assalto all’impero cinese nella prima metà del XIX e poi rinverdito negli anni Sessanta dalla CIA. Circa un anno fa anche un ex agente della CIA dissidente, John Homeston, in un’intervista a una TV russa, ammise che l’agenzia dell’intelligence USA aveva creato a tavolino il gangsta rap per rendere glamour la malavita:

La nostra missione era usare la rabbia adolescenziale a nostro vantaggio e trasformare la Generazione X in una cultura decadente, favorevole alle droghe e contraria all‘establishment, che avrebbe creato rivolte e ulteriori divisioni all’interno della società. Ci siamo persino infiltrati nelle radio tradizionali per promuovere la loro musica e raggiungere milioni di persone ogni giorno.

Aggiungendo poi:

Infiltrarsi nella scena hip hop degli anni ’80 è stato uno degli esperimenti di propaganda di maggior successo della CIA fino ad oggi.

Mentre l’USAID, longa manus dei servizi USA all’estero, avrebbe impiegato la scena hip hop cubana per colpire il castrismo dall’interno, usando come agente un serbo, a sua volta fra i protagonisti della “rivoluzione colorata” che rovesciò Milosevic nel 2000.

O ancora, per venire ai giorni nostri, TikTok. Come i lettori del Centro Studi Machiavelli sanno bene, gli algoritmi di questo social destinati agli occidentali privilegiano contenuti fra i quali campeggiano gli stili “gangsta rap” o la trap, generi che invece vengono accuratamente banditi sulla piattaforma equivalente dal governo cinese. Come a dire: “ciò che è veleno sociale venga dato a piene mani alla gioventù della concorrenza, ma teniamo la nostra bene al sicuro da esso”. L’hip hop in altre parole non sarebbe altro che una delle tante armi di guerra cognitiva create dagli uffici psyop, ma puntata principalmente contro le fasce giovanili interne all’Occidente allargato.

Rap e trap, nuovo oppio dei popoli

Naturalmente entrambe le tesi sui pupari dietro l’hip hop possono essere entrambe vere. Ed entrambe spiegano dunque il potere a cui è asceso un “artista” come Puff Daddy, riuscendo a svicolare dai sospetti di aver fatto assassinare un suo amico\rivale e averci lucrato sopra, o dalle documentatissime percosse alla fidanzata. Privilegi che di solito spettano ai “ben inseriti”, quelli che hanno “santi in paradiso” perché funzionali al sistema.

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A queste suggestioni – ma si sa, che tre indizi fanno una prova… – andrebbero aggiunte considerazioni circa l’improvvisa esplosione in Europa del genere trap, che è spinto da tutti i media mainstream, compresa la TV di Stato italiana (che fino a qualche anno fa si ergeva a bacchettona impermeabile a quasi tutte le “mode giovanili”, come punk e metal). Fornendo così una “colonna sonora” sociale all’arrivo di centinaia di migliaia di immigrati dal Nordafrica e creando un sostrato subculturale comune fra costoro e i giovani europei autoctoni, nel frattempo deprivati delle loro origini culturali da sistemi scolastici e mediatici sempre meno radicati nelle tradizioni.

La vicenda di Puff Daddy, dunque, appare in tutt’altra luce se vista in questo contesto più ampio: un contesto in cui gli interessi dell’establishment e del deep state progressista condividono gli stessi spazi, le stesse stanze dei bottoni di un’industria mediatica depravata. Una cupola interessata a demolire le identità individuali e collettive del popolo proponendo al loro posto modelli sociali devastanti, che costruisce il proprio potere attraverso il sesso e il ricatto di coloro i quali ne entrano a far parte (basti pensare al caso Epstein). Una cupola in cui entrano a vario titolo protagonisti della politica e del jet set, dei media e dello Stato Profondo, uniti da tornaconti diversi che rappresentano tuttavia fette della stessa torta. Un potere “corrotto e corruttore”, come avrebbe detto Marco Pannella. [2 – continua. La prima puntata è stata pubblicata qui]

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Redattore del blog del Centro Studi Machiavelli "Belfablog", Emanuele Mastrangelo è redattore capo di "CulturaIdentità" ed è stato redattore capo di "Storia in Rete" dal 2006. Cartografo storico-militare, è autore di vari libri (con Enrico Petrucci, Iconoclastia. La pazzia contagiosa dellacancel cultureche sta distruggendo la nostra storia e Wikipedia. L'enciclopedia libera e l'egemonia dell'informazione).

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Laurea triennale in Comunicazione, editoria e giornalismo (Università Sapienza di Roma), laurea magistrale in Comunicazione d'impresa (Università di Salerno), corso post-laurea in Economia (Università di Parma). Si occupa di marketing e sviluppo commerciale in Italia per una piccola impresa estera. Appassionato di sociologia, media e politica, studia i fenomeni culturali e subculturali emergenti tra i giovani occidentali.