di Rita Angelini

Nella storia del terrorismo jihadista le figure femminili si trovano in una posizione subalterna rispetto agli uomini: in prevalenza il loro ruolo è stato quello del supporto logistico, economico, del sostegno politico o morale.

La presenza femminile ha assunto una dimensione differente con l’evoluzione della comunicazione dei gruppi estremisti legati all’Islam entrando in ruoli attivi di propaganda e reclutamento, mentre la presenza sul campo si è concretizzata principalmente come agenti della polizia morale.

Dalle Brigate Al-Khansa in Siria e Umm al-Rayan in Iraq fino all’Iran che ha mostrato al mondo, con la storia di Masha Amini, come opera la polizia morale che utilizza le donne all’interno della Repubblica islamica. Il caso di quest’ultima ragazza ha suscitato sgomento internazionale e ha generato proteste a catena in Iran contro il governo e contro le pratiche violente messe in atto.

Nell’ambito del reclutamento femminile verso l’Islam radicale in Occidente, è possibile intravedere quanto questo costituisca uno dei progetti ambiziosi della causa jihadista. La penetrazione da parte dell’estremismo islamico nella roccaforte Occidente, con l’obiettivo di stravolgerne l’assetto culturale sfruttando l’immigrazione come cavallo di Troia, è la più alta sfida da affrontare per un’Europa che vacilla e che non sembra aver compreso la forte richiesta dell’elettorato di porre fine all’invasione.

Le forme di accoglienza messe in atto e l’impossibilità di assumere una linea rigida e condivisa nei confronti dell’immigrazione clandestina hanno rappresentato uno strumento per questo progetto di “colonizzazione”, unito alle opportunità fornite dalla comunicazione globale.

Una strada senza uscita

Esistono elementi comuni nelle modalità di avvicinamento alla causa jihadista in Occidente, in particolare, per le giovani ragazze viene proposta una forma di propaganda capace di attecchire nei soggetti con profondo disagio sociale. Il reclutamento nei paesi occidentali avviene attraverso la condivisione dell’idea di un jihadismo poetico e del ruolo che si promette alla donna una volta abbracciata la causa della jihad.

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L’idea di diventare parte di qualcosa di più grande sposando un futuro martire o di essere incluse nel progetto di un nuovo mondo, fa presa su soggetti in cerca di una posizione nella società.

ll primo contatto avviene attraverso la rete o tramite conoscenza diretta con altri radicalizzati sul territorio, le donne che vengono avvicinate e successivamente seguono l’iter di conversione all’Islam vivono una condizione di isolamento, presentano una rabbia nei confronti della società occidentale che viene descritta dai reclutatori come inconcludente nella tutela dei diritti. Nelle fasi di contatto a queste donne viene offerta la possibilità di entrare a far parte di una realtà nella quale saranno esaltate nel ruolo di donna, sposa e madre.

Queste promesse si trasformano poi in una diversa situazione da quella auspicata, le donne lasciano le proprie case e la propria vita per inseguire il sogno della purificazione attraverso l’Islam radicale, una volta giunte nei territori di reclutamento vengono date in sposa ai membri dei gruppi terroristici nella migliore delle ipotesi, nella peggiore finiscono come merce di scambio tra gli stessi gruppi. Altre dopo la radicalizzazione continuano la loro permanenza nei paesi occidentali fungendo da reclutatrici o partecipando come supporto ad azioni programmate sul territorio dove vivono o sui territori dei paesi limitrofi. Chi rimane in occidente segue le regole della sharia, veste il velo e educa i figli all’Islam radicale. [1 – continua]

Foto: CC 2.0 by SA NC

rita angelini
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Laureata in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Niccolò Cusano, frequenta attualmente il Master in Analista del Medio Oriente presso il medesimo ateneo. Ha frequentato vari corsi di approfondimento sull’Africa Subsahariana e sul terrorismo internazionale.