di Marco Malaguti

Ad urne chiuse ed a conteggio ultimato, lo si può finalmente affermare, il Partito per la Libertà dell’Austria, (Freiheitliche Partei Österreichs, abbreviato in FPÖ), ha vinto le elezioni federali nella repubblica alpina ai nostri confini. Si tratta di un’altra grande vittoria della destra europea, e in particolare del nuovo gruppo parlamentare Patriots for Europe (di cui il partito fa parte) in pochissimi mesi, dopo quelle di Repubblica Ceca e Paesi Bassi, e dopo il consolidamento del francese Rassemblement National a prima forza politica dell’Esagono.

Numeri inediti mandano in pensione la stagione Kurz

La bocciatura dell’attuale governo, nato sulle ceneri della carriera politica del fu enfant prodige Sebastian Kurz, che vedeva una strana coabitazione tra ÖVP (cristiano-democratici membri del PPE) e Verdi, non poteva essere più sonora. Gli ambientalisti escono con le ossa rotte dalla consultazione, perdendo quasi la metà dei loro consensi passando dal 13,9% del 2019 al 8% della giornata di ieri. I centristi cristiano-democratici della ÖVP, da oggi ex primo partito, passano dal 37,4% al 26,4%, con un robusto calo di oltre undici punti, che – dato interessante – si spostano in blocco a destra proprio verso la FPÖ, che strappa anche altri due punti all’astensione passando dal 16,1% al 29,2%, centrando sia il posto di primo partito d’Austria (risultato storico, nonostante il partito sia stato fondato nel lontano 1956), sia il record di preferenze del partito, che in precedenza, guidato da Jörg Haider nell’ormai lontano 1999, si era fermato al 26,9%.

La débâcle è al centro

Considerando la proverbiale “aria che tira”, i socialdemocratici ottengono la mezza vittoria di consolidare il vecchio risultato di cinque anni fa, con un leggero arretramento che li vede al 21% perdendo appena uno 0,1%; un risultato, comunque, da tenere in cassaforte vista la collezione di sconfitte del vicino collega tedesco Olaf Scholz, che però siede in cancelleria e paga certamente il prezzo delle decisioni impopolari che ogni esperienza governativa richiede.

E se si parla di esperienze governative, quella appena terminata dai centristi austriaci della ÖVP non può certo dirsi tranquilla. La legislatura appena conclusasi, che in Austria, come nel nostro Paese, dura cinque anni, ha visto succedersi ben quattro governi diversi. Prima il fu governo Kurz I (ÖVP+FPÖ), poi, a seguito dello scandalo che coinvolse il vecchio segretario Hans Christian Strache, la FPÖ fu costretta a sganciarsi, lasciando spazio ai Verdi (governo Kurz II), fino al nuovo scandalo che stavolta coinvolse direttamente il cancelliere, che, accusato di aver usato fondi del ministero degli Esteri per manipolare alcuni sondaggi, fu forzato a dimettersi venendo sostituito alla cancelleria dal collega di partito Alexander Schallenberg, protagonista dell’autoritaria e al contempo catastrofica gestione austriaca della pandemia di Covid 19, che gli costò a sua volta il posto nel dicembre 2021 per venire rimpiazzato da Karl Nehammer.

Crisi di credibilità e stanchezza per il green: il perché di un risultato

Crisi di credibilità dei cristiano-sociali e disaffezione verso le tematiche green hanno quindi portato l’elettorato austriaco a sterzare vigorosamente a destra, senza alcuna concessione alle altre forze politiche del parlamento (socialdemocratici in primis, ma anche nei confronti dei liberali del partito NEOS di Matthias Strolz). Anche l’atteso mini-boom del KPÖ, il piccolo Partito Comunista Austriaco, le cui retoriche ricordano molto quelle pseudo-sovraniste del BSW della tedesca Sahra Wagenknecht, non si è verificato, con la forza di estrema sinistra che si ferma al 2,3%, ben lontana dalla soglia di sbarramento.

Un partito di inesperti? Nemmeno per sogno

Che governo sarà, dunque? Come forse alcuni sapranno, l’Austria, politicamente parlando, è un paese diverso dalla Germania, per certi versi più simile all’Italia che non al grande colosso industriale col quale condivide la lingua. Diversamente dall’AfD, la cui storia del resto è molto corta, la FPÖ ha già esperienze di governo, sia locali sia nazionali. Al momento il partito guidato da Herbert Kickl è presente nei governi locali dei quattro dei nove Länder austriaci: Alta Austria, Bassa Austria, Salisburghese e Vienna Capitale, ha detenuto a lungo governo e maggioranza assoluta in Carinzia, ed è stata al governo della nazione, seppur come socio di minoranza, già quattro volte, la prima nell’ormai lontano 1983 (coi socialdemocratici), e poi, sempre con i cristianodemocratici, con Haider, nel 1999 e nel 2002, fino all’ultima esperienza del 2019. La retorica del “partito di inesperti” non avvezzi alla macchina della politica, che in parte penalizza Rassemblement National e AfD, sarà dunque difficile nei confronti della FPÖ.

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Il rebus ora sarà la formazione del nuovo governo. Nonostante la già citata esperienza governativa della destra austriaca, tanto con i socialdemocratici quanto con i centristi in una forma simile al nostro “centrodestra”, il clima in Europa è molto diverso rispetto anche solo a cinque anni fa. La chiusura del PPE riguardo a possibili coabitazioni, per giunta come soci di minoranza, del ÖVP, sembra totale, e lo stesso dicasi, naturalmente, per i partiti di sinistra e liberali. La coalizione di queste forze per tenere fuori dalla stanza dei bottoni i vincitori delle elezioni sembra però di difficile realizzazione: il paese va infatti chiaramente a destra e una coabitazione con le sinistre potrebbe portare ad un ulteriore esodo di voti dal centro verso la destra, senza contare che partiti come i Verdi dovrebbero continuare a “moderare” le loro istanze ambientaliste, e questo potrebbe portare anche a sinistra ad ulteriore disaffezione, come peraltro accade già in Germania dove gli elettori “oltranzisti” dei Verdi sembrano sempre più disinnamorati del loro partito.

Centristi e socialdemocratici in teoria potrebbero però governare: bastano 92 deputati, e assieme ne assommano 93, uno in più del necessario. Ma quanto sarebbe solido un governo che, in caso di raffreddore in un singolo parlamentare rischierebbe di andare in apnea? Un’ipotesi potrebbe essere quella di coinvolgere i liberali del NEOS, ma le ricette liberiste di questa compagine potrebbero essere sgradite alla base più sociale e sindacale della socialdemocrazia austriaca che, tra le altre cose, è risultata primo partito solo a Vienna, e nemmeno in tutti i quartieri, ed è ormai terza forza nel resto del paese.

I patrioti europei si affacciano sul Danubio

Ciò che è interessante è senza dubbio l’allargamento della visuale all’intero contesto dell’Europa Centrale, fascia geopoliticamente critica, stante l’attuale conflitto ucraino, che vede i paesi del bacino danubiano sempre più amichevoli verso la linea del nuovo partito Patriots of Europe: i partiti di questa nuova formazione europea sono infatti ormai al governo in Ungheria, sono ampia maggioranza in Repubblica Ceca e prima forza politica in Austria, e posizioni molto simili sono portate avanti dal presidente slovacco Robert Fico. La Mitteleuropa guarda sempre più a destra e si salda al Mediterraneo di Giorgia Meloni, ai Paesi Bassi di Geert Wilders e alla Germania Orientale ormai egemonizzata dall’AfD. Quanto potrà resistere Bruxelles prima di prendere atto della realtà e rivedere i suoi dogmi ed i suoi ostracismi?

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.