di Enrico Petrucci

È stato presentato alla fine dello scorso luglio al Farnborough International Airshow un simulacro in scala 1 a 1 del nuovo Global Combat Aircraft Program, GCAP, il cacciabombardiere di sesta generazione sviluppato da Regno Unito, Italia e Giappone attraverso BAE Systems, Leonardo e Mitsubishi Heavy Industries.

Nonostante sia “solo” un simulacro del futuro velivolo il modello del GCAP si è guadagnato l’attenzione della stampa specializzata e non. Innanzitutto il modello arriva dopo le notizie non promettenti sul corrispettivo programma di sesta generazione statunitense, Next Generation Air Dominance, NGAD. E poi le dimensioni del futuro GCAP hanno in parte stupito gli addetti ai lavori.

L’NGAD è il programma statunitense avviato nel 2014 per la sostituzione degli F-22 Raptor ma nelle scorse settimane ha ricevuto una doccia fredda in merito ai costi crescenti e alla possibilità di dover radicalmente ripensare il progetto di un velivolo di sesta generazione. Un costo prospettato in 250 milioni di dollari ad esemplare (quasi il doppio di un F-22) per un programma ambizioso, ma di cui ad oggi non esistono nemmeno certezze sulle specifiche, sta costringendo il Pentagono a rivedere il programma. Questo il senso dell’intervista al Segretario di stato per l’Air Force France Kendall pubblicata da Defense News, che ha fatto dare il programma per morto a molte testate. Popular Mechanics ha titolato “In the End, the Air Force’s Secret New Fighter Jet May Never Actually Fly”. Intervista poi parzialmente ritrattata dopo l’exploit del GCAP e in cui Kendall ha dichiarato che non si trattava di uno stop, bensì solo di una pausa di riflessione per assicurarsi che il programma statunitense sia sulla strada giusta.

Questo il clima in cui il modello del GCAP è arrivato a Farnborough: il programma anglo-italo-nipponico procede mentre la US Air Force sembra quasi arrivata sul punto di gettare la spugna. Di fatto ad oggi il GCAP è l’unico programma di sesta generazione avviato verso una reale prototipazione, e nel raffronto con l’industria aerospaziale a stelle e strisce, come ha scritto Gianluca Di Feo su La Repubblica, il GCAP è qualcosa «che neppure Lockheed-Martin o Boeing stanno osando».

Altro elemento a fare notizia sono state le dimensioni del GCAP. Il modello 1:1 del GCAP è più grande di quanto si aspettassero gli addetti ai lavori. Più grande sia del modello del BAE Tempest mostrato a Farnborough nel 2018, e, del dimostratore tecnologico Mitsubishi X-2 Shinsin che aveva volato nel 2016, entrambi confluiti nel programma GCAP.

Nel descrivere le dimensioni e l’effetto del modello il giornalista aeronautico Gareth Jennings ha scomodato su X una vecchia gloria della Guerra Fredda: il General Dynamics F-111 Ardvark, primo cacciabombardiere supersonico con ali a geometria variabile entrato in servizio nel 1967. Velivolo determinante nell’influenzare diversi progetti successivi come il Grumman F-14 Tomcat e il Panavia Tornado.

In realtà, a guardare le dimensioni divulgate da alcune testate, il GCAP dovrebbe essere più piccolo di un F-111 che misurava 22 metri di lunghezza e 19 metri di apertura alare ad ali aperte. Le dimensioni dovrebbero essere più simili a quelli dell’F-14. Comunque un velivolo più grande dei Tornado ancora in servizio. Dimensioni in linea con i multiruolo di quinta generazione russi e cinesi: Sukhoi Su- 57 e il Chengdu J-20.

Aereo più grande significa maggior spazio per armi e carburante. Evidente rispetto al Tempest e ai primi render la crescita dei volumi del GCAP, pur mantenendo un’attenta sagoma stealth. Un cambio di passo necessario per le mutate esigenze dello scacchiere geopolitico e l’evoluzione del contesto bellico. Un’evoluzione sia dal lato aria-aria, dove tra le nuove minacce sono emersi gli attacchi a saturazione con droni, sia nel contesto aria-suolo, con la crescente importanza dei missili da crociera stealth.

Il mutato contesto aria-aria lo dimostra l’attacco di rappresaglia iraniano contro Israele dello scorso 13 aprile con il lancio di 170 droni, 30 missili da crociera e oltre 120 missili balistici. Al netto delle indubbie capacità antiaeree israeliane sono stati determinanti proprio velivoli come i cacciabombardieri F-15E Strike Eagle del 494° Squadrone, reparto a cui è stato attribuito l’abbattimento di 70 droni. L’F15-E pur essendo un velivolo entrato in servizio alla fine degli anni ’80 basato su un progetto degli anni ’70, resta ancora oggi una piattaforma ineguagliata in campo occidentale per capacità di carico e numero di piloni disponibili per gli armamenti. Un dettaglio fondamentale per fronteggiare eventuali sciami di droni.

Dal fronte ucraino emerge prepotente il ruolo dei missili da crociera stealth aviolanciati, come gli Storm Shadow/SCALP, tra le armi occidentali di maggior successo. Armi lunghe 5 metri che non possono essere installate nei vani armi degli F-35. Ad oggi gli F-35 possono ospitare nei due vani un singolo JSM, missile da crociera più piccolo dello SCALP e sviluppato da Norvegia e Stati Uniti. Armi che vanno comunque ad occupare interamente il vano del caccia multiruolo, che può comunque ospitare anche carichi esterni, ma con ovvio pregiudizio delle capacità stealth.

Le accresciute dimensioni del GCAP andranno quindi nella direzione di maggior capacità e maggior volumi.

Un GCAP senza rivali?

Come detto il GCAP è il progetto di sesta generazione più avanti nella realizzazione. Il programma statunitense NGAD per l’Air Force e il relativo F/A-XX per la Marina sono in pausa di approfondimento, con i due contendenti, Boeing e Lockheed-Martin, ancora lontani da un prototipo.

Altrettanto lontano il Future Combat Air System, FCAS (SCAF, Système de combat aérien du futur) franco-ispano-tedesco, con una vicenda che per certi versi ricorda quello del programma MGCS, il Main Battle Tank franco tedesco. Nonostante fosse stato presentato un simulacro del FCAS al Paris Air Show nel 2019 il programma è ancora in fase di definizione.  Tra l’altro la Germania aveva fatto ventilare a fine 2023 la possibilità di unirsi al programma GCAP abbandonando la joint-venture francese. Ma è da notare che al netto del expertise tedesco, consolidato negli anni con programmi di successo come il Panavia Tornado e l’Eurofighter Typhoon, sul piano aeronautico negli ultimi anni la Germania è sempre più vincolata alla preminenza francese nel consorzio Airbus. E il tentativo di avvicinamento al GCAP da parte di Berlino, potrebbe essere stato un semplice stratagemma per ottenere maggiori ricadute nel programma FCAS.

Stati Uniti, Francia e Germania sono quindi in una fase preliminare di definizione delle specifiche. Mentre nel Regno Unito la BAE Systems è impegnata nella costruzione della cellula del primo dimostratore del GCAP, dopo i test del seggiolino eiettabile dello scorso anno. E sempre nel 2023 la Leonardo ha acquisito un secondo Boeing 757 come banco di prova volante per la suite elettronica del futuro GCAP, programma denominato Excalibur.

Senza dimenticare l’esperienza acquisita dalle Mitsubishi Heavy Industries che aveva già fatto volare un proprio velivolo nel 2016, anche se l’X-2 Shinshin come filosofia costruttiva era più vicino a un velivolo di quinta generazione.

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Nubi laburiste su Londra

Certo non mancano nubi nel programma GCAP in merito alla transizione dal governo tory al governo laburista nel Regno Unito. Pur avendo rassicurato le controparti, è in via di definizione una revisione dei programmi militari in corso. Tra cui quelli estremamente onerosi per la nuova classe di sottomarini lanciamissili balistici Dreadnought  e quelli di attacco del programma AUKUS, comunque tutti programmi nel perimetro della BAE Systems.

Pure il Regno Unito sul piano industriale reclama a gran voce di rimanere nel programma GCAP. Lo ribadisce il Times che ricorda come negli anni le scelte scellerate sul piano industriale e militare abbiano fortemente ridotto le capacità dell’industrie aeronautiche del paese. Fatta salva l’eccellenza motoristica della Rolls Royce, tra i principali produttori di motori aeronautici, le filiali britanniche di Airbus (aerostrutture) e Leonardo (elicotteri) e il consorzio che realizza elementi per l’F-35, il portafoglio di velivoli pilotati dalla BAE Systems, erede della British Aerospace, si è alquanto ridotto. A Warton rimane solo la linea di produzione dell’Eurofighter Typhoon. Con la linea degli addestratori Hawk, velivolo risalente agli anni Settanta, ferma dai primi anni ’20. Perdere il treno del GCAP potrebbe rappresentare per la BAE Systems l’inizio della fine della propria capacità nel settore dei velivoli pilotati.

Opportunità commerciali e l’incognita turca

Ma intorno al GCAP non occorre considerare solo le ricadute industriali, ma anche le possibili ricadute commerciali. Visti i ritardi di USA e Francia il GCAP sarebbe il primo velivolo di sesta generazione concepito per le sfide militari della contemporaneità e potrebbe arrivare sul mercato della difesa praticamente in solitario.

In solitario, anche considerando i due nuovi protagonisti della difesa internazionale, Corea del Sud e Turchia, e i loro caccia di quinta generazione KAI KF-21 Boramae e TAI TF Kaan, entrambi in fase di test, difficilmente potrebbero competere con la filosofia del GCAP.

Tuttavia il Kaan turco rimane da non sottovalutare. Se il Boramae sudcoreano è quello più avanti nello sviluppo, con sei prototipi realizzati, non ha ancora visto volare la versione KF-21EX con vano armi interno. Mentre il Kaan, di cui ad oggi ha volato solo il primo prototipo, viste le dimensioni di 21 metri di lunghezza e 14 metri di apertura alare, paragonabili alle controparti russo-cinesi, potrebbe (motori permettendo) disporre di una significativa capacità di carico.

Da segnalare come i turchi, originariamente nel programma F-35, abbiano realizzato il SOM, un missile da crociera compatto paragonabile al JSM, adatto ai vani armi dell’F-35. Missile che sarà sicuramente integrato nel Kaan, così come sono ben note le competenze turche in tema droni. Il Kaan potrebbe quindi presentarsi sul mercato come una sorta di quinta generazione e mezzo.

Convergenze e sinergie Roma-Tokyo?

Al netto delle considerazioni industriali e commerciali, in un’ipotesi di fantapolitica, il programma GCAP potrebbe resistere all’abbandono del socio britannico? Di sicuro c’è l’interesse saudita, confermato dallo stesso Cingolani, nazione la cui aeronautica vola su Eurofighter e Tornado. E Leonardo e Mitsubishi Heavy Industries sono partner industriali fortemente motivati che potrebbero trovare convergenze vantaggiose.

Soprattutto Tokyo, libera da qualunque vincolo di bilancio (rapporto deficit/PIL del 263 % al 2023!) e nonostante la costituzione antimilitarista che vincola le FF.AA. a un ruolo prettamente difensivo, ha sempre investito molto sulla propria industria nazionale della difesa. Sia per garantire un volano tecnologico che per avere mezzi perfettamente in linea con le proprie necessità. Lo si vede con l’ampia gamma di velivoli nazionali introdotti negli ultimi vent’anni: il trasporto Kawasaki C-2, in uso anche per la guerra elettronica, il pattugliatore marittimo Kawasaki P-1 e l’anfibio ShinMaywa US-2 per trasporto, ricerca e soccorso. Velivoli, dotati anche di motori nazionali come per il P-1.

L’industria della difesa nipponica, fino alla riforma di Shinzo Abe del 2014, non poteva dedicarsi all’export. Fino ad oggi i vari P-1 e C-2 non hanno riscontrato vendite all’estero, ma restano prodotti di punta che al netto dei costi potrebbero imporsi in particolari nicchie di mercato. Tanto che nelle scorse settimane Ares Difesa in una disanima sui possibili sostituti per i tanker KC-767A e i trasporti C-130J in dotazione alla nostra aeronautica, oltre all’ovvia e naturale possibilità Airbus, rispettivamente A330MRTT e A400 Atlas, ipotizzava in via teorica anche i Kawasaki C-2. Pura speculazione, forse: troppe le sinergie tra Leonardo e Airbus in ottica aerospazio.

Pure le possibili sinergie con Tokyo non sono da sottovalutare. Anche perché Tokyo e Londra dovranno a breve sostituire i loro velivoli da addestramento, e potrebbero esserci nuove opportunità per l’M-346 della Leonardo. In merito ai Kawasaki T-4 nipponici l’ipotesi più probabile è quella del Boeing-Saab T-7 statunitense (escludendo che i nipponici si affidino al T-50 sudcoreano), d’altronde i “jet d’addestramento” erano stati esplicitamente citati come esempio nell’incontro Kishida-Biden. Ma il Giappone conosce l’IFTS di Decimomannu, e il T-7 ha avuto parecchi ritardi anche per colpa del digital engineering che avrebbe dovuto velocizzarne la realizzazione, quindi in un’ottica GCAP potrebbe esserci qualche spiraglio per l’M-346. Anche il Regno Unito sta iniziando a valutare una strategia per il successore dell’Hawk, e ad oggi l’unico programma indigeno, l’ Aeralis AJT, sembra ancora lontano dal primo volo.

Foto: Ministero della Difesa del Giappone, Creative Commons

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Saggista e divulgatore, tra le sue pubblicazioni Alessandro Blasetti. Il padre dimenticato del cinema italiano(Idrovolante, 2023). E con Emanuele Mastrangelo Wikipedia. L’Enciclopedia libera e l’egemonia dell’in­formazione (Bietti, 2013) e Iconoclastia. La pazzia contagiosa della cancel culture che sta distruggendo la nostra storia(Eclettica, 2020).